Natale e capodanno in Turchia tra feste popolari, carte di credito e timori identitari. I diversi riferimenti storici e simbolici, le origini della figura di Babbo Natale. I riferimenti all’Europa e all’attualità politica. La solidarietà del comune di Istanbul alle vittime dello Tsunami
Supponiamo che voi siate un turista arrivato nelle scorse settimane ad Ankara, nel cuore dell’Anatolia, per una vacanza in Turchia. Girovagando per i quartieri residenziali della città vi sarebbe potuto capitare di scorgere, provenienti dalle finestre di alcune case, dei curiosi bagliori multicolori ed intermittenti. Ad uno sguardo più attento, avreste potuto constatare, probabilmente con una certa sorpresa, che i bagliori altro non erano che luminarie di un albero natalizio. Nel proseguo della vacanza la vostra sorpresa sarebbe andata aumentando nel constatare l’onnipresenza di palline colorate, muschi e babbi natale ad addobbare vetrine di grandi magazzini, a campeggiare nei cartelloni pubblicitari e nei programmi televisivi di intrattenimento, in cui avvenenti vallette si presentano con cappuccio rosso e barba bianca. Trasferendovi poi nella cosmopolita Istanbul, avreste verificato come le più importanti zone commerciali della città, in particolare l’asse pedonale di Beyoglu, il cuore pulsante della città “storica”, presentassero un panorama non dissimile da quello della città europea che avevate appena lasciato.
Come è possibile conciliare questo quadro con la realtà di un paese che non cessa di ripetersi di essere composto per il 99,9% da musulmani?
Innanzitutto con motivazioni di ordine storico. La presenza delle diverse espressioni del cristianesimo è una delle eredità della millenaria storia dell’Anatolia. I profili delle chiese rappresentano un elemento familiare nel panorama non solamente di Istanbul ma di molte altre città del paese, Izmir, Iskenderun, Mersin, Mardin. Anche i rituali legati alle festività cristiane non sono estranei alla memoria collettiva del paese: basti pensare che in ogni periodo dell’anno è possibile trovare dai fornai turchi una grande brioche dal significativo nome di Paskalya.
Il 26 dicembre tutti i giornali hanno dedicato almeno una fotografia ed un breve articolo alle celebrazioni tenutesi nelle chiese del Paese, in particolare ad Istanbul. Articoli che, accanto allo stupore per la presenza di donne con il capo coperto, sottolineavano anche la partecipazione di musulmani ma, del resto, Gesù è un profeta anche per la tradizione islamica
Nell’indagare poi le origini della figura di Babbo Natale, alcuni commentatori hanno creduto rintracciarne l’origine nella figura di San Nicola, nato in Anatolia. Sepolto ad Antalia, le sue reliquie sono state poi trafugate durante l’occupazione italiana nel periodo immediatamente successivo alla fine della Prima Guerra mondiale.
Questa attenzione è il prodotto dell’attualità politica e del desiderio dei Turchi di essere “riconosciuti” come Europei. Raccontare i rituali natalizi cristiani in fondo significa sottolineare come le diverse tradizioni religiose convivano armoniosamente nel paese ed quanto siano radicate nella storia le relazioni e gli scambi tra la cultura turca e quella europea.
Nel determinare il successo dell’iconografia natalizia, l’elemento prevalente è però quello consumistico e commerciale. Per una società, o meglio per una parte di essa, che solo da pochi anni è stata catapultata nell’universo dei consumi di massa e nell’inferno delle carte di credito e dei debiti che esse producono, i festosi rituali dell’acquisto e del regalo rappresentano un’attrazione formidabile.
Anche le feste di fine d’anno sono state all’insegna dei simboli natalizi.
