L’abolizione delle tariffe doganali da parte della UE sembra portare più danni che benefici al settore agricolo dei Balcani occidentali. Il sistema delle quote e i programmi di sviluppo. Il vino macedone, il pesce della Croazia, lo zucchero della Serbia, l’acqua dell’Albania. I risultati degli accordi (SAA) firmati con Croazia e Macedonia. La inefficacia degli Stati della regione nel promuovere politiche agricole, le resistenze dei produttori locali
Di Jehona Gjurgjeala*, IWPR, da Pristina, Skopje, Tirana e Zagabria
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall’Asta
Ali Berisha ha iniziato a capire che stava perdendo la sua battaglia per la sopravvivenza economica tre mesi fa.
Per quattro anni il suo caseificio a Keqekolle, nel Kossovo orientale, ha perso denaro. “Se non ci saranno presto grandi cambiamenti, dovrò chiudere la mia fabbrica” aveva detto all’epoca.
“È già abbastanza brutto per me, ma per tutti gli allevatori qui intorno è ancora peggio. Loro vivono del latte che vendono a me, e non so cosa potranno fare se io sarò costretto a chiudere. ”
Alla fine del 2004, Berisha ha gettato la spugna e ha messo in vendita il suo caseificio. Per un produttore agricolo come lui, il fatto di poter esportare liberamente non è stato di nessun aiuto .
Due anni dopo che Bruxelles ha virtualmente rimosso tutte le tariffe doganali sui beni provenienti dai Balcani occidentali, le esportazioni totali dalla regione sono aumentate a mala pena. Chiaramente, ai produttori serve qualcosa in più del semplice accesso ai mercati dell’UE per affermarsi.
“La UE può aprire le porte - la questione è se noi possiamo attraversarle,” ha detto a IWPR Milan Tadic, amministratore delegato della Podravka, la maggiore industria alimentare della Croazia.
“Noi non possiamo competere con le società europee che sono state sul mercato per cento anni. “Abbiamo bisogno di un sostegno aggiuntivo dalla UE.”
Molti ostacoli impediscono ai produttori agricoli dei Balcani occidentali di esportare competitivamente nei mercati della UE.
Bruxelles fa poco per aiutare il settore agricolo della regione a ristrutturarsi.
Anche i governi locali sono deboli, con amministrazioni che funzionano male e non sono in grado di sostenere da sole il processo di ristrutturazione.
Innanzitutto, i produttori dei Balcani occidentali si trovano di fronte a barriere relative alle certificazioni sanitarie e di qualità, cui devono conformarsi prima di poter esportare nell’UE.
Inoltre, c’è il problema dell’atteggiamento locale verso gli affari. Molte società dei Balcani si stanno sforzando per cambiare la concezione e le regole della competizione sul mercato. In molti modi, l’era socialista getta una ombra lunga sugli imprenditori. Alle imprese mancano i mezzi per competere efficacemente sui mercati dell’UE, ma spesso quello che gli manca è anche la forza di volontà .
Insomma, i produttori della regione hanno bisogno di un’assistenza più attiva, se devono competere in Europa. Senza un approccio più protettivo, c’è il pericolo che, con l’eccezione di una manciata di società, i produttori dei Balcani occidentali perderanno perfino i loro mercati interni a beneficio dei colossi agroalimentari dell’UE.
Europa: molte richieste, pochi aiuti
La UE ha sviluppato un regime di scambio molto aperto con i Balcani occidentali, che Bruxelles considera come una prova del proprio impegno per lo sviluppo economico della regione.
Senza barriere doganali, questa l’idea di Bruxelles, i produttori della regione diventeranno competitivi sul mercato dell’UE, aumentando la produzione per l’esportazione, creando posti di lavoro e stimolando la crescita economica.
Una visione più cinica sostiene che l’UE può permettersi di essere generosa nelle sue concessioni, dato che le sue importazioni dai Balcani occidentali sono trascurabili.
“Le esportazioni totali dai Balcani occidentali all’UE costituiscono solo lo 0,5 per cento delle importazioni annuali dell’UE, ” ha detto a IWPR Vanja Kaludjer, un esperto di agricoltura della Camera di Commercio Croata. “L’UE ci ha dato l’accesso perché noi non facciamo nessuna differenza per il loro mercato.”
