L’intellettuale kossovaro Shkëlzen Maliqi è stato uno degli ospiti dell’Osservatorio lo scorso fine settimana a Venezia. Quello da lui descritto è un Kossovo vittima di blocchi contrapposti. Lo scrittore analizza diversi scenari: l'indipendenza, la divisione, una procedura accellerata di integrazione nella UE.
Shkëlzen Maliqi, Alessandro Rotta, Biserka Ivanovic
L’intervento NATO in Kossovo era effettivamente inevitabile e necessario, come lo era stato l’intervento in Bosnia Erzegovina qualche anno prima. Se la comunità internazionale avesse optato per non intervenire in entrambi i casi, sia la Bosnia che il Kossovo avrebbero subito maggiori distruzioni e le conseguenze per la comunità internazionale sarebbero state inaccettabili e vergognose.
Il Kossovo, in questo senso, è stato particolarmente fortunato poiché la decisione di intervenire è stata fatta rapidamente e la comunità internazionale è stata più decisa rispetto a come ha agito in Bosnia, dove ha esitato troppo, ben 4 anni. L’esperienza della Bosnia e la rapidità e decisione dell’intervento hanno aiutato a tenere basso il numero delle vittime ed il livello di distruzione in Kossovo, in una scala di uno a dieci rispetto alla Bosnia.
Si può anche affermare che l’intervento in Kossovo è stato in qualche modo favorito dal senso di colpa della comunità internazionale rispetto alla pulizia etnica ed alla divisione violenta della Bosnia. Dopo che gli Accordi di Dayton hanno di fatto legalizzato l’aggressione da parte dei serbi e la pulizia etnica ed il genocidio nei confronti dei musulmani di Bosnia non si è permesso di fare altrettanto, tra il 1998 ed il 1999, in Kossovo. La NATO è intervenuta in Kossovo per evitare una catastrofe umanitaria ma è anche intervenuta per porre rimedio agli errori compiuti in Bosnia.
Gli intervenit in Bosnia ed in Kossovo sono termianti con la creazione di due protettorati ad hoc che, a quel tempo, erano una assoluta novità nel panorama delle relazioni internazionali. Questi protettorati hanno aiutato a fermare il conflitto, stabilizzare la situazione e ricostruire la vita sociale ed economica. Ma, alcuni aspetti cruciali di entrambi i protettorati, possono essere descritti come improvvisazioni ed esperimenti.
In Bosnia Erzegovina ciò che è stato creato dopo Dayton è stata un’unione fragile dove il potere effettivo era in mano ad entità etniche e non allo stato centrale, formale e senza effettivo potere. Rimane ancora in dubbio se la comunità internazionale riuscirà o meno ad imporre, e quanto impiegherà a farlo, uno stato più stabile, efficiente ed organico.
In Kossovo il protettorato è stato costruito sulla base di un compromesso tra le forze NATO ed il regime di Belgrado. Nel giugno del 1999 i bombardamenti NATO e le pressioni politiche internazionali hanno obbligato il regime di Milosevic ad assoggettarsi alle richieste dell’Alleanza atlantica. Milosevic ha ritirato le sue forze armate e la sua amministrazione dal Kossovo e queste ultime sono state rimpiazzate dalle missioni internazionali del protettorato (UNMIK, KFOR, …). La risoluzione 1244 delle Nazioni Unite ha però concesso a Milosevic il fatto che il Kossovo rimaneva sotto la sovranità della Repubblica Federale di Jugoslavia. Questa concessione ha avuto, e continua ad avere, conseguenze stagnanti per il Kossovo e l’intera regione.
Il Kossovo rimane ostaggio del suo passato. Si vive sulle barricate ed i problemi sembrano irrisolvibili. Forse il maggior fattore alla base di questa stagnazione è la prospettiva etnica sul futuro del Kossovo stesso.
