Una corsa affannata contro il tempo. E’ quella della Comunità internazionale per convincere i serbi del Kossovo ad andare a votare. Schede elettorali ristampate, continue eccezioni sulla procedura. Ma sia tra gli albanesi che i serbi del Kossovo sembra regnare lo scetticismo.
Registrazioni per il voto - OSCE
Milan è un ragazzo energico, sui vent’anni, vive a Gracanica villaggio dove la maggior parte degli abitanti sono serbi. Lui è una delle tante persone che non ha alcuna intenzione, alle prossime elezioni per l’Assemblea del Kossovo, di andare a votare. E considera il recente appello del Presidente serbo Boris Tadic di recarsi alle urne come un inganno.
“I serbi del Kossovo devono essere coscienti che la partecipazione alle elezioni rappresenterebbe una grave perdita per loro” afferma in modo molto nervoso. Molti altri sono meno convinti, sono solo disillusi di tutto e per questo indifferenti ad ogni processo politico. Distacco anche tra gli albanesi sulla questione. “Non vogliamo nemmeno saperne del voto dei serbi. Non abbiamo bisogno di loro”, afferma un uomo sulla cinquantina.
E non è l’unico a pensarla in questo modo. Dopo l’appello del Presidente Tadic albanesi e serbi del Kossovo sembrano ancora più irritati di prima. I politici di più alto livello del Kossovo ritengono le condizioni poste da Tadic per il voto dei serbi inaccettabili. Ed interpretano la presa di posizione del Presidente serbo come condizionata della comunità internazionale e volta, soprattutto, a rafforzare non il Kossovo ma le strutture parallele serbe in Kossovo.
Il Presidente del Kossovo, Ibrahim Rugova, alzando le mani al cielo ha affermato come le istituzioni kossovare abbiano già dato la loro disponibilità per intergare la comunità serba in Kossovo ma non accetteranno alcune condizioni in vista delle elezioni. Secondo Rugova “I serbi hanno le porte aperte in Kossovo ma non per ricostruire il potere della Serbia in Kossovo”.
Dall’altra parte invece i serbi del Kossovo interpretano il discorso di Tadic come troppo disponibile nei confronti degli albanesi e lo hanno percepito come un tradimento. Tra questi la Chiesa ortodossa serba, uno dei primi soggetti a fare pressioni sulle istituzioni affinché i serbi del Kossovo non si recassero al voto. “Non ci sono le condizioni per votare in Kossovo” affermano assieme i radicali, il Primo ministro Kostunica e la Chiesa. Gli argomenti sono i soliti: mancanza di sicurezza, mancanza di libertà di movimento, pessime condizioni di vita. Per il primo ministro serbo Kostunica il modo più efficace per garantire la sicurezza in Kossovo è proprio quello di boicottare le elezioni.
In questo panorama che, sino alla presa di posizione di Tadic, sembrava monolitico vi è stato, fin dall’inizio, un movimento ribelle. Un’iniziativa civica, “Gradanska Inicijativa Srbija”, si è registrata per il voto. Sasa Djokic, tra i promotori della lista, afferma ad Osservatorio che certo non ha bisogno del permesso di Belgrado per recarsi o meno alle urne. “I serbi del Kossovo devono imparare a pensare con la loro testa” afferma ribadendo che se riusciranno ad entrare nell’Assemblea si batteranno per realizzare il loro programma. “E se in Assemblea non ci saranno le condizioni per farlo usciremo per non rientrare mai più, non come hanno fatto sino ad ora i leader serbi” conclude Djokic.
Tantissima energia è stata utilizzata per convincere i serbi a recarsi alle urne. A Pristina e Belgrado sono arrivati Mark Grossman, sottosegretario al Dipatimento di Stato USA, Javier Solana, plenipotenziario per la politica estera dell’Unione ed assieme a quest’ultimo Chris Patten, Commissario UE per le relazioni esterne. Sforzi che non hanno ottenuto grandi risultati. Non sono riusciti infatti a far cambiare idea al governo serbo: Kostunica rimane convinto della validità del piano per la decentralizzazione del Kossovo che Belgrado ha recentemente presentato, e che sostanzialmente prevede municipi fortemente autonomi, suddivisi su base etnica.