Verena Knaus, capo analista nel think tank berlinese European Stability Initiative, ESI, concorda ampiamente.
“Le offerte dell’UE ai Balcani occidentali sembrano buone sulla carta, ma in pratica non migliorano la situazione economica sul campo,” ha detto la Knaus.
“Le deficienze strutturali non possono essere superate consentendo il commercio con l’UE, anche solo per il fatto che la regione non commercia molto.”
Alcuni funzionari dell’UE ammettono che se i Balcani occidentali devono sviluppare un serio potenziale di esportazioni, Bruxelles deve offrire qualcosa in più dei benefici commerciali fin qui introdotti.
“Gli esportatori su questo hanno ragione,” ha detto Michael Karnitschnig, un funzionario della Commissione Europea, CE.
“Avere l’accesso non è sufficiente. C’è bisogno di ristrutturare il settore agricolo, e di un programma per lo sviluppo agricolo, per aiutarli ad affrontare le pressioni del mercato.”
Le limitazioni e gli obblighi posti da Bruxelles sono grandi. Viceversa, il supporto offerto dall’UE – per venire incontro alle sue stesse richieste – è limitato.
Le limitazioni iniziano con le quote imposte sull’importazione di prodotti agricoli chiave, come il vino, il pesce e la carne di vitello, tutte quote che danneggiano gli agricoltori e allevatori dei Balcani occidentali.
Per esempio, il vino è una delle principali esportazioni della Macedonia. I suoi vigneti producono circa 1,5 milioni di ettolitri di vino all’anno e – secondo gli esperti locali – hanno il potenziale di esportare circa 500,000 ettolitri nell’UE.
Ma il potenziale non si è concretizzato, a causa della quota annuale di 300,000 ettolitri imposta dall’UE alla Macedonia.
La Croazia si trova di fronte a un problema simile. Quella del pesce è una delle poche industrie in Croazia realmente redditizie per l’esportazione. Ma il sistema delle quote ha fermato la crescita. “Sono quote che le imprese raggiungono in quattro mesi,” ha detto Vanja Kaludjer.
L’accesso ai mercati dell’UE è importante per i produttori locali, dal momento che in Europa essi possono ottenere per i loro prodotti un prezzo più alto di quello che otterrebbero a casa loro. Un accesso non limitato a questo mercato stimolerebbe perciò gli investimenti nel settore.
Il sistema delle quote riduce questi investimenti potenziali e perciò rallenta la velocità a cui il settore agricolo della regione potrebbe auto-modernizzarsi.
Le quote sono un disincentivo per i produttori ad incrementare la produzione, dato che essi possono esportare solo quantità limitate nell’UE.
Significativamente, l’industria dello zucchero nei Balcani occidentali ha avuto un boom quando Bruxelles ha abolito i limiti sulle esportazioni di zucchero verso l’UE, nel gennaio 2002.
In Croazia e in Serbia, le esportazioni sono pressoché triplicate da allora. Eppure, recentemente la CE ha raccomandato che la UE reimponga le quote sulle importazioni di zucchero dai Balcani occidentali.
La Commissione ha sostenuto che lo sviluppo di un settore zuccheriero dedito interamente all’esportazione verso l’UE non era sostenibile nel lungo periodo. Le imprese rischiavano il loro futuro facendo troppo affidamento su un solo mercato, hanno detto.
Michael Karnitschnig della CE difende comunque la posizione della UE, dicendo che il sistema delle quote ha a cuore l’interesse della regione.
Egli sostiene che le quote forniscono una linea guida per lo sviluppo delle industrie, come nel caso del settore zuccheriero nei Balcani occidentali.
“Un commercio preferenziale è il primo passo verso una più stretta integrazione con l’UE,” ha detto a IWPR. “Le quote ci sono per fornire una guida per i cambiamenti strutturali.”
Karnitschnig chiarisce che gli Stati dei Balcani occidentali saranno soggetti a quote da parte di Bruxelles se e quando si uniranno all’UE, così potrebbero anche abituarvisi fin d’ora.
