I rischi del nuovo umanitarismo militare
15.11.2001
scrive Davide Sighele
Dall'Afganistan al Kossovo. Loris De Filippi, MSF Italia, parla delle pericolose commistioni tra intervento militare ed intervento umanitario.
Loris De Filippi è oggi responsabile del reclutamento sanitario di MSF Italia. Recentemente ha preso chiaramente posizione contro il lancio di aiuti umanitari denunciando come rischiassero più di mettere in ulteriore pericolo la popolazione afgana che non alleviarne le sofferenze. Lo ha fatto in un’intervista pubblicata integralmente sul sito di MSF Italia dove ha anche evidenziato i rischi connessi a quello che può essere definito quale il nuovo “umanitarismo militare”. Quando un esercito, con propri fini ed obiettivi, diviene soggetto primario dell’aiuto umanitario. Loris parteciperà quale relatore al convegno “Dieci anni di cooperazione con il sud est Europa: bilancio, critiche, prospettive…”. Abbiamo voluto anticipare la sua presenza a Trento con una breve intervista.
Nel 1999 è stato impegnato con MSF in Kossovo dove si è spesso sentito parlare di “guerra umanitaria”, termine che certo non cela una forte commistione tra l’aspetto militare e quello umanitario. Che riflessi ha avuto questa ambiguità sulla vostra presenza e sul lavoro da voi svolto sul terreno?
Io essenzialmente ho lavorato nella prima parte della crisi in Albania e quindi nella zona di Kukes, ai confini con il Kossovo. Effettivamente ci siamo ritrovati a lavorare in una situazione molto complicata nella quale eravamo una delle poche organizzazioni che portavano aiuto umanitario mentre c’era una serie di agenti cosiddetti “umanitari” nuovi ed inediti. In primis l’esercito italiano, che attraverso la croce rossa militare gestiva il campo di Kukes I. Il campo di Kukes II era gestito invece dalla Missione Arcobaleno che in ogni modo aveva una componente governativa molto rilevante. Ci siamo quindi ritrovati a dividere lo spazio umanitario con nuovi attori. Ed è stato molto difficile perché agendo con fondi propri, non certo immensi ed anzi piuttosto ristretti, avevamo moltissimi problemi ad esempio dal punto di vista logistico e ci siamo invece resi conto di quanto potesse essere forte l’impatto di questi nuovi agenti umanitari militari che arrivavano e potevano disporre di mezzi molto importanti.
Con quali conseguenze?
E’ stata a mio avviso un’ecatombe dal punto di vista dell’aiuto umanitario. Gli aiuti si sono infatti concentrati su pochissimi profughi. C’erano circa 35.000 persone a Kukes ospitate in maniera molto penosa, in case locali ed in strutture fatiscenti, di cui nessuno si faceva carico se non alcune organizzazioni umanitarie indipendenti. Mentre si è invece pensato di ricoverare moltissime persone in questi campi profughi che avevano senza dubbio standard altissimi rispetto a quelli che potevamo proporre noi. Ma si tenevano ad esempio 16.000 persone in una situazione tutto sommato buona mentre altre 50 o 60 mila non venivano considerate.
Quali le problematiche sollevate da questo tipo di intervento?
Il più grosso problema del nuovo umanitarismo militare consiste nel fatto che l’intervento risponde ad una precisa logica di propaganda e non tiene invece conto dei bisogni reali. Spesso questi nuovi soggetti non sono in grado ad esempio di fare una valutazione dei problemi della grande massa. Non sono in grado di intervenire in maniera capillare. Molto spesso operano in maniera impreparata.
Anche perché gli scopi dei militari sono ben altri. L’esercito ha degli obiettivi molto precisi, che sono obiettivi politici. Va a salvaguardare i bisogni di un Paese e molto spesso questi ultimi non coincidono con i bisogni delle vittime. Questa è stata la nostra grossa denuncia su ciò che stava capitando in Kossovo ed in Albania.
In realtà poi questa situazione si è ripetuta poi una volta entrati in Kossovo. Abbiamo collaborato come Osservatorio ad una ricerca sulla realtà di Pec/Peja e sui rapporti tra apparato militare ed ONG dove è risultato chiaramente che i compiti specifici della missione militare si stessero allargando comprendendo anche compiti che erano in precedenza esclusiva degli organismi, governativi e non, civili. Proprio partendo dai grossi vantaggi logistici che l’esercito si ritrova ad avere.
Noi, ed in questo caso parlo di MSF Belgio, ce ne siamo andati a gambe levate quando abbiamo iniziato a percepire che l’esercito poneva dei vincoli enormi all’aiuto umanitario e prendeva di fatto delle parti, ben precise. Ovviamente l’azione umanitaria è un’azione neutrale ed imparziale. Noi riteniamo che nessun governo, soprattutto nessun esercito che sta combattendo di fatto contro una delle parti, possa essere neutrale ed indipendente. Con questo non voglio dire che alcuni medici militari non abbiano uno spirito “umanitario”, questo è evidente e vi sono strutture che hanno curato ad esempio serbi e kossovari. Ma bisogna ricordare che di fatto ci furono posti dei vincoli enormi per i quali non tutte le persone ad esempio nell’area di Mitrovica ricevevano lo stesso tipo di trattamenti. E questo era inaccettabile.
In questo contesto le ONG garantiscono di per sé un’indipendenza o dipendendo dai fondi spesso governativi della cooperazione allo sviluppo sono parte “del meccanismo”?
E’ quello di cui parlavo prima. Quando si parla di azione umanitaria bisogna fare molta attenzione non solo al valore semantico della parola “umanitario” ma alla sua essenza. L’azione umanitaria deve essere svolta in maniera neutrale ed imparziale e soprattutto indipendente. Indipendente significa innanzitutto indipendente dal punto di vista economico. Il fatto di operare con fondi propri garantisce a MSF, Oxfam, Care di promuovere azioni tutto sommato indipendenti.
Cioè si porta aiuto alle vittime non interessandosi se, secondo alcune logiche, uno viene considerato vittima o carnefice, solo facendo il proprio lavoro. Salvo poi promuovere un documento nel quale si denunciano la violazione dei diritti dell’uomo.
Ad esempio una ONG italiana che lavora con fondi del Ministero degli Esteri per l’80% non può essere definita indipendente ed io inizio a mettere in dubbio che il suo operato possa essere definito quale “azione umanitaria”.
MSF, come altre organizzazioni, ha la forza di dipendere da fondi propri. MSF Italia prende ad esempio il 98% dei propri fondi da privati ed il 2% da fondi istituzionali ma non governativi quali possono essere ad esempio gli enti locali. E questo permette di lavorare con una certa autonomia.
Questo elemento è messo in evidenza anche sul vostro sito di MSF Italia.
Si, siamo infatti molto lontani dal dipendere dal Ministero degli Affari Esteri e dal Governo italiano. Soprattutto in un Paese che può essere considerato quale “belligerante”.