I berretti di Babbo Natale proposti dai venditori ambulanti sono andati letteralmente a ruba tra le frotte di giovani che si sono riversati nelle strade delle grandi città del paese per festeggiare l’arrivo del nuovo anno. Proprio questa sovrapposizione dei simboli natalizi con la festa di fine d’anno è stata fonte di non pochi malintesi ed il pretesto per accesi dibattiti. Numerosi sono stati gli esperti e le autorità religiose che nei giorni precedenti il Capodanno si sono alternati sulle pagine dei giornali e sugli schermi televisivi per ribadire che il Capodanno è una festa cristiana che nulla ha a che vedere con la tradizione islamica. Una festa tanto più “illecita” dal punto di vista religioso visto che è accompagnata da abbondanti consumi di alcolici. A ciò si devono aggiungere le numerose voci che sottolineano con preoccupazione il presunto incremento delle attività di proselitismo di sedicenti missionari cristiani nel paese. Il fatto che questi “allarmi” si siano intensificati proprio in questo periodo, costituisce una prova dei timori “identitari” che il concretizzarsi delle prospettive europee può suscitare in una parte della popolazione.
In realtà l’origine dei festeggiamenti per l’arrivo del nuovo anno risale all’epoca ottomana: nel 1829 l’Ambasciatore inglese ad Istanbul organizzò una serata danzante su un battello ancorato nelle acque del Corno d’Oro. Solamente con l’introduzione del calendario “occidentale” però, in coincidenza con la nascita della Repubblica, la consuetudine di festeggiare l’arrivo del nuovo anno si è estesa al di fuori dell’alta società stanbuliota. Nel 1926 il Comune di Istanbul ha spento tutte le luci della città per un minuto allo scoccare della mezzanotte. Nel 1931 si è registrata la prima estrazione della lotteria di Capodanno, una tradizione che continua a godere ancora oggi di ottima salute.
Anche quest’anno la proposta di offerte per la notte di Capodanno si è presentata molto variegata. Per quella minoritaria fascia della popolazione, che le statistiche dicono avere un potere d’acquisto simile a quello degli abitanti dell’Europa settentrionale, i grandi alberghi di Istanbul hanno fatto a gara nell’offrire serate che combinavano panorami mozzafiato sul Bosforo, danzatrici del ventre e musica dal vivo, con menù raffinati che immancabilmente comprendevano il tacchino ripieno. Un piatto non propriamente tipico della cucina turca ma che quest’anno ha goduto di una grande popolarità. Molti quotidiani ne hanno proposto la ricetta anche nelle sue numerose varianti. Alcuni locali dei quartieri popolari di Istanbul hanno invece proposto una versione “povera” di questo tipo di serata: al posto di una vera vista sul Bosforo, poster giganteschi. Invece di costoso champagne straniero, bottiglie riempite di gas per garantire almeno il tradizionale botto. Tra questi due estremi, l’alternativa più abbordabile, perlomeno nelle grandi città, era rappresentata dalla meyhane, la taverna, dove mangiare del pesce, innaffiato da abbondante raki, con l’immancabile accompagnamento di musica dal vivo. Per la gran parte della popolazione tuttavia, alla prese con il problema di far tornare i conti di una situazione economica tutt’altro che rosea, l’alternativa più economica era rappresentata dalla televisione, da godere magari sgranocchiando grandi quantità di frutta secca. Nelle grandi città, i giovani non hanno però rinunciato alla tradizione di festeggiare per le strade, con una bottiglia di vino o di birra, sparando fuochi artificiali. In segno di solidarietà con le vittime del terremoto in Estremo Oriente, il comune di Istanbul ha invece annullato i tradizionali festeggiamenti organizzati nella piazza di Taksim.
All’indomani poi, con il risveglio nel 2005, i cittadini turchi si sono trovati di fronte alla sorpresa da tempo attesa: la Nuova Lira Turca (YTL), che ha affiancato, in attesa di sostituirla completamente, la vecchia lira, che con i suoi 6 zeri ha costituito l’incubo per i programmi informatici di contabilità ed lo spauracchio per tutti i turisti stranieri in visita nel Paese.