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Il diritto al ritorno nella ex Jugoslavia: il caso Blecic contro Croazia

04.02.2005   

Le inseparabili vicende dei profughi serbi, croati e bosniaci. La dimensione regionale del diritto al ritorno e il sistema della proprietà sociale in ex Jugoslavia. Il percorso di integrazione europea della Croazia, il caso simbolo di Krstina Blecic e la campagna in corso in vista del giudizio di Appello presso la Corte dei Diritti Umani di Strasburgo. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Massimo Moratti, direttore dell'ICHR
Di Massimo Moratti*

I principi in materia di restituzione delle proprietà e ritorno

Si cita da piu' parti l'arresto di Ante Gotovina come uno degli ultimi ostacoli per l'accesso della Croazia all'Unione Europea, i cui negoziati dovrebbero iniziare a marzo di quest'anno. In realtà un altro ostacolo sulla strada dell'integrazione europea per la Croazia e' la questione dei rifugiati serbi che, per alcuni versi, è anch'essa legata a Gotovina. Molti di loro infatti divennero rifugiati nel corso dell'operazione Tempesta, condotta appunto da Gotovina, nel 1995. In quell'occasione, circa 200.000 Serbi furono costretti a fuggire dalle proprie case di fronte all'avanzare dell'esercito croato. Questi 200.000 vanno ad aggiungersi agli altri Serbi che avevano precedentemente lasciato le proprie case nel resto della Croazia.

A dieci anni dalla fine dei conflitti nei Balcani, il rientro dei Serbi in Croazia presenta ancora numerosi ostacoli, a differenza di quanto e' avvenuto nella vicina Bosnia ed Erzegovina, dove, seppur a fatica, i rientri sono stati sostenuti e gli ostacoli al rientro sono stati progressivamente rimossi, lasciando la possibilita' agli sfollati e rifugiati di scegliere in libertà se rientrare alle proprie case o meno.

Uno dei principi guida dei vari processi di pace nell'ex-Jugoslavia è stato quello del ritorno dei rifugiati alle proprie case. La Bosnia da questo punto di vista è servita come laboratorio, dove in presenza di centinaia di migliaia di sfollati interni, espulsi dalle zone dove costituivano una minoranza, il ritorno dei rifugiati e degli sfollati interni è stato inteso non solo come ritorno al Paese d'origine, secondo la tradizionale concezione del diritto dei rifugiati, ma anche come ritorno all'unità abitativa d'origine. In questo senso, il diritto di ritorno dei rifugiati e sfollati si integra con la necessità di attuare un programma di restituzione delle proprietà ai legittimi proprietari.

E la definizione è stata allargata non solo alle proprietà private, ma anche agli appartamenti con diritto d'occupazione. Il diritto d'occupazione, in Bosnia ed Erzegovina, è stato equiparato alle proprietà private e quindi soggetto a restituzione ai legittimi occupanti che ci vivevano prima della guerra. Nel contesto socialista, infatti, le imprese reinvestivano i profitti costruendo appartamenti per i loro lavoratori. I lavoratori, poi, in base al merito e alle loro qualifiche ottenevano un diritto d'occupazione, che consentiva loro di vivere vita natural durante (e anche di passare l'appartamento ai figli) nell'appartamento specifico. Tale diritto poteva venir rimosso solo per via giudiziale qualora il lavoratore non usasse l'appartamento per un periodo di oltre 6 mesi senza una giusta causa. Questa era la cosiddetta proprietà sociale. Nell'ex Jugoslavia, questi appartamenti in proprieta' sociale rappresentavano l'unica casa per centinaia di migliaia di famiglie.

Un'altra soluzione non sarebbe stata nè giusta nè logica: la pulizia etnica non aveva fatto distinzione tra tipi di proprietà e anche i titolari di diritti d'occupazione erano stati, in numerosi casi, espulsi con la forza dai loro appartamenti, che, nella maggior parte dei casi, erano stati rioccupati non da persone bisognose di una sistemazione, ma dai cosiddetti "doppi occupanti", persone che avevano approfittato del conflitto per ottenere una seconda casa per sè o per i figli. Il decadimento morale e l'anarchia generalizzata del post conflitto aveva fatto sì che questo fenomeno si propagasse a macchia d'olio, in una vera e propria corsa ad accappararsi appartamenti, visti come una possibilità sia di lucro sia di elevare il proprio status sociale.

