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giovedì 08 settembre 2022 13:45

 

Kossovo, un reportage alla vigilia dei negoziati

30.07.2003    scrive Tanya Mangalakova

Tanya Mangalakova, nostra corrispondente dalla Bulgaria, è da poco rientrata da un viaggio in Kossovo. Pubblichiamo un suo reportage.
Kossovo: pronti per il dialogo?

I politici serbi ed albanesi del Kossovo hanno evidenziato come l’avvio del dialogo tra Pristina e Belgrado sia stato uno degli elementi più positivi del recente vertice del Consiglio europeo tenutosi a Porto Carras, Grecia. Da entrambe le parti sono emersi segnali di riconciliazione in vista degli imminenti negoziati. Intanto il 14 giugno 2003, al centro congressi Sava, a Belgrado, è ufficialmente nato il “Movimento per il Kossovo e Metohja”, una coalizione di 48 tra partiti politici, organizzazioni non governative ed associazioni con sede in Kossovo ed al di fuori di quest’ultimo. Tra i 2.000 delegati vi erano anche i rappresentanti delle minoranze in Kossovo.
“Vogliamo che il Kossovo stia all’interno dei confini della Serbia e che i serbi possano stare in Kossovo … all’assemblea abbiamo adottato una convenzione che assegna al Kossovo lo status di regione aperta in Europa e che invita a considerare il Kossovo una questione europea, un protettorato che dovrà essere europeo. Ma, almeno indirettamente, dovrà essere garantita una sovranità della Serbia. Alla regione dev’essere assegnata la maggiore autonomia possibile in modo che tutte le parti possano ritenersi soddisfatte. Non lo saranno gli estremisti ed in particolare coloro i quali sostengono l’ipotesi di un Kossovo indipendente”, afferma Momcilo Traikovic, parlamentare del Parlamento serbo e coordinatore del Movimento per il Kossovo e per Metohja. Attualmente è tra i più influenti leader politici serbi che risiedono in Kossovo. Momo, come lo chiamano la maggior parte dei serbi, vive in una camera dell’Hotel “Mimosa”, nel villaggio di Caglavica, enclave serba a 10 km da Pristina.
Il 3 luglio 2003 ha preso parte ad una riunione del DOS, convocata per elaborare una strategia di dialogo con Pristina. Traikovic si è più volte dichiarato a favore di un dialogo condotto “a più livelli”, tra i governi di Serbia e Kossovo, tra esperti e tra organizzazioni non-governative. “Ho incontrato Hashim Thaqi lo scorso giugno ed abbiamo deciso di creare un dialogo Thaci-Trajkovic. Non possiamo aspettare che Pristina o Belgrado oppure quest’ultimo e l’UNMIK decidano con troppa calma quando iniziare questi negoziati. E’ certo che non troveremo alcun accordo sullo status finale del Kossovo ma se siamo veramente amanti della democrazia riusciremo a combattere assieme per la libertà di movimento, per la sicurezza, per la tolleranza. Non possiamo affermare di essere democratici se non ci battiamo per creare le condizioni che permettano a ciascuno di ritornare alle proprie case”, ha affermato Trajkovic.

Gli albanesi: un Kossovo indipendente

Sono trascorsi già quattro anni dalla fine del conflitto ma i leader dei tre maggiori partiti albanesi – Ibrahim Rugova, Hashim Thaqi e Ramush Haradinai – non si incontrano e non dialogano l’uno con l’altro. “Molti politici antepongono i propri interessi personali e gli interessi del proprio partito politico all’interesse generale del Kossovo. Questa è la ragione per cui si affronta la questione dell’avvio dei negoziati solo se pressati dal governatore dell’UNMIK” commenta Adem Demaqi, ex portavoce dell’UCK.
I leader albanesi sono concordi sul fatto che il Kossovo debba essere indipendente. Ed iniziano i dissidi su chi debba condurre i negoziati. “Si deve elaborare una piattaforma programmatica sulla quale basare i negoziati con la Serbia. Dobbiamo creare un terreno comune tra tutti i partiti politici rappresentati in Parlamento, siano essi serbi od albanesi, ma devono anche essere coinvolti i gruppi non-parlamentari, le organizzazioni non-governative, l’Accademia kossovara delle arti e delle scienze. La dichiarazione di Thaqi che è pronto a recarsi a Belgrado è pura propaganda. Né LDK di Rugova e neppure il partito di Thaqi possono avviare il dialogo con Belgrado senza prima concordare la propria posizione con tutti i leader albanesi. Dopo l’elaborazione di una piattaforma comune spetterà al Parlamento indicare una delegazione che avrà il mandato di condurre i negoziati sulla base di quanto già deciso”, ha affermato Naim Maloku, vice presidente dell’Alleanza per il futuro del Kossovo, parlamentare nell’Assemblea nazionale ed ex comandante dell’UCK.
L’opinione pubblica kossovara senza dubbio condivide che non si debba concedere nulla sulla questione dell’indipendenza. Quando ho chiesto alle persone incontrate per strada che tipo di Stato potrebbe essere il Kossovo anche considerando la criminalità rampante e l’inefficienza che è emersa in questi anni mi hanno risposto che un Kossovo indipendente è il prerequisito per la democratizzazione dello stesso. Ho posto la stessa domanda a Enji, che possiede un panificio a Gracanica, ma originario di Prizren. “Un Kossovo fottuto” la sua risposta.