“Un atto intelligente” ha definito Oliver Ivanovic, uno dei rappresentanti del gruppo Povrtak, l’appello del Presidente Boris Tadic. Ma non la pensa così ad esempio Rada Trajkovic, anche lei di Povratk, che si è detta disperata per l’appello di Tadic. “Un atto politico stupido”. E la spaccatura all’interno dell‘elettorato serbo del Kossovo sembra essere una ferita viva. A Mitrovica più gruppi si stanno scontrando sul piano prettamente politico mentre a Gracanica si sarebbe passati anche alle mani: per differenti opinioni sulle elezioni alcuni cittadini si sarebbero scontrati fisicamente.
Si sta raggiungendo comunque il paradosso. Si è già andati ad una ristampa delle schede elettorali, per garantire sino all’ultimo la partecipazione di un partito serbo alle elezioni. Ma sulle attuali schede è inserito “Povrtak” che si è invece registrato, dopo l’appello di Tadic, con un altro nome: “Lista serba per il Kosovo e Metohija”. Alla porta della Commissione centrale per le elezioni (CEC) ha bussato anche un altro soggetto: Branislav Grbic, da Gracanica, che prenderà parte alle elezioni come candidato indipendente. Secondo l’OSCE anche altri soggetti politici della comunità serba intendono registrarsi. A questo punto la CEC sembra disposta ad una grande eccezione: saranno direttamente gli elettori a scrivere sulla scheda elettorale il nome del soggetto politico al quale desiderano dare il proprio voto. L’OSCE è però nella confusione, non avendo previsto questa situazione del tutto paradossale
Adna Merovci, direttore esecutivo del CEC – per la prima volta dalla guerra un’istituzione locale si occuperà della maggior parte dei preparativi necessari alle elezioni – si è detto pronto ad offrire “tutto l’aiuto tecnico possibile per fare in modo che i serbi si rechino a votare”. Ma è un dato di fatto che tutto questo viola pesantemente il regolamento per le elezioni.
In Serbia e Montenegro verranno aperti 20 centri per le votazioni, in modo da permettere agli sfollati di votare. Un’eccezione voluta fortemente dall’amministratore del Kossovo Jessen Petersen. Infatti le regole prevedrebbero che i cittadini del Kossovo che vivono lontani dal territorio kossovaro possano votare tramite posta. Ma per ordine amministrativo dell’UNMIK (2004/25) i cittadini kossovari che risiedono in Serbia e Montenegro potranno registrarsi e votare presso i centri appositamente allestiti nello stesso giorno. Questa decisione è arrivata in seguito ad un memorandum d’intesa sottoscritto da OSCE e autorità serbe e montenegrine.
C’è qualcuno, in seno alla comunità internazionale, che sembra però scettico su quanto sta avvenendo. Tra questi, dicono alcune fonti all’interno dell’OSCE, vi sarebbe anche Antonio Tehov, rappresentante nella Provincia del Kossovo, del Consiglio d’Europa. “Tutti i soggetti devono essere trattati con la stessa misura”, avrebbe affermato quest’ultimo.
Anche questa volta comunque i circa 200.000 albanesi del Kossovo che vivono all’estero non potranno votare. Il Kossovo non può aprire centri di voto all’estero anche e soprattutto perché non è uno Stato. La votazione via posta riguarderà invece solo un numero esiguo di persone: quelli che si sono registrati per votare con questa modalità sarebbero meno di 6000.
C’è di più. Centinaia di cittadini residenti in Kossovo non potranno votare. A causa dei ritardi e dei mesi necessari per ottenere un qualsiasi documento di riconoscimento.
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