Il problema è che quello che l’Europa vede come una “guida per il cambiamento strutturale” contiene più bastoni che carote, per quanto concerne i produttori nei Balcani occidentali.
Secondo Verena Knaus, “I Paesi dell’UE hanno quote imposte sulla produzione agricola, ma ricevono anche una forte assistenza dal bilancio dell’UE, mentre i Paesi dei Balcani occidentali no.”
Una grande carota che Bruxelles ha offerto agli attuali Stati membri dell’UE sono stati i programmi d’assistenza per riformare l’agricoltura; questi sono stati implementati nei nuovi Stati membri prima del loro ingresso nell’UE.
Il più grande produttore di vino della Macedonia avrebbe dei benefici da un simile aiuto. Invece, Tikves ha avuto difficoltà ad avere il permesso di migliorare la produzione. Georgi Petrusev, l’amministratore delegato di Tikves, dice che l’accesso al programma di sviluppo agricolo dell’UE avrebbe enormemente migliorato gli affari.
Ma fino ad ora, l’UE non ha offerto agli Stati dei Balcani occidentali l’accesso ai programmi di sviluppo agricolo.
Interrogato sul perché, Karnitschnig ha detto che le istituzioni della regione erano troppo deboli per gestirli. “Se le nazioni dei Balcani occidentali facessero richiesta di simili programmi, non riuscirebbero a qualificarsi per ottenerli,” ha detto. “Servono maggiori riforme istituzionali.”
Knaus concede che attualmente c’è scarsa capacità nella regione di gestire programmi come il SAPARD (Programma Speciale di Accesso per lo Sviluppo Agricolo e Rurale), un programma di supporto per Stati in attesa di entrare nell’UE.
“Ma dire semplicemente che i Balcani occidentali non possono gestire i fondi è un’argomentazione debole,” ha aggiunto. “La capacità deve essere costruita, e sia l’UE che i governi della regione possono iniziare fin d’ora a lavorare su questo.”
Il SAA: solo bastone e niente carota?
La Croazia e la Macedonia, i soli due Paesi della regione ad aver firmato gli Accordi di Stabilizzazione e Associazione, SAA, hanno delle preoccupazioni ulteriori di fronte all’UE.
Il SAA è un contratto tra l’UE ed ogni singola nazione della regione, che regola i rapporti tra le due. Consiste in misure di liberalizzazione del commercio e in progetti di cooperazione in vari campi.
Gli accordi impegnano i firmatari a rimuovere progressivamente i dazi doganali sui prodotti UE, aumentando la competizione per i produttori locali.
Funzionari di diverse istituzioni macedoni pensano che la Macedonia normalmente ci perda in questi accordi.
Stojmirka Tasevska, capo del settore agricoltura della Camera di Commercio macedone, dice che i produttori locali rischiano di perdere sia il mercato interno che quello regionale, a causa dell’accresciuta competizione dei produttori dell’UE.
“I clienti si stanno velocemente spostando sui più economici e meglio confezionati pomodori spagnoli,” ha detto, “mentre i nostri produttori stanno ancora cercando di sopravvivere.”
In Croazia, Vanja Kaludjer fa eco a questa lamentela. “Nessuno ha tratto grande profitto dagli accordi commerciali con l’UE,” ha dichiarato.
La ragione sono i sussidi agricoli dell’UE. Circa sei volte più alti in valore dei loro corrispettivi croati, rendono difficile per i produttori croati competere. Invece, le ditte croate si ritrovano a battersi per difendere i loro preesistenti mercati locali.
“L’UE ci ha dato privilegi doganali quando in realtà noi vogliamo i loro sussidi,” ha detto Kaludjer. “Questa è l’unica possibile via di salvezza per il settore agricolo in Croazia.”
L’UE sostiene che la situazione economica nella regione sarebbe anche peggiore senza privilegi doganali da parte dell’UE. Per quanto riguarda chi soccombe, Karnitschnig dice che la liberalizzazione del commercio “non è un pasto gratis. Ci saranno sempre vittime del commercio”.
Controlli sanitari e controlli di qualità: un ostacolo eccessivo?
Lo scorso novembre, uno dei programmi più popolari della televisione albanese, Fiks Fare, (“Esattamente questo”) ha condotto un’inchiesta sulla qualità dell’acqua imbottigliata localmente.