Il problema in Bosnia è stato largamente risolto nel corso degli ultimi 6 anni con un massiccio programma di restituzione delle proprietà, sotto stretta supervisione internazionale, che è risultato in oltre 200.000 case e appartamenti restituiti agli occupanti dell'anteguerra. Questo ha permesso a centinaia di migliaia di persone di rientrare nelle loro case d'origine e a quelli che non volessero rientrare di esercitare una scelta in piena libertà e vendere o scambiare le proprie case. Di fatto questo processo ha disinnescato una potenziale bomba ad orologeria, quella dei rifugiati e degli sfollati: le centinaia di migliaia di persone senza casa, senza futuro erano infatti facilmente manipolabili dalle elite politiche locali e servivano allo stesso tempo come supporto legittimante le elite stesse. Soddisfare esigenze primarie di giustizia degli sfollati e rifugiati, come riavere le proprietà, significa anche placare un malcontento e permettere a queste persone di pianificare il proprio futuro in serenità e senza l'incertezza perenne di chi si trova ad occupare una proprietà non sua.

Ma se, come detto sopra, la pulizia etnica non fa distinzione tra tipi di proprietà, non fa neppure distinzione tra Paese e Paese. Come se fossero d'accordo tra loro, le autorità locali in tutte le zone dei conflitti in Croazia e in Bosnia and Erzegovina misero in atto pratiche amministrative e legali analoghe per far sì che i rifugiati e gli sfollati perdessero per sempre il possesso delle loro proprietà e che, non avendo dove vivere, non potessero ritornare ai luoghi d'origine. Per questo motivo, i diritti d'occupazione, sia in Bosnia che in Croazia, erano soggetti a cancellazione d'ufficio sia per mezzo di procedimenti giudiziari che legislativi. In Croazia inoltre, ai nuovi occupanti di questi appartamenti, in molti casi rifugiati croati dalla Bosnia, è stata data la possibilità di privatizzare gli appartamenti e quindi trasformare un diritto d'occupazione in proprietà privata acquisita in buona fede. In Bosnia, tali pratiche sono state invece impedite dalla comunità internazionale perchè contrarie al diritto al ritorno previsto dall'annesso 7 di Dayton e i procedimenti di cancellazione d'ufficio dei diritti di occupazione sono stati annullati dalla comunità internazionale perchè contrari alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (la cui applicazione in Bosnia era salvaguardata dalla Human Rights Chamber bosniaca) e agli annessi 6 e 7 di Dayton.

Differenze tra Bosnia ed Erzegovina e Croazia in materia di standard applicabili....

Ed è qui che emerge la grossa differenza tra i processi di restituzione in Croazia e in Bosnia ed Erzegovina. Mentre in Bosnia ed Erzegovina si è mirato a restituire tutte le proprietà, private o sociali, senza alcuna distinzione, in Croazia, la privatizzazione degli appartamenti in proprietà sociale ha di fatto deprivato i rifugiati e gli sfollati interni della possibilità di ritornare in Croazia. Si calcola che più di 24.000 famiglie, che occupavano gli appartamenti in proprietà sociale siano stati in questo modo privati per sempre della possibilità di ritornare nelle loro case. Guardando ad un contesto più ampio, gli appartamenti in proprietà sociale sono soggetti a restituzione in Kossovo e vengono attualmente restituiti agli occupanti dell'anteguerra, mentre in Serbia e Montenegro, la cancellazione dei diritti d'occupazione per i rifugiati e gli sfollati è stata considerata illegittima dalla Corte Suprema della Serbia che ha quindi sancito il diritto per i rifugiati e gli sfollati di ripossedere i loro appartamenti sociali. Lo stesso trattato di successione tra le ex repubbliche Jugoslave sancisce l'obbligo per tutte le nuove repubbliche di rispettare i diritti di proprietà che esistevano prima del conflitto.

