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giovedì 08 settembre 2022 13:48

 

Kossovo: ricostruire il sistema di salute mentale

04.12.2001   

Dove sono finiti i malati mentali in Kossovo? Quale l’atteggiamento della comunità internazionale? Si sta cercando di ricreare un sistema di salute mentale e come? Alcune risposte in questo interessante articolo di Hannah Roberts pubblicato su The Lancet
Il 17 novembre gli abitanti del Kosovo voteranno per una nuova Assemblea. Queste votazioni seguono 2 anni e mezzo di amministazione delle Nazioni Unite, stabilitesi nel paese dopo la guerra. La nuova assemblea, sebbene ancora soggetta all’autorità delle Nazioni Unite, avrà il compito di governare la provincia. Questa è una grande sfida, specialmente per quanto riguarda la sicurezza degli individui che verranno eletti.
Durante la guerra tutta la popolazione era vulnerabile, compresi gli individui affetti da disturbi mentali. L’ospedale psichiatrico di Prishtina venne occupato dalle forze serbe; i pazienti divennero scudi umani.Per 4 mesi non poterono abbandonare l’ospedale, subendo carenze di cibo, acqua, medicinali e sottostando a frequenti episodi di abusi sessuali da parte dei soldati.
A Shtimie/ Stimlje, i 300 ospiti ebbero analoga sorte. I 13 infermieri che decisero di rimanere presso la struttura, nonostante le minacce, sono oggi considerati eroi di guerra per aver rischiato la vita per coloro che la società normalmente marginalizza. Anche in tempo di pace.
Per uno scherzo del destino, l’aiuto della comunità internazionale è risultato scoordinato, di breve durata. Una sorta di “toccata e fuga”.
Originariamente Shtimie/Stimlje (scritto in Albanese e Serbo rispettivamente) era stato concepito per ospitare “bambini mediamente ritardati”. Si è evoluto in seguito, dedicandosi al supporto, non medico, dei cosiddetti “casi sociali”. Fino a prima del conflitto è stato un centro di raccolta di casi clinici che l’apparato sanitario Yugoslavo non era in grado di gestire.
In breve quindi la struttura si è riempita di individui affetti dalle patologie più disparate (problemi di salute mentale, incapacità di apprendimento, epilessia, disfunzioni motorie, ma anche casi di ragazze madri e bambini abbandonati).
Tutte queste persone vivevano in condizioni di detenzione, pur non avendo mai subito un processo legale.
Dal 1999 la Croce Rossa Norvegese ha avviato un programma all’interno dell’ospedale, fornendo alla struttura il suo primo psichiatra. Quando Marcos Pisaca è arrivato le condizioni erano barbariche. Il livello di tensione generale era molto alto. Regolarmente si verificavano aggressioni violente con conseguenze anche gravi. Inoltre gli edifici erano pesantemente danneggiati e privi di una qualsiasi forma di riscaldamento.L’impegno della Croce rossa non è stato solo quello di far fronte all’urgente emergenza umanitaria, ma anche di formare uno staff locale competente. Originariamente non c’era alcun rispetto per i diritti umani dei pazienti. Non venivano effettuate medicazioni neppure quando le ferite conseguenti alle aggressioni erano profonde, potenzialmente pericolose. In tutti gli infermieri era ferma la convinzione che non ci fossero possibilità di guarigione per questo tipo di malati. Infine, essendo il budget istituzionale direttamente proporzionale al numero di malati ricoverati, piuttosto che concentrarsi sulla riabilitazione dei pazienti, lo staff mirava ad una loro progressiva e via via più profonda dipendenza farmacologica, in modo da far aumentare il numero degli ospiti e quindi delle risorse a disposizione. Le conseguenze sono evidenti.