L’inchiesta ha rivelato che le compagnie albanesi riempivano le bottiglie con acqua di rubinetto e le vendevano come acqua di sorgente.
Gli autori del programma hanno inviato campioni senza etichetta di una varietà di acque in bottiglia albanesi all’Istituto Albanese per la Sanità Pubblica, un organo governativo incaricato di testare e certificare i prodotti locali.
Su sette campioni, solo due sono stati giudicati bevibili, mentre in uno di essi sono state trovate tracce di feci.
Richieste dal programma di commentare questi risultati, le compagnie hanno inviato in risposta certificati che confermavano che le loro acque erano sicure. Per chiudere il cerchio, è risultato che lo stesso istituto che aveva fatto i test per il programma aveva stilato anche quei certificati.
Questo racconto ha messo in evidenza due questioni che hanno un impatto diretto sull’abilità di esportare dei produttori dei Balcani occidentali.
La prima è la necessità di produzioni ad alta qualità, che possano essere al livello agli standard UE. La seconda è il bisogno di credibili istituzioni statali, che possano emettere certificati di cui i consumatori dell’UE possano fidarsi.
Certificati di qualità discutibili, emessi dalle autorità statali, rendono il commercio più costoso, incrementando il rischio che gli acquirenti rimandino indietro forniture già ricevute.
Uno Stato che non sia in grado di applicare le regole UE sulla qualità influirà negativamente sullo sviluppo della propria agricoltura, come hanno scoperto la Serbia e il Montenegro nel corso del recente scandalo dello zucchero.
Dal 2002, quando l’UE ha introdotto per lo zucchero il regime di libero scambio con i Balcani occidentali, i produttori serbi hanno abusato delle regole comprando zucchero da terze parti e rivendendolo nell’UE come zucchero serbo senza oneri doganali.
L’UE si accorse della frode e sospese il regime di esenzione dai dazi doganali per le esportazioni di zucchero dalla Serbia e dal Montenegro nel Maggio 2003. La sanzione fu prorogata nel febbraio 2004 e rimossa solo nel settembre 2004.
L’impatto negativo sulla produzione agroalimentare serba fu enorme, dal momento che i produttori scoprirono di non potere vendere il loro zucchero neppure a casa loro, mentre vigevano le sanzioni; senza le concessioni commerciali dell’UE, gli acquirenti locali preferivano il più economico zucchero d’importazione.
Mentre la pronta reazione dell’UE alla frode serba sembrerebbe evidenziare una certa coerenza d’approccio da parte di Bruxelles, molti produttori nei Balcani occidentali lamentano che l’UE, in effetti, applica le sue regole in modo incoerente.
“Quando l’UE vuole un prodotto, è felice di chiudere un occhio,” ha detto a IWPR, sotto anonimato, un funzionario di governo di uno Stato dei Balcani occidentali.
Il vino è spesso citato per illustrare questa pretesa incoerenza. Nessuna nazione nei Balcani occidentali ottempera ai rigidi criteri dell’UE sull’imbottigliamento e sull’etichettatura dei vini, mirati a costringere i produttori ad indicare l’esatta provenienza delle uve usate.
Nonostante ciò, il vino è una delle maggiori voci dell’esportazione della regione verso l’UE.
Karnitschnig mette in discussione la validità di queste lamentele, dicendo che il nocciolo del problema spesso sta nella scarsa qualità dei prodotti.
“L’UE ha elevati standard di qualità del cibo ed è difficile per prodotti di bassa qualità entrare in un mercato ad alta qualità,” ha detto.
Ben lungi dall’innalzare non necessarie barriere alle esportazioni della regione, aggiunge, “i miei colleghi in commissione trattano i Balcani occidentali come dei VIP.”
Il mercato regionale resta cruciale per la maggior parte dei produttori dei Balcani occidentali, per le difficoltà che essi vedono nell’esportare nell’UE. Per esempio, sia la Croazia che la Serbia e il Montenegro esportano intorno al 30 per cento dei loro prodotti agricoli nella vicina Bosnia ed Erzegovina.
Secondo Kaludjer, i produttori croati di frutta e verdura non riuscirebbero quasi a sopravvivere senza il mercato bosniaco.