La maggioranza albanese crede che l’unica soluzione possibile sia quella di un Kossovo indipendente. La minoranza serba, supportata dal governo serbo, vede il Kossovo come parte della Serbia. Il dibattito dominante sull’esclusione reciproca suona un po’ così: i serbi affermano che non possono vivere in un Kossovo indipendente che venga dominato dagli albanesi; gli albanesi dicono che non vogliono e possono vivere in una Serbia dominata dalla maggioranza serba.
Dall’altra parte i protettori internazionali insistono sul modello di una democrazia multietnica ma gli strumenti e le tattiche da loro utilizzate sino ad ora non ha aiutato la loro causa. Lasciando aperta la questione dello status finale del Kossovo la comunità internazionale ha lasciato vive ed aperte queste due aspirazioni irrisolvibili. Questo ha contribuito a creare muri ancor più alti tra i serbi relegati nelle enclaves e gli albanesi che abitano i territori circostanti. Per molti anni l’UNMIK ha tollerato le istituzioni parallele serbe nel nord del Kossovo e nelle enclaves creando ulteriore confusione.
Ritengo comunque che la situazione attuale del Kossovo é leggermente migliore di quanto potrebbe emergere dalla prima parte della mia esposizione. Ritengo che il dilemma non sia più la scelta tra il Kossovo indipendente o il Kossovo parte della Serbia, semplicemente perché la seconda opzione non è appoggiata e in ogni caso non è più possibile. Francamente non posso immaginarmi una Serbia che controlli nuovamente il Kossovo. E questo non solo perché lo dicono gli albanesi, ma perché questa soluzione non è sostenuta né dalla comunità internazionale né dagli stessi serbi.
Dal punto di vista serbo esistono due opzioni: indipendenza del Kossovo o la sua divisione.
Dal punto di vista internazionale l’opzione è diversa, come l’avete formulata nel titolo della conferenza: autogoverno (indipendenza) oppure la continuazione del protettorato internazionale.
Dal punto di vista albanese non vi è invece alcuna alternativa all’indipendenza. Sia i partiti politici che i cittadini non considerano alcuna altra opzione o compromesso.
Il Kossovo, pur non essendo ancora uno Stato, è un forte candidato ad ottenere lo status di Stato e quindi l’indipendenza. Con l’aiuto degli attori internazionali (UNMIK ed OSCE) il Kossovo ha già costruito, o sta costruendo, strutture di governo locale e sistemi che hanno la maggior parte delle caratteristiche di istituzioni statali. La comunità internazionale ha il mandato di costruire un sistema di “sostanziale autonomia”. Questa definizione implica uno status misto: più di un’autonomia spinta, meno di uno stato indipendente. Un sistema temporaneo aperto ma che, oggettivamente, si muove nella direzione dell’indipendenza perché il protettorato non può continuare per sempre. E, certamente, il ritornare del Kossovo nelle mani della Serbia rischierebbe di causare un altro conflitto.
Secondo gli internazionali, qualsiasi debba essere lo status del Kossovo, il sistema deve basarsi su determinate istituzioni: il Parlamento, il Presidente, il Governo, la Corte suprema, la polizia ecc. Queste istituzioni sono senza dubbio caratteristiche di un sistema politico ed economico indipendente. Allargando la sfera delle competenze si direzioneranno verso la creazione di una piena indipendenza sia dai protettori internazionali sia dalla Serbia.
Anche in passato il Kossovo ha goduto di uno status duplice. Nella Yugoslavia federale di Tito era contemporaneamente un’unità federale come tutte le altre e contemporaneamente era parte della Serbia. Secondo la costituzione del 1974 il Kossovo aveva tutte le competenze ed i diritti di una Repubblica, ma non il nome: era infatti una regione autonoma. Questo era il compromesso raggiunto dal regime di Tito.