Attualmente l’ospedale psichiatrico di Shtime/Stimlje sta cercando di ricollocare tutti i residenti in centri di assistenza locali. La deistituzionalizzazione è un processo complicato dal gran numero di residenti serbi, originari di altre zone dell’ex-Yugoslavia. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha offerto il suo aiuto e il supporto logistico necessario. L’UNHCR ha già cominciato ad investigare sulla provenienza di ciascun paziente per consentirne il rientro nel paese di provenienza. Ma quest’anno solo 9 pazienti sono tornati a casa.
Ironicamente, piuttosto che condizioni disumane, questo tipo di istituzioni hanno offerto e continuano ad offrire un senso di armonia multietnica che non è possibile trovare nel resto del Kosovo. Non a caso si dice che Shtime/Stimlje è l’unico luogo in Kosovo dove le origini non sono importanti.
La riabilitazione, specialmente dei pazienti Serbi e in generale appartenenti a minoranze, è la vera sfida.
Una delle difficoltà maggiori da fronteggiare è l’assenza di strutture di assistenza localizzate, di cui abbondano i progetti sulla carta, ma che non sono state ancora realizzate.
Inoltre c’è una mancanza cronica di infermieri specializzati.
Altri ostacoli sono da imputarsi al vecchio sistema sanitario centralizzato che non ha permesso lo sviluppo di servizi esterni alle strutture ospedaliere, ma anche ad una cultura che non crede nella riabilitazione di pazienti affetti da questo tipo di patologie e, infine, dalla convinzione che l’intervento biologico sia l’unico tipo di intervento sensato.
Attualmente il dibattito sulle possibili riforme del sistema di cura mentale del Kosovo è molto acceso. Un nodo spinoso riguarda la creazione di una struttura legale provvisoria che si occupi del rispetto dei malati. A questo proposito sono sorte due scuole di pensiero.
C’è chi si oppone ai provvedimenti legali contro la detenzione forzata sostenendo che questa politica devierebbe il denaro dalle risorse locali ad un ulteriore apparato burocratico. La tesi centrale è che le leggi sono importanti, ma dovrebbero passare dopo che apposite strutture fossero già sul territorio, non prima.Per altri invece, la mancanza di una legislazione ad hoc a priori, potrebbe comportare la violazione sistematica dei diritti umani, esponendo i singoli individui al rischio di essere imbottiti di farmaci, di essere lasciati soli e vulnerabili all’interno delle comunità o spersi in mezzo al sistema giudiziario o in istituzioni non adeguate.
Ad ogni modo un piano strategico per la salute mentale è già stato sviluppato (dicembre 2000 n.d.t.), con lo scopo di agire attraverso centri locali, case-famiglia e apposite strutture. Attraverso il supporto di una rete di dottori e infermieri il piano propone di occuparsi anche degli individui presenti nelle enclaves.
Creare una nuova struttura per la cura delle patologie mentali in Kosovo è un’opportunità esaltante e da non perdersi. Non a caso tutte le agenzie coinvolte stanno impegnandosi per raccogliere finanziamenti. Ma Shtime/Stimlje non fa affidamento sui donatori, a causa delle numerose difficoltà nello smantellamento delle attività. Ciò che lascia perplessi è la fine dell’attività della Croce Rossa Norvegese, prevista per la fine di dicembre, a cui non farà seguito alcun tipo di intervento.
Purtroppo in questi ultimi 2 anni e mezzo di protettorato delle Nazioni Unite, non è stato fatto abbastanza per la gestione della salute mentale e per la salvaguardia della libertà personale e del diritto alla salute, e questo in aperta violazione delle linee guida elaborate nel 1991 nei “Principi per la protezione delle persone con disturbi mentali”.
Ogni singolo passo sembra compiuto più grazie allo sforzo dei singoli individui piuttosto che grazie alle istituzioni che dovrebbero “garantire lo sviluppo di dinamiche tali da garantire il rispetto di questi principi” (Principio n°22 del documento).
La realtà è che il cammino verso un appropriato sistema sanitario per gli individui affetti da disturbi mentali è ancora molto lungo.
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Fonti: Caritas Italiana |