L’Albania è finora stata un’eccezione a questa regola. Essa esporta pochi prodotti, e questi sono principalmente tessili e calzature. Ma circa il 90 per cento di queste esportazioni vanno nell’UE.
Comunque, questa situazione sta ora incominciando a cambiare. Le esportazioni dell’Albania verso la regione sono triplicate di valore nella prima metà del 2004, dal 2,6 all’8,3 per cento, a causa dell’implementazione degli accordi regionali di libero scambio, che hanno stornato il commercio dall’UE ai Balcani occidentali.
Data la difficoltà di esportare verso l’UE, rispetto all’ambito regionale, non sorprende che molte imprese non vogliano neppure provarci.
“Perché comprare un’auto nuova quando un modello di seconda mano ti offre lo stesso servizio?” si chiede Gjergj Filipi, il coordinatore per il mercato interno nel ministero albanese per l’Integrazione Europea.
I governi della regione: incapaci di fare da sè
Le politiche governative verso l’agricoltura sono spesso inadeguate, e in alcuni casi sono virtualmente inesistenti.
Questo è ciò che la Macedonia ha scoperto quando quest’anno ha fatto richiesta di diventare stato membro dell’UE e ha ricevuto dalla CE un questionario comprendente più di 3,000 voci.
“Il questionario era un esame ai raggi X del nostro Paese,” ha detto Finka Serafimova, direttore assistente del Settore Macedone per l’Integrazione Europea, un dipartimento governativo che opera sotto la responsabilità del vice primo ministro.
“Ci ha aiutato a renderci conto che noi non abbiamo una politica agricola,” ha detto Valentin Nesovki, portavoce del Settore. “Abbiamo dei buoni prodotti agricoli, ma non abbiamo una politica.”
In Kossovo, l’assenza di una politica è anche più grave. Si può vagare da un’istituzione all’altra, cercando dei funzionari che abbiano delle idee sulla produzione e sull’esportazione agricola. Se esiste, l’informazione al riguardo è aneddotica, parziale e spesso inesatta.
Abdullah Nishori, direttore del dipartimento della Produzione e della Protezione delle Piante al ministero dell’Agricoltura del Kossovo, critica la mancanza di una presa di posizione da parte del Kossovo sulla maggior parte delle difficoltà dei coltivatori.
Egli aggiunge che in Kossovo mancano istituzioni che possano certificare la qualità dei prodotti kossovari, cosicché i produttori non possono esportare.
Ma questa informazione si è rivelata inesatta. Quando IWPR ha parlato con Fadil Musa, direttore dell’Istituto per l’Agricoltura del Kossovo, egli ha confermato che l’UE ha accreditato questo istituto per certificare i prodotti, ed è da loro controllato regolarmente.
La situazione dell’agricoltura in Kossovo è la peggiore nella regione, ma altrove non è molto meglio.
Arnaldo Abruzzini, Segretario Generale della Associazione delle Camere di Commercio ed Industria Europee, Eurochambres, con sede a Bruxelles, dice che i governi locali hanno fatto troppo poco per aiutare i coltivatori.
“I governi nazionali dovrebbero porre in atto uno sforzo maggiore nel fornire informazioni utili e tempestive sul processo di liberalizzazione del commercio e nell’affrontare gli ostacoli non tariffari,” ha affermato.
Abruzzini ha citato un’indagine di Eurochambres condotta su più di 2,000 compagnie nei Balcani occidentali, che ha scoperto che le compagnie nella regione ricevono scarsa assistenza dai loro governi per diventare competitrici sui mercati Europei.
Molti funzionari locali tacitamente concordano con la sostanza di questa affermazione. Nadica Dzerkovska, capo dell’unità per l’integrazione europea nel Ministero macedone dell’Agricoltura, dice che le compagnie locali spesso non sono consapevoli del loro potenziale di esportazione e ammette che il governo dovrebbe fare di più per informare i produttori locali.
Ma, interrogata se il suo governo sapesse quali ditte stavano esportando verso l’UE e quali settori necessitassero soprattutto di supporto, non ha saputo rispondere.