Questa disparità di trattamento, tra la Bosnia e la Croazia, ha suscitato notevoli tensioni in Republika Srpska, soprattutto nella zona di Banja Luka, dove numerosi Serbi di Croazia hanno trovato rifugio dopo le operazione "Lampo" e "Tempesta" del 1995. Questa comunità dei Serbi di Croazia adesso si sente defraudata della possibilità di ritornare o di disporre liberamente delle proprietà che viene garantita ai rifugiati di cittadinanza bosniaca. Con sarcasmo tutto balcanico, si definiscono i "Curdi d'Europa". A questi Serbi infatti, essendo anch'essi rifugiati, era stata data la possibilità di vivere nelle case dei Bosgnacchi e dei Croati che avevano dovuto lasciare la Republika Srpska o ne erano stati espulsi durante il conflitto. Quando le leggi sulla restituzione delle proprietà hanno cominciato a fare il loro corso in Bosnia ed Erzegovina, questi gruppi di rifugiati si sono trovati di fronte alla prospettiva di essere sfrattati dalle case che occupavano, ma senza avere a loro volta la possibilità di riguadagnare gli appartamenti in Croazia, che come precedentemente detto, erano stati a loro volta privatizzati dai nuovi occupanti.

Ciò è stato e tuttora è la causa di tensioni a Banja Luka e in Republika Srpska, con ripetute dimostrazioni per impedire gli sfratti quando ad essere sfrattati dovevano essere i Serbi di Croazia, che non avevano possibilità di ritornare a casa loro. La frustrazione dei Serbi di Croazia, è stata poi a più riprese sfruttata dal governo della Republika Srpska per rallentare il rientro dei Bosgnacchi e Croati a Banja Luka. Per farla breve, una sorta di domino dell'ostruzionismo reciproco.

Il caso di Krstina Blecic di fronte alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo

In questo scenario a poco sono valse le pressioni della comunità internazionale sulla Croazia: OSCE e ACNUR non sono infatti riuscite a smuovere i diversi governi croati dalle loro posizioni tendenti a negare la restituzione, o il compenso, degli appartamenti in proprietà sociale. L'unica possibilità in tal senso era un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, da parte dei cittadini serbi che avevano perduto il loro diritto d'abitazione. Ma anche tale ricorso è limitato ad un ristretto numero di casi, dato che per la stragrande maggioranza di casi, i termini sono già scaduti e l'azione di fronte alla Corte Europea non appare più possibile.

Il primo di questi casi è già stato giudicato in prima istanza dalla Corte Europea la scorsa estate. È il famoso caso Blecic vs Croatia, il primo caso di cancellazione del diritto di occupazione che sia passato per la Corte di Strasburgo. Il ricorso alla Corte, ritenuto di importanza essenziale per il ritorno dei rifugiati nella regione, era stato iniziato nel Dicembre 2000, quando Krstina Blecic aveva esaurito i riscorsi interni e aveva sottoposto il caso a Strasburgo. Krstina Blecic è una cittadina di Zara, di etnia montenegrina e religione ortodossa, che, nel luglio 1991, era andata come ogni anno a trovare sua figlia che vive a Roma. A settembre quando stava per rientrare a Zara, la cittadina dalmata era stata assediata e sottoposta ad intenso fuoco di artiglieria da parte delle truppe serbe di Krajna che avevano la loro capitale a Knin poco distante da Zara. Krstina Blecic non aveva potuto farvi rientro. Due mesi dopo, le autorità di Zara, in sua assenza, avevano assegnato l'appartamento ad una famiglia croata la cui casa apparentemente era stata danneggiata dai combattimenti. A questo punto per Krstina Blecic era divenuto impossibile ritornare a casa sua, dato che questa era stata occupata da una famiglia croata. Allo scadere dei 6 mesi prescritti dalla legge, le autorità croate avevano iniziato il procedimento legale per annullare definitivamente il diritto di occupazione di Krstina Blecic: il fatto che la città fosse sotto bombardamento e che la sua casa fosse stata occupata da un'altra famiglia, con il consenso delle autorità, a giudizio delle corti di giustizia croate non costituiva una valida ragione per giustificare l'assenza di Krstina Blecic per un periodo superiore ai 6 mesi. A questo punto, la trafila giudiziaria, iniziata nel 1993 si era conclusa solamente nel 2000 con una pronuncia analoga della Corte Costituzionale della Repubblica di Croazia. Allora Krstina Blecic si rivolse alla Corte Europea dei Diritti Umani

