Sono molte le famiglie che ancora, a 5 anni da quel tragico 1999, non conoscono il destino dei loro cari. Albin Kurti e la sua associazione si battono, tra molte difficoltà, affinchè su questi 'desaparecidos' balcanici si faccia chiarezza. Un'intervista.
Manifestazione
Nessuno pensava che la polizia avrebbe avuto il coraggio di toccare i famigliari degli “scomparsi”, una categoria del tutto speciale per la gente del Kossovo. La maggior parte di questi sono madri che da cinque anni cercano di sapere di più del destino toccato ai propri figli, rimasti ostaggi della guerra. Difficile resistere alla compassione se si avvicinano queste donne. Il numero degli scomparsi durante il conflitto che ha viso opposto albanesi del Kossovo e Serbia è di 4000 persone. E nel giorno degli scomparsi, che si celebra in tutto il mondo il 30 agosto per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla questione, la polizia dell’UNMIK ha usato la forza. Decine di madri ed organizzatori della manifestazione tenutasi a Pristina sono stati bloccati ed arrestati. La reazione dei dimostranti è stata però tale da far mutare atteggiamento alla polizia. Fonti confidenziali affermano che ad un certo punto la UNMIK Police ha addirittura temuto che si potessero verificare nuovi scontri come quelli di marzo. Nel pomeriggio quindi il controllo è stato meno serrato ed ai manifestanti – che non avevano richiesto l’apposito permesso per scendere in strada - è stata lasciata la possibilità di gridare slogan in prevalenza contro l’amministrazione internazionale UNMIK . Tra gli arrestati anche Nesrete Kumnova, donna che ha perso in guerra otto famigliari ed a capo dell’associazione “Le donne degli scomparsi”. Arresto anche per Albin Kurti, in passato leader studentesco, poi un anno nelle carceri in Serbia, ora attivista di Kosova Action Network. Lo abbiamo intervistato sulla questione degli scomparsi, una questione politica estremamente delicata tra il Kossovo e la Serbia.
Alma Lama: Durante le proteste la polizia dell’UNMIK ha utilizzato la forza. Perché pensi sia successo?
Albin Kurti: I corpi speciali della polizia dell’UNMIK sono costituiti in prevalenza da gendarmi rumeni. Questi ultimi non hanno esitato ad intervenire brutalmente contro i famigliari degli scomparsi ed anche contro noi attivisti del Kosovo Action Network. Questo nonostante si stesse dimostrando pacificamente. 38 persone sono state arrestate ed alcune decine sono risultati i feriti. E questo è accaduto proprio durante la giornata che voleva celebrare gli scomparsi, mentre le madri cercavano un po’ di luce per chiarire il destino dei propri figli.
La guerra è terminata da cinque anni e mancano all’appello 3500 persone e più di 700 cadaveri si trovano nelle fosse comuni in Serbia. L’UMIK è un’istituzione intoccabile che governa senza rispondere al Paese di ciò che fa. La polizia è intervenuta in modo violento perché poteva farlo, senza alcun pretesto od ammonimento. Una mezz’ora prima dell’inizio della manifestazione un alto ufficiale dell’UNMIK è venuto verso di me ed un esiguo gruppo di persone, non più di 8. Lui ci ha invitati ad andarcene. Due minuti dopo Nesrete Kumnova, a capo delle madri degli scomparsi, è stata ferita ed arrestata dai poliziotti UNMIK, istituzione che sta affondando, con tutto il suo potere.
AL: Avevate avuto il permesso di manifestare?
AK: No, non avevamo il permesso per la manifestazione. Non perché ci sia stato negato ma perché non lo abbiamo richiesto. Ma la polizia, due giorni prima della manifestazione, è stata informata di tutti i dettagli, attraverso un documento ufficiale. Anche in quest’occasione ci siamo comportati come nelle altre proteste, ne più ne meno. Ed in altri casi non si era verificata alcun disordine. Anche l’opinione pubblica era ben informata su quanto era stato organizzato attraverso i media, a partire da 4 anni prima delle manifestazioni.
AL: Quali sono stati i motivi degli arresti?