In Serbia e Montenegro, secondo Karnitschnig, l’investimento in agricoltura è avvenuto solo a un livello molto basilare. “Ci vogliono anni per cambiare la struttura microeconomica del Paese,” ha detto.
In Croazia, il governo ha lanciato una iniziativa chiamata Otvorena Vrata (Porta Aperta) per incoraggiare gli agricoltori a indirizzarsi verso una maggiore specializzazione dei loro prodotti.
Questa iniziativa prende la forma di incentivi finanziari agli agricoltori per aumentare la produzione di olive e di carne di manzo, per esempio.
Ma i produttori locali non sono convinti. Josip Pavic, presidente del sindacato agricolo croato PPDIV, descrive Otvorena Vrata come uno schema utopico. “È avulso dalla realtà agricola croata,” ha detto. “La parte riformata della nostra agricoltura è solo la punta dell’iceberg – circa il 60 per cento della nostra agricoltura non è pronta per l’UE.
“Hanno introdotto politiche da favola per il lungo periodo, quando non sappiamo cosa faremo domani e il giorno successivo.”
Zoran Djordjevic, un manager della Croma Business Academy, a Zagabria, crede che uno dei problemi chiave sia la scarsa comunicazione tra i governi, le locali camere di commercio e il mondo delle imprese.
“I programmi del governo sono complicati per gli agricoltori, e le locali camere di commercio non riescono a fornire un supporto logistico affinché gli agricoltori ne possano beneficiare,” ha detto.
Altrove nella regione, le imprese lamentano spesso che i governi fanno poco per stimolare le esportazioni.
Lavdosh Ferruni, direttore dell’ Associazione Organica Albanese, una ONG che supporta l’agricoltura biologica, sostiene che perfino un aiuto elementare da parte del governo avrebbe un grande impatto sulla produzione e sul potenziale di esportazione dell’agricoltura in Albania.
“La domanda di cibo biologico, sia in Albania che nell’UE, è in crescita,” ha detto. “È chiaro che c’è un mercato per i nostri prodotti.”
Il progresso è lento, nota Ferruni, a causa della “mancanza di riconoscimento del potenziale di esportazione e della mancanza di supporto da parte del governo”.
Richiesto su quale supporto esattamente cerchino, Ferruni ha sottolineato due punti, “Se il governo organizzasse campagne promozionali e ci assistesse nel trovare acquirenti, ci aiuterebbe moltissimo.”
L’economia locale resiste al cambiamento
Non tutti i problemi che gli agricoltori dei Balcani si trovano ad affrontare possono essere attribuiti alla colpa dei governi. I produttori della regione sono in parte responsabili della situazione del settore.
Molte compagnie sembrano restìe al concetto di competizione di mercato, e non gli mancano solo i mezzi per diventare più competitive, gli manca anche la forza di volontà.
Afrim Arzuallxhiu, direttore di Progres, una delle più grandi industrie di trasformazione alimentare del Kossovo, per esempio, dice di non essere ansioso di trovare nuovi acquirenti nell’UE, benché al momento ne abbia pochi.
La sua compagnia lavora a solo il 50 per cento della capacità, e i suoi prodotti sono competitivi sul mercato dell’UE, come pure rispondono ai suoi criteri di qualità. Eppure, come ammette egli stesso, la sua compagnia ha un problema di atteggiamento. Essa “non è abbastanza aggressiva nel cercare spazi di mercato (nell’UE),” ha detto.
Arzuallxhiu è molto più interessato all’argomento delle misure protezionistiche per salvaguardare l’industria locale, lamentando che le sue controparti nei Paesi vicini ottengono un maggiore sostegno in questo campo.
“Se il governo vuole imporre regole severe, ci deve anche proteggere,” ha detto.
Dragan Busic, proprietario della compagnia produttrice di erbe officinali Bilje Borca, dice che gli atteggiamenti devono cambiare e che il settore ha bisogno di un maggiore spirito imprenditoriale – come anche di maggiori investimenti. “La gente deve cambiare il suo atteggiamento riguardo alla produzione,” ha detto.
Secondo Karnitschnig, una ristrutturazione insufficiente nel settore agricolo comporta che molte compagnie balcaniche semplicemente “producono la cosa sbagliata”.