Kole Berisha, vice presidente dell’LDK parlamentare nell’Assemblea kossovara è convinto che i negoziati tra Pristina e Belgrado si terranno a Bruxelles. “E’ il luogo più adatto per parlare del destino del Kossovo” è inoltre convinto che verranno affrontate soprattutto questioni pratiche “saranno argomenti tecnici quelli a tenere banco. Tra questi il pagamento delle pensioni maturate dagli albanesi del Kossovo, la questione delle fosse comuni, le infrastrutture, il crimine organizzato, le targhe delle automobili ecc. USA ed UE dovranno essere presenti a questi incontri e giocare il ruolo di garanti degli impegni assunti dalle parti”.
Berisha ha tenuto inoltre a precisare la differenza sostanziale tra i negoziati su questioni pratiche e i negoziati sullo status finale della regione. “Ci aspettiamo all’inizio di discutere questioni pratiche e solo più tardi ci si occuperà dello status finale del Kossovo. All’inizio anche le questioni pratiche potrebbero sembrare di facile soluzione ma qualsiasi cosa in Kossovo che coinvolga serbi ed albanesi è altamente politico. Anche se si parla di Madre Teresa vi sono sempre connotazioni politiche”.

Altra questione interessante è quella legata a come la comunità albanese considera la proposta serba di dividere il Kossovo in due Entità. “In un Kossovo indipendente i serbi vivrebbero molto meglio che in un Kossovo parte della Serbia. Sono uno che ha combattuto per la libertà e per questo sono finito anche in prigione. Ora, in un Kossovo indipendente, sarei pronto a battermi per la libertà della minoranza serba, anche se per questo fossi obbligato ad affrontare nuovamente la prigionia” commenta Kole Berisha “la comunità internazionale deve rendersi conto che i serbi del Kossovo vengono manipolati da Belgrado sulla questione della divisione della regione. Il Kossovo non verrà mai diviso, la Serbia non riuscirà a dividerlo. Noi ci opporremo anche combattendo, e non solo noi ma tutti gli albanesi nel mondo. I negoziati avranno come oggetto l’indipendenza del Kossovo e non una sua divisione. Chiederemo a Belgrado ed alla Comunità Internazionale di riconoscere quest’indipendenza”. Adem Demaci, presidente dell’ “Associazione Dardania per la libertà di pensiero”, e rinchiuso per 28 anni nelle prigioni jugoslave, considera che il concetto di autogoverno applicato alle enclaves serbe sia molto pericoloso. “Questo è un piano esclusivamente serbo. Con la scusa della decentralizzazione si contribuisce a rendere etnicamente pulite determinate aree. Preoccupante anche se si tratta solo di alcuni villaggi. Attraverso la richiesta della decentralizzazione si chiederà poi di non dipendere dalla municipalità di riferimento e si rischia la creazione di una polizia, di un settore d’assistenza sociale e sanitaria separata ecc. Alla base di questo vi è il tentativo di creare dei cantoni serbi, uno Stato separato all’interno del Kossovo stesso e prima o poi questi ultimi chiederanno di essere nuovamente congiunti alla Serbia. Dopotutto è già stata creata nel nord del Kossovo una comunità di municipalità serbe che comprendono il 20% del territorio del nord del Paese. Sto parlando di Zubin Potok, Leposavic, Mitrovica nord, Zvecane. La KFOR è solo formalmente presente in queste aree ed il ponte sul fiume Ibar, che divide in due Mitrovica, è controllato dal contingente francese della KFOR esclusivamente per impedire agli albanesi di recarsi nella parte serba della città”.

