Per la prima volta in sette anni dalla fine del conflitto armato, un presidente serbo giunge in visita in Kosovo. Nella calda accoglienza riservatagli dalla comunità serba locale, Boris Tadic ribadisce l’inaccettabilità dell’indipendenza della provincia
Boris Tadic in Kosovo - foto F. Martino
Per la prima volta dalla fine del conflitto del 1999, un presidente serbo è potuto entrare ufficialmente in Kosovo. Per due giorni, il 13 e 14 febbraio, Boris Tadić ha visitato buona parte delle enclave serbe della regione, regalando bandiere serbe e dichiarando che la Serbia vuole una soluzione pacifica alla questione kosovara, ma ribadendo che l’indipendenza della regione è inaccettabile. Mentre pare più vicina la prospettiva di una risoluzione a breve termine dello status del Kossovo anche il presidente serbo gioca le sue carte, e la questione kosovara sembra tornare ad intrecciarsi con gli equilibri politici di Belgrado.
Arrivo a Gračanica
Quando Tadić scende dalla grossa jeep della polizia dell’Unmik qualcuno gli urla tra la folla “Non aver paura, presidente, qui siamo tutti dei nostri!”. Risa e applausi liberatori, due bambine gli porgono pane e sale, antico gesto di benvenuto. Tadić stringe molte mani, circondato da un nugolo di poliziotti internazionali armati fino ai denti, e si dirige verso il portone del monastero di Gračanica, dove lo aspetta il vescovo Artemije.
Intorno due ali folla, alcune centinaia di Serbi venuti ad ascoltare il loro primo presidente che varca il confine del Kosovo dai tempi di Milošević. In alto, nel cielo grigio e piovoso, gli elicotteri della Nato. Un piccolo palco è stato allestito all’interno del vasto cortile che circonda il monastero. Il vescovo Artemije fa gli onori di casa, poi lascia in fretta la parola all’ospite atteso.
Tadić si muove da politico consumato, rompe il ghiaccio scherzando con il suo pubblico, poi il suo volto si fa serio.
“Questa visita mi ha dato la possibilità di conoscere da vicino i vostri problemi. Ho invitato molti giornalisti a seguirmi, perché anche la comunità internazionale apra gli occhi su quello che succede in Kosovo”. “Nessuno deve essere minacciato per il nome che porta o perché prega il suo dio”, ha proseguito Tadić tra gli applausi, “ e se in Kosovo gli albanesi hanno il diritto alla propria identità, questo diritto spetta anche a noi!”.
Il discorso del presidente serbo è durato per una ventina di minuti, mentre la notte scendeva su Gračanica. “La Serbia vuole una soluzione pacifica per il Kossovo, non vogliamo più guerre. I diritti dei serbi però devono essere rispettati”. Non è mancato lo spazio per la polemica politica: “Molti dei miei predecessori e colleghi hanno fatto molte promesse, ma hanno lasciato pochi fatti. Io sono venuto per cercare di risolvere i problemi concreti della gente”.
Bandiere regalate da Tadic - Foto F. Martino
Prima di ripartire per Mitrovica, ultima tappa della sua visita di due giorni in Kossovo, Tadić ha regalato tre bandiere serbe, ad Artemije, al “sindaco” di Gračanica e ad un bambino di nome Vlastimir. “Mi piace la pace (mir in serbo) nel suo nome” ha detto sorridendo il presidente serbo, “ e queste bandiere non sono donate in segno di sfida. Sono venuto in pace, e a quelli che ritengono che la mia visita sia una provocazione vorrei spiegare che la presenza dello stato e dei suoi simboli è un diritto legittimo”.
Il tour kosovaro di Tadić
Annunciata con appena qualche giorno di anticipo, la visita di Tadić in Kosovo ha suscitato reazioni discordi.
Entrato in Kossovo domenica, Tadić ha incontrato a Priština il comandante della Kfor Yves De Kermabon, al quale ha chiesto maggiore sicurezza per i serbi, e il capo dell’amministrazione Onu in Kosovo, Soren Jessen-Pettersen. Quest’ultimo ha espresso la speranza questa visita potesse dare al presidente serbo la possibilità di “avere un’immagine completa della situazione”, ma lo ha anche invitato a “parlare con i rappresentanti di tutte le comunità”, e a “mandare segnali positivi sulla volontà di Belgrado di creare rapporti di fiducia”.
La prima dichiarazione Tadić l’ha fatta a Šilovo, villaggio serbo alle porte di Gijlan/Gnijlane. “Il Kosovo è parte dell’Unione di Serbia e Montenegro, e questo non solo in forza delle nostre leggi, ma anche del diritto internazionale”. Poco più tardi nell’enclave di Strpce, ai confini con la Macedonia, Tadić ha aggiunto che l’indipendenza del Kossovo è “una soluzione del tutto inaccettabile”. Il primo giorno di visita è terminato a Velika Hoća, non lontano da Prizren, dove il presidente e la sua scorta hanno passato la notte.