Al contrario di Tito, che non voleva dichiarare il Kossovo una Repubblica a causa dell’opposizione della Serbia, gli attuali protettori internazionali non hanno alcuna ragione di opporsi ad una Repubblica del Kossovo. La Repubblica sarebbe la logica conseguenza delle aspirazioni della maggioranza della popolazione del Kossovo stesso. Inoltre ci sono altri precedenti. In Bosnia i serbi stessi hanno creato la Republika Srpska, riconosciuta internazionalmente anche se creata con la violenza, attraverso crimini orribili quali ad esempio il massacro di Srebrenica.
Alcuni attori internazionali hanno anche appoggiato l’idea di allargare l’attuale Unione di Serbia e Montenegro anche al Kossovo. Secondo quest’idea il Kossovo dovrebbe diventare parte dell’Unione seguendo un modello bosniaco. Tre anni fa l’Unione europea ha insistito sulla creazione dell’Unione Serbia e Montenegro dando un termine di tre anni all’iniziativa. Ora la dead-line è arrivata ed è chiaro che l’esperimento non sta funzionando.
L’idea che il Kossovo divenga parte dell’Unione Serbia e Montenegro è semplicemente un’utopia. Non solo è inaccettabile in Kossovo ma è anche fermamente osteggiata dalla stessa Serbia e dal Montenegro. Queste due Repubbliche sono infatti molto vicine ad un divorzio. In Serbia prende sempre più forza chi afferma di volersi liberare di un “Montenegro del quale non ci si può fidare” e del peso del Kossovo.
Dobrica Cosic, il principale ideologo del nazionalismo serbo moderno, ha pubblicato l’anno scorso un libro sul Kossovo che ha avuto molto successo in Serbia. Nel libro ha messo in guardia lo Stato serbo e l’opinione pubblica che ormai il Kossovo è perso e che per la Serbia la migliore opzione sarebbe quella di raggiungere un compromesso per dividerlo.
Il recente boicottaggio delle elezioni da parte dei serbi, richiesto da governo e chiesa ortodossa, è stato deciso nella convinzione che il protettorato internazionale stia portando il Kossovo verso l’indipendenza. La Serbia sta ora tentando di costruire una politica condivisa che condizioni l’indipendenza del Kossovo ad un forte processo di decentralizzazione dello stesso che porti alla sua divisione. Il minimo al quale non rinuncerebbero i più realisti tra i serbi sarebbe un’unità autonoma serba in un Kossovo indipendente. La richiesta massima invece consisterebbe nel fatto che la parte nord del Kossovo ed i monasteri divengano parte della Serbia mentre il resto del Kossovo potrà scegliere il proprio destino: se divenire indipendente o parte dell’Albania.
Ci sono altri che sostengono in modo confuso che la direzione dei processi potrebbe mutare radicalmente, e che questo destino potrebbe riguardare sia i luoghi sotto protettorato che altri Paesi dell’area che vivono divisioni interne. Tra questi Bosnia Erzegovina, Serbia e Montenegro, Kossovo e Macedonia. Questi potrebbero entrare a far parte dell’Unione europea attraverso una procedura che li favorisca e non seguendo le attuali procedure di integrazione. Per quanto ne sappia sino ad ora nessuno ha provato a chiarire questi modelli e definire le procedure praticabili per implementare questa politica. Ho ad esempio sentito la proposta che il Kossovo venga dichiarato “territorio sotto la protezione dell’Unione Europea”. Conoscendo quali problemi ha Bruxelles con le procedure e ad approvare nuove idee e progetti, mi sembra che quest’idea nel breve periodo sia irrealizzabile.
Vero è che l’Unione europea potrebbe non applicare le attuali modalità rigide per entrare a farne parte. Ad esempio potrebbe decidere di creare uno strumento ad hoc che definisca, per alcuni Paesi, tempi e scadenze per l’integrazione. Anche il Kossovo, con altri Paesi problematici, potrebbe entrare a far parte dell’UE iniziando con una membership di basso profilo che potrebbe divenire ogni anno più fattiva man a mano che i vari standard richiesti a tutti i paesi dell’UE venissero raggiunti.
Ma quest’idea ha poche probabilità di ottenere molti consensi a Bruxelles.