La missione OSCE in Bosnia ed Erzegovina, basandosi sull'esperienza del ritorno delle proprietà in Bosnia e quella in Croazia, consapevoli dell'importanza del caso per la risoluzione del problema regionale dei rifugiati, fecero richiesta alla Corte Europea di intervenire come amicus curiae cioè come terze parti informate dei fatti allo scopo di mettere a disposizione della Corte Europea la propria competenza specifica in materia e di armonizzare gli standard regionali in materia di ritorno dei rifugiati. È raro che delle missioni diplomatiche compiano questo passa, ma nel caso in questione questo è un ulteriore indicatore dell'importanza del caso Blecic nel contesto regionale.

Tutto ciò fu vanificato dalla sentenza del 29 luglio 2004, quando la Corte Europea si pronunciò in primo grado sul caso di Krstina Blecic. Il risultato raggelò le speranze di quanti operano e operavano per il ritorno di tutti i rifugiati e sfollati nelle loro case d'origine. La Corte, all'unanimità, non riscontrò violazione alcuna nel caso di Krstina Blecic. Secondo la Corte, nel 2004 era legittimo per la Croazia, cancellare permanentemente il diritto di abitazione per Krstina Blecic per l'appartamento dove aveva vissuto per quasi 40 anni, allo scopo di dare una sistemazione temporanea ad una famiglia croata che nel 1991 aveva dovuto lasciare la sua abitazione.

La misura appariva a tutti gli effetti come sproporzionata e suscitò un'ondata di critiche tra gli osservatori internazionali, primo tra tutti Human Rights Watch che in novembre 2004 invitò pubblicamente la Corte Europea a riconsiderare il caso, definito di importanza vitale per il ritorno dei rifugiati. La decisione della Corte Europea alimentò anche le speranze di coloro che, in Bosnia ed Erzegovina, mal si erano adattati alle pressioni della comunità internazionale in materia di restituzione delle proprietà. In particolare, alcuni politici locali si dichiararono pronti ad "implementare la decisione della Corte Europea" nel caso Blecic, nonostante questa decisione fosse rilevante solo per la Croazia. In altre parole questo avrebbe giustificato una nuova campagna di cancellazione dei diritti d'occupazione per tutti gli sfollati e rifugiati che nel corso di questi anni avevano fatto ritorno alle proprie case.

È stato a questo punto che come ICHR si è deciso di intervenire nel caso, offrendo il nostro supporto a Krstina Blecic e al suo avvocato nel preparare la richiesta di riferimento alla Grand Chamber della Corte Europea per i Diritti dell'Uomo, l'organo di seconda istanza che rivede le decisioni della Trial Chamber. Il caso è di importanza strategica nel contesto regionale e il rischio che passasse in giudicato era troppo grande. L'impatto avrebbe potuto essere estremamente deleterio non solo per i Serbi di Croazia, ma per tutti i rifugiati e sfollati della regione che stanno ancora cercando di ripossedere le loro abitazioni. La richiesta di riferimento alla Grand Chamber è stata positivamente accolta dalla Grand Chamber il 15 dicembre scorso e il caso è ora riaperto. Le speranze per una soluzione equa alla questione di tutti i rifugiati della regione non sono del tutto perdute.


*Massimo Moratti è direttore esecutivo dell'International Committee for Human Rights (ICHR)


Vedi anche:

Croazia: il caso Blecic e il ritorno dei profughi


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