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mercoledì 07 settembre 2022 15:51

 

Kosovo. Conversazioni

26.02.2003   

Una conversazione con un serbo e con un albanese del Kosovo. La voglia di partire, di andarsene e la responsabilità per quel che è accaduto e che pesa sull’altro. L’articolo è stato pubblicato su Social Press.
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Conversazione con un serbo del Kosovo “…questa è Gorazdevac, la chiamano enclave ma per me il nome più giusto è galera, dei carcerati, questo siamo”. A parlare è Igor, 20 anni, gli ultimi tre passati in questo villaggio serbo del Kosovo sud occidentale, un chilometro per un chilometro, 880 anime, un bar, una scuola, un asilo, un centro ricreativo vuoto, una caserma con 300 militari italiani a proteggerli, quasi uno ogni due abitanti. “E poi dicono che i cattivi siamo noi, ma allora che proteggano gli albanesi da noi e non noi da loro…” Igor parla e intanto, con la mano tremolante mi versa l’ennesimo bicchiere di rakia. “che si fottano la madre! Salute! Lo so, anche noi abbiamo fatto casino e abbiamo ucciso e bruciato delle case, ma sono stati quelli di Belgrado e poi non lo so nemmeno chi è stato, quello che so per certo è che non sono stato io e nemmeno mio padre e neppure mio fratello, gli altri poi, non sono affari miei. Però, ora, dicono che siamo tutti criminali. Che si fottano la madre! Salute! Quando sono tornato qui, mi sembrava il paese più bello del mondo, chi se ne fotteva se non potevamo uscire, avevo la mia casa, i miei amici e poi la situazione sarebbe migliorata e presto sarebbe tornato tutto come prima. Anche ora ho la mia casa e i miei amici, ci vediamo sempre ma non parliamo più, abbiamo esaurito tutti gli argomenti, e del villaggio posso dirti anche quante pietre ci sono. Il giorno che riuscirò ad uscire da qui, farò almeno 10 chilometri a piedi e nella stessa direzione, ora il mio limite è di uno in largo e uno in lungo. Che si fottano la madre! Salute! La mattina mi sveglio il più tardi possibile così mi rimane meno tempo per annoiarmi, vado al negozio di Lale, dove trovo lo stesso tavolo, le stesse sedie, le stesse persone con cui mi metto a giocare a carte, a dir la verità non so neppure se sono le stesse persone ma poco importa, gioco, bevo e faccio passare il tempo. La sera il livello alcolico è talmente alto che la noia passa, in quei momenti mi sembra quasi d’essere felice, ma dura poco. Altre volte, se la sbornia ti prende di rovescio… tirerei delle testate contro il muro pur di farla finita. Che si fottano la madre! Salute!
Alla fine però riuscirò ad andare via, ho sentito che ci sono possibilità per il Canada… una data, almeno ci dicessero quanto tempo dobbiamo rimanere rinchiusi qui, un carcerato sa quanto tempo… ma noi? Che si fottano la madre! Salute! …i riservisti, quelli sono stati a far casino, noi gli albanesi li abbiamo protetti e adesso ci chiamano criminali …i riservisti di Belgrado… e forse qualcuno del paese ma pochi e ormai sono andati via, capisci, non ci sono più! Io avevo un mucchio d’amici albanesi, per me non c’era differenza, poi è arrivato Milosevic, ma io ero un bambino e la mia famiglia pensava solo a lavorare e non c’interessava la politica… alla fine riuscirò ad andare via… che si fottano la madre! Salute!”.
Igor continua a parlare e a bere, io non riesco più a seguirlo.
Tempo fa ho domandato ad un Generale della Kfor Italiana per quanto tempo ancora pensavano di dover stare in Gorazdevac per proteggere i serbi dalla popolazione albanese, la sua risposta è stata: “A Cipro ci siamo ancora” (le forze militari italiane sono presenti a Cipro da quasi 40 anni).

Conversazione con un albanese del Kosovo

“…buon giorno, cosa fai? Sei stanco? A casa tutto bene? La famiglia bene? Hai dormito? Hai fame?…” Agim, 24 anni, albanese del Kosovo sud occidentale, mi ripete a memoria questa specie di filastrocca imparata da bambino, senza neppure aspettarsi una risposta: parla e intanto si beve il decimo caffè della mattinata. “…ieri sei stato a Gorazdevac? Quelli se la vogliono di rimanere rinchiusi la dentro …basterebbe che consegnassero i criminali, lo so bene che non lo sono tutti, ma chi protegge un criminale ne diventa complice e la dentro ce ne sono, è sicuro, li ha visti il mio vicino di casa… lui è furbo, ha comperato una Mercedes 500 nuova di zecca a soli 10.000 marchi e la Caritas gli ha ricostruito la casa meglio di prima… e dovrebbero anche chiedere scusa per quello che hanno fatto, dovrebbero andare alla radio di Peja e chiedere scusa per le schifezze che Milosevic ha fatto… sarebbe un grosso passo… e poi non me ne frega più niente, tanto appena posso io da qui me ne vado, ho sentito che ci sono delle possibilità per il Canada… qui non si può più vivere, non c’è lavoro, le fabbriche sono chiuse e poi chi è quel matto che verrebbe ad investire qui, con tutti questi militari, sono troppi, ce ne sono dappertutto! Io d’amici serbi n’avevo un sacco e non c’è mai stato nessun problema, poi è arrivato Milosevic e tutto è cambiato, io ero ancora un bambino ma mi ricordo, e poi i mie genitori pensavano solo a lavorare e non c’interessava la politica… anche i villaggi serbi sono stati bruciati ma non siamo stati noi, forse qualche banda e magari loro stessi e poi era necessario per ottenere la libertà e adesso siamo liberi! Tanto appena posso me ne vado da qui… con tutti questi militari internazionali… e chi ci viene ad investire qui…”. Mentre Agim parla arriva Festim: “… oh! Buon giorno, cosa fai? Sei stanco? A casa tutto bene? La famiglia bene? Hai dormito? Hai fame?…”.
Ho chiesto a Gedvo, bambino di otto anni, che cosa farà da grande, lui mi ha risposto: “Studierò l’italiano così andrò a lavorare con la Kfor , loro pagano bene”.(Kfor è la forza militare multinazionale in Kosovo, a Pec-Peja ci sono gli italiani). Io gli rispondo: “Ma Gedvo, quando sarai grande i militari italiani non ci saranno più!” Lui mi guarda con quegli occhi innocenti e sinceri che solo un bambino può avere e con calma, come se mi volesse spiegare bene una cosa che non ho capito, mi dice: “Ci saranno, ci saranno”.
Mauro Barisone – Tavolo trentino con il Kossovo
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