“I prodotti sono di bassa qualità e non trattati. Sono dei beni primari che sono stati sottoposti a scarsa lavorazione,” ha aggiunto.
Andrija Pejovic, consigliere economico nel Ministero serbo per l’Integrazione Europea, dice che tempo – e investimenti – sono necessari per guarire queste storture. “Non si può saltare un bel giorno da un punto ad un altro – dal comunismo al capitalismo,” ha detto.
La macedone Finka Serafimova dice che i produttori macedoni non hanno avuto molti benefici dai privilegi dell’UE, perché “la Macedonia è ancora prevalentemente una produttrice di prodotti agricoli primari”.
Secondo lo studio di Eurochambres, c’è un uso insufficiente delle moderne tecnologie di comunicazione e scarsa formazione degli addetti.
Il divario, in qualità e standard, tra l’UE e le imprese dei Balcani è così ampio che spesso dissuade i produttori balcanici perfino dal tentare di esportare nell’UE.
Adem Dumishi, la cui compagnia Agro-Alba produce fiori in Kossovo, ricorda come fu colpito nel vedere per la prima volta quanto fossero elevati gli standard nei Paesi Bassi.
“Quando andai a un corso di formazione sui fiori in Olanda, e vidi le condizioni in cui lavoravano, seppi che non avrei neppure dovuto tentare di esportare,” ha detto. “Non posso competere con una produzione così efficiente.”
La macedone Tikves è una compagnia della regione che ha imparato ad adattarsi al sistema dell’UE. Ha esportato nell’UE ormai per un buon numero di anni e il suo amministratore delegato Georgi Petrusev dice che se vogliono penetrare ulteriormente nel mercato dell’UE, devono seguire le loro regole.
“La Macedonia non è molto nota come produttore vinicolo e dobbiamo competere con vini cileni e con altri produttori di vino, così stiamo investendo nella qualità del prodotto e nell’immagine,” ha detto.
Petrusev pensa che la Tikves sia una delle poche compagnie locali che non oppone resistenza al cambiamento. “Prima o poi dovremo lavorare secondo le regole dell’UE – per noi, è meglio farlo prima,” ha aggiunto.
Milan Tadic della croata Podravka dice che la sua compagnia si è ben condotta indipendentemente dai privilegi commerciali dell’UE.
Il problema è che molte compagnie più piccole lottano per adeguarsi alle richieste dell’UE. Alcune, dice Tadic, si indeboliranno e altre ne usciranno più forti. “Il cambiamento è inevitabile nella regione. Con l’UE, avverrà più ordinatamente,” ha detto.
Ma Tadic aggiunge che i produttori dei Balcani occidentali troveranno difficile sopravvivere nel mercato dell’UE, dato l’attuale livello di assistenza dell’UE alla regione.
Karnitschnig concorda che c’è bisogno di una maggiore assistenza da parte della UE e che l’accesso ai mercati da solo non è sufficiente. Dice che Bruxelles darà un maggiore risalto al programma di sviluppo agricolo per aiutare gli agricoltori a fronteggiare le pressioni del mercato, nel suo piano di bilancio 2007-2013 per i Balcani occidentali.
“I programmi che saranno offerti ai Balcani occidentali saranno ispirati a quelli usati con i nuovi Stati membri nella fase precedente al loro accesso,” ha aggiunto.
La questione è se molti dei produttori agricoli della regione possano aspettare. “I nostri produttori di frutta e verdura non sopravviveranno ad altri cinque anni alle correnti condizioni di mercato,” ha detto Kaludjer.
I produttori Croati sono probabilmente più fortunati degli altri. Con lo status di candidati all’UE, possono attendersi una assistenza dell’UE, nel ristrutturare la loro economia, maggiore rispetto ai loro vicini.
Per il resto della regione, l’attesa per una maggiore assistenza da parte dell’UE sarà lunga. Per molti, come Ali Berisha, finirà per arrivare troppo tardi.
*Jehona Gjurgjeala si è laureata alla London School of Economics con un MSc in Economia Politica Europea: la Transizione. Contributi aggiuntivi di John Simpson a Belgrado e Arben Salihu; Muhamet Hajrullahu e Zana Limani a Pristina
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