Il giorno successivo Tadić si è recato a Orahovac, dove è rimasta a vivere una piccola comunità di circa quattrocento serbi. “Qui, dove la gente viene uccisa perché fa parte di un popolo diverso, e non può nemmeno recarsi al cimitero, proprio qui vengono negati tutti i valori europei”, ha detto Tadić ai serbi riunitisi nella chiesa ortodossa, dove al momento i morti vengono seppelliti nel sagrato, visto che nessuno ha il coraggio di recarsi al vecchio cimitero.
La tappa seguente è stata il monastero di Dečani, dove i monaci hanno accolto il presidente regalandogli un’icona raffigurante il Cristo Pantocratore. Qui Tadić ha detto che “non c’è oggi in Europa un popolo tanto oppresso quanto lo sono i serbi del Kosovo”. Sulla strada del ritorno dal monastero è avvenuto l’unico incidente significativo dei due giorni di visita. Nei pressi del villaggio di Dečani alcuni ragazzi albanesi hanno lanciato palle di neve, sassi e uova sulla colonna presidenziale. Nessuno è rimasto ferito, e secondo fonti non confermate quattro persone sarebbero state arrestate.
Tadić ha visitato altre comunità serbe, Belo Polje, Batuse, Lipljan, per arrivare quindi a Gračanica nel tardo pomeriggio.
Per gli albanesi Tadić non è Willy Brandt
La visita del presidente Tadić ha prevedibilmente suscitato molti commenti nella società albanese kosovara. Nei circoli politici di Priština sembra aver avuto la meglio la strada del basso profilo, forse dietro suggerimento degli attori internazionali. Il presidente Ibrahim Rugova ha accusato Tadić di aver approfittato dell’ospitalità dell’Unmik, aggiungendo che “le sue dichiarazioni non sono importanti e non avranno alcun effetto sulla decisione di riconoscere l’indipendenza del Kosovo”. Questa posizione è stata supportata anche da Arben Qirezi, portavoce del governo kosovaro, che ha aggiunto, “siamo convinti che il Kossovo non tornerà mai a far parte della Serbia”. In genere però è stata scelta la strada del silenzio, decisione criticata dal maggiore partito di opposizione, il PDK di Ashim Thaçi, che per mezzo del suo portavoce Enver Hoxhaj ha definito la scarsa reattività delle istituzioni kosovare alle dichiarazioni di Tadić come “politicamente incomprensibile”.
Una reazione ben più vigorosa è arrivata invece dalla stampa kosovara, che ha fortemente criticato il silenzio delle istituzioni. Il commento più forte è probabilmente quello apparso su “Bota Sot”, che ha definito la visita di Tadić “uno scandalo”, e ha ricordato che “molte tombe ci dividono dalla Serbia, e il ricordo delle enormi sofferenze degli albanesi è ancora fresco”, per arrivare infine a criticare la decisione dell’Unmik di autorizzare la visita del presidente serbo, definita “un passo affrettato”.
Secondo “Kosova Sot” la visita di due giorni del presidente serbo “ha avuto il solo effetto di soffiare sul fuoco dell’odio interetnico, e ha dimostrato che la classe dirigente di Belgrado non è affatto cambiata, e continua a manipolare e a spaventare la minoranza serba in Kosovo”.
Molti giornali kosovari hanno sottolineato il fatto che Tadić non ha fatto nemmeno un accenno alle sofferenze inflitte alla popolazione albanese dall’esercito e dalla polizia serba fino al 1999. In un lungo editoriale apparso su “Koha Ditore” Agron Bajrami ha sostenuto che la visita del presidente serbo avrebbe dovuto essere concessa solo in cambio delle scuse per i crimini commessi dai suoi predecessori. “I serbi e gli albanesi del Kossovo”, ha scritto Bajrami ”avrebbero bisogno di un nuovo Willy Brandt a Belgrado, ma Boris Tadić non è Willy Brandt”.
Un “autogol” per la Serbia?
Secondo molti commentatori albanesi l’atteggiamento di Tadić non avrebbe fatto altro che aiutare le rivendicazioni di indipendenza della maggioranza dei kosovari. Il quotidiano di Priština “Express”, ha titolato “Autogol”, sostenendo che le parole di Tadić hanno reso evidente all’Occidente l’inutilità di cercare una soluzione di compromesso con Belgrado, proprio mentre sembra avvicinarsi una data per la risoluzione della spinosa questione dello status. La visita di Tadić, scrive “Zeri”, avrebbe avuto paradossalmente tre effetti positivi: “ ha mostrato all’Occidente la vera faccia del presidente serbo, ha riavvicinato i politici albanesi e ha dimostrato ai politici serbi del Kosovo che la strada migliore per loro è quella di integrarsi nelle istituzioni kosovare.”
Questa interpretazione è stata indirettamente rafforzata dalle dichiarazioni rese a due giorni dalla visita dal capo dell’amministrazione Onu in Kosovo Jessen-Pettersen. “Il Kossovo ha superato la prova. Le misure di sicurezza sono state perfette e sono rimasto colpito dal comportamento della polizia. Vorrei complimentarmi anche coi media per la loro condotta professionale…Tutto questo verrà apprezzato a livello internazionale”.
Il Kosovo: un campo di battaglia per i politici serbi?
Ma perché Boris Tadić ha scelto proprio questo momento per visitare il Kosovo? Sono in molti a pensare