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Kossovo: un’amministrazione internazionale impotente

23.03.2004   

Traduciamo e pubblichiamo un articolo di Jean-Arnault Dérens, giornalista e direttore di Le Courier des Balkans, sito francese ‘cugino’ dell’Osservatorio sui Balcani.
Le Courier des Balkans
Di Jean-Arnault Dérens – Le Courier des Balkans

Una settimana dopo i tre giorni di scontri che hanno incendiato il Kossovo la missione delle Nazioni Unite fa un bilancio: 25 morti, 867 civili feriti, 286 case incendiate, 30 chiese ortodosse date alle fiamme, 11 monasteri distrutti … “Niente faceva prevedere tale esplosione di violenza …” ammette Jean-Christian Cady, a capo del dipartimento polizia e giustizia dell’amministrazione ONU del territorio. Secondo quest’ultimo l’emozione suscitata dall’annegamento dei tre ragazzini albanesi originari di un villaggio nei pressi di Mitrovica, nel pomeriggio del 16 marzo scorso, è stata successivamente strumentalizzata da elementi estremisti perfettamente organizzati.
Il dramma dei giovanissimi Egzon Veliu, Avni e Florent Veseli, tutti e tre di circa dodici anni, è ancora per molti versi poco chiaro. Secondo l’unico testimone sopravvissuto, Fetim Veseli, fratello di Florent, i ragazzini giocavano nei pressi del fiume Ibar, che scorre nei pressi di Cabra, il loro villaggio, ad una decina di chilometri da Mitrovica. Durante la guerra questo villaggio era stato praticamente raso al suolo dalle forze serbe. Alcuni giovani serbi del vicino villaggio di Zupce li avrebbero insultati, attaccati ed i ragazzini sarebbero annegati nel fiume nel tentativo di scappare.
Gli abitanti serbi di Zupce smentiscono lo scenario. Bogoslav Petrojevic abita la casa più vicina al luogo dell’incidente. “La spiegazione di quanto avvenuto data dagli albanesi non è sostenibile: nessun serbo avrebbe osato avvicinarsi al fiume per provocare dei giovani albanesi. E’ dal 1999 che non osiamo avvicinarci a Cabra”. I due villaggi s’osservano da lontano da quando è stato creato il protettorato internazionale in Kossovo e gli abitanti delle due comunità, una volta amici o soci in affari, non si parlano più. Altri abitanti serbi avanzano una diversa spiegazione di quanto avvenuto: i giovani albanesi hanno magari giocato in modo imprudente e sono caduti nel fiume le cui acque sono molto fredde e piene di gorghi pericolosi.
L’inchiesta della polizia è stata interrotta a causa dello scoppio delle violenze ma l’autopsia escluderebbe che i ragazzini abbiano ricevuto dei colpi. In ogni caso la notizia del “linciaggio” dei giovani albanesi da parte dei serbi, enfatizzato dai media, è stato sufficiente ad avviare scontri prima nella vicina Mitrovica e poi in tutto il Kossovo. Divisa in una parte serba ed una albanese, Mitrovica è una polveriera, che ha avuto esplosioni regolari durante tutti i cinque anni di protettorato internazionale. Al contrario mai incidenti multietnici si erano verificati contemporaneamente in così tante località del Kossovo.
Il ghetto serbo di Ljipljane, cittadina situata ad una ventina di chilometri da Pristina, è stata oggetto di attacchi concentratisi il mercoledì ed il giovedì sera. Ljipjane ha conosciuto due serate di vero e proprio Progrom. Prima degli incidenti 2000 serbi abitavano prevalentemente il centro città ma spesso le aree dove abitavano serbi ed albanesi si sovrapponevano. I rivoltosi albanesi hanno sistematicamente incendiato ed attaccato le case serbe. Secondo i testimoni si trattava di giovani e giovanissimi, sui 16-17 anni. Ciononostante gli attacchi erano coordinati perfettamente ed hanno colpito contemporaneamente diverse zone della città, in modo che i soldati della KFOR risultassero disorientati. Anche i corpi della polizia multietnica del Kossovo (KPC) sono stati presto presi in contropiede ed alcuni poliziotti serbi si sono accontentati di andare ad avvisare i civili serbi di abbandonare e fuggire rapidamente dalle loro case. Quasi la metà delle case serbe sono andate distrutte ed i loro abitanti sono ancora rifugiati nel campo della KFOR finlandese e nei villaggi serbi dei dintorni.
Ljipljane aveva conservato una popolazione mista, anche se la città era un bastione degli ex-combattenti dell’UCK, che dominano la municipalità.
Molti sguardi ora si girano verso il TMK, forza di protezione civile all’interno della quale sono stati inquadrati molti ex-UCK. Proprio uomini del TMK potrebbero aver guidato le proteste.
Jean-Christian Cady ammette che le forze internazionali sono state sopraffatte e promette inchieste rapide su membri dei KPC che si sarebbero schierati con i promotori dei disordini. Esonera invece il TMK di ogni responsabilità, sottolineando che a Prizrene e Gnjilane gli uomini di questa unità hanno svolto il ruolo di intermediari tra i manifestanti ed i soldati della KFOR.
I partiti politici albanesi hanno denunciato le violenze ed il governo del Kossovo si è impegnato a finanziare la ricostruzione delle case distrutte. Molti dirigenti albanesi cercano di direzioanre i sospetti verso alcune piccole formazioni politiche radicali, tra le quali il Movimento popolare del Kossovo (LPK) guidato da Emrush Xhemaili, Ciononostante, questo movimento, radicato in particolare nelle comunità kossovare in Germania e Svizzera, non sembra disporre di reti sufficienti di militanti. Per Jean-Christian Cady tutti i partiti albanesi sarebbero attraversati trasversalmente da correnti più o meno radicali. “Alcuni hanno creduto di poter sfruttare quanto stava accadendo per provocare la divisione ‘de facto’ del Kossovo e per fare accelerare radicalmente il dibattito sullo status giuridico finale del territorio”.
Nemmeno Oliver Ivaniovic, membro della Presidenza dell’Assemblea del Kossovo e dirigente carismatico dei serbi di Mitrovica, vuole accusare il solo TMK. “Ci sono sempre almeno 1000 uomini armati in Kossovo pronti ad intervenire e che obbediscono a due-tre gruppi clandestini differenti. Molti degli ex-combattenti non hanno ancora dimenticato la ‘belle époque’ durante la quale il possesso di un’arma garantiva determinati diritti”.
S’impone un’unica certezza: l’amministrazione internazionale è stata presa in completo contropiede. “Abbiamo abbassato la guardia” riconosce Jea-Christian Cady “per due ragioni: volevamo dare un’immagine di normalità, rompere con l’immagine di un Kossovo in assedio permanente. Contemporaneamente le truppe a disposizione erano diminuite”. In cinque anni gli effettivi della KFOR sono in effetti passati da 40.000 a 19.000 uomini ed i responsabili civili e militari internazionali sono stati totalmente incapaci di presagire l’esplosione della settimana scorsa.

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