AK: Noi siamo stati arrestati solo perché eravamo distinti dagli altri protestanti. La polizia voleva sicuramente arrestare i leader e gli organizzatori. Nessuno ha chiarito le ragioni dell’arresto, né sul momento, né più tardi. Siamo rimasti sotto fermo per 3 ore. Solo dopo la nostra liberazione le autorità hanno affermato che eravamo stati trattenuti per disturbo alla quiete pubblica. Di fatto sono state le forze di polizia ed i responsabili dell’ordine pubblico ad aver disturbato la quiete pubblica e l’ordine con il loro intervento violento.
AL: In Kossovo è appena arrivato un nuovo amministratore, con la violenza rispetto ai famigliari degli scomparsi non è un buon inizio …
AK: Non vi potrà mai essere un buon inizio per gli amministratori del Kossovo. Il problema riguarda la loro posizione. Anche se sono persone valide si ritrovano a giocare un ruolo dispotico. Per me l’UNMIK rappresenta l’esatto contrario del potere democratico. Il potere in Kossovo non appartiene agli elettori, viene dall’alto ed il potere del popolo è a questo subordinato. Per di più, se non si muta il corso attuale, l’operato dell’UNMIK è alla base della crisi profonda nella quale si ritrova il Kossovo. E naturalmente, se non si trova qualche soluzione, prima o poi la situazione esploderà.
AL: Cosa impedisce, a cinque anni dalla fine della guerra, di far luce sulla vicenda degli scomparsi?
AK: Il governo in Serbia. Non vi è la volontà né politica né umana di risolvere questa vicenda. Perché questo significherebbe affrontare il proprio passato. Molto simili sono le dinamiche per le vittime in Bosnia. Il processo di identificazione dei cadaveri trovati nelle fosse comuni in Serbia sta andando troppo a rilento e poche sono le risorse destinate agli esami necessari. Il governo in Serbia si attribuisce la colpa a mancanza di soldi mentre finanzia per 50 milioni di euro ogni anno le strutture parallele in Kossovo. Le verità sugli scomparsi si trova nei dossier segreti di polizia ed esercito della Serbia. I crimini commessi in Kossovo sono stati conseguenti all’esecuzione di un progetto ed il Tribunale dell’Aja lo sta confermando.
AL: Cosa dovrebbe fare l’UNMIK, la comunità internazionale, i politici kossovari per porre fine a questo dolore?
AK: E’ necessario fare pressioni sulla Serbia e condizionare anche gli aiuti economici, i crediti e gli altri rapporti che si hanno con Belgrado.
AL: La questione degli scomparsi è uno dei quattro punti che si dovevano affrontare nel dialogo con Belgrado, dialogo tanto pubblicizzato ma che ora sembra fallito. Vi sembra corretto che un diritto fondamentale come quello di riavere il cadavere dei propri cari venga trattato come una “questione tecnica” in rapporti tra diplomatici?
AK: Questo dialogo non ha fatto altro che politicizzare ulteriormente questa questione dolorosa e molto grave. Per di più considerarla una questione “tecnica” è un’offesa per le vittime e per le loro famiglie che sono ancora immerse in questo crimine che si perpetua.
AL: Kosova Action Network è un’associazione che ha lavorato molto per il rientro delle salme dalla Serbia e per aiutare le famiglie a ritrovare i propri cari. Quali le più rilevanti?
AK: Abbiamo organizzato una petizione che è stata sottoscritta da 236.311 persone e con in mano quest’ultima ci siamo presentati davanti alle porte delle istituzioni e dei personaggi pubblici più rilevanti, sia locali che internazionali. Allo stesso tempo siamo riusciti ad ottenere che i famigliari degli scomparsi fossero alleviati delle tasse ed avessero libero accesso a determinati servizi pubblici. Tutte le nostre attività sono rese pubbliche sul nostro sito internet: www.kan-ks.org.
AL: Cosa programmate per il futuro?
AK: Sicuramente continueremo on le nostre attività, ne stiamo programmando di nuove. Una cosa è sicura, sulla questione degli scomparsi andremo sino in fondo
Vedi anche:
Croazia, BiH e FRY alla ricerca degli scomparsi