Nella stampa albanese è più di una volta stata indicata la data del 2005 come il termine entro il quale lo status della regione verrà definito. “Non è una questione bilaterale. Occorre raccogliere un largo consensus tra le potenze mondiali. Consensus che certo ora non esiste. Ci potrebbe essere qualche progresso per il 2005 ma la questione dello status non sarà certo risolta entro quella data. Le negoziazioni potrebbero protrarsi per uno, due, cinque ma anche dieci anni. Ci troveremo davanti ad un processo di costruzione del consenso, minacciato di continuo”, prevede Skelzen Malici, intellettuale di Pristina.

Kossovo Polje: la battaglia sull’ospedale

Ad un primo sguardo nulla sembra cambiato in Kossovo. Gli albanesi continuano ad insistere su di un proprio Stato, i serbi vogliono rimanere all’interno dei confini della Serbia, ed i funzionari di alto livello della comunità internazionale, responsabili dell’amministrazione della regione, sono alla ricerca disperata di buoni esempi di convivenza multietnica tra le due parti in conflitto. Durante i quattro anni di dopoguerra la questione multietnica è stata “balcanizzata” ed ha acquistato nuovi significati. Momcilo Trajkovic accusa la comunità internazionale di voler avviare progetti multietnici solo nelle enclaves, dove risiedono i serbi, e non a Pristina, dove non ci sono serbi.

Il 19 giugno scorso il contingente russo ha lasciato il presidio dell’ospedale di Kossovo Polje. Al suo posto sono arrivate le pattuglie dell’UNMIK. Mentre i pazienti stavano nei loro letti i medici ed infermieri protestavano davanti all’ospedale contro l’arrivo della polizia dell’UNMIK. Si è assistito anche al lancio di lacrimogeni. Infine la polizia dell’UNMIK se ne è andata ed i serbi di Kossovo Polje e dei villaggi vicini hanno creato un comitato di crisi in modo da controllare direttamente l’ospedale. La popolazione serba è in particolare in polemica con il sindaco internazionale dell’area che ha dichiarato che l’ospedale di Kossovo Polje sarebbe superfluo poiché vi sarebbe, a meno di un ora di macchina, quello di Mitrovica nord. Ma la comunità serba ha caldamente protestato facendo notare come gli appartamenti alla comunità albanese hanno più ospedali dove farsi curare: innanzitutto a Pristina ma poi anche a Pec, Gniljane, Urosevac, Prizren …
Scambio due parole con un medico che lavora nella struttura di Kossovo Polje. Non vuole nemmeno che lo fotografi. Aleggia molto nervosismo e molti dei serbi che incontro indossano ben evidenti collane d’oro con la croce ortodossa. “Vai pure a Pristina e fai una foto all’ospedale principale. Poi portamela perché è anni che non lo vedo“, afferma perentorio ed in modo polemico. Molti dei medici che lavorano a Kossovo Polje lavoravano prima nella capitale della regione e sono stati poi licenziati ed espulsi dalle loro case. Mi faccio indicare su di una cartina da quali villaggi sono stati espulsi. Ma mi accorgo dell’errore troppo tardi. Dalla mia borsa avevo tirato fuori una cartina titolata “Repubblica del Kossovo”, tutti i nomi delle località indicati esclusivamente in albanese. “Ma che è questa cartina albanese!” reagisce il medico con rabbia. Un gruppo concitato di persone si è messo ad indicare varie località sulla cartina innervosendosi sempre più alla vista dei nomi albanesi. Mentre tutti osservavano la mappa in una strada vicina è passato una colonna d’automobili, in modo chiassoso si festeggiava un matrimonio. “Fanno sempre così” si lamenta una donna “gli albanesi passano qui suonando i loro clacson in modo da irritarci”. Era mezzogiorno ed il muezzin iniziava il suo canto per invitare alla preghiera. “Ascoltali!” è stato il commento spregiativo ed all’unisono dei presenti.
Attualmente cinquanta uomini, in gran parte parenti dei pazienti, stanno controllando l’ospedale. “Sono dieci i medici che lavorano nella struttura e non più di una trentina i pazienti” racconta Miroslav Velikovic, membro del comitato di crisi e sindaco del villaggio vicino di Brestija. “Nella municipalità di Kossovo Polje abitavano 20000 serbi, ora non ne restano che 4000” afferma. Anche lui sembra concordare con le posizioni di Trajkovic. “Gli albanesi di Kossovo Polje vogliono che la scuola “Sveti Sava” e l’ospedale divengano multietnici. E’ solo un modo per mandarci via. Che si inizi permettendo ai nostri medici di ritornare a lavorare a Pristina, Pec, Djakovica, Mitotica … “, si sfoga Miroslav.

E' un Kossovo che, nonostante aluni cambiamenti, rimane di visioni duramente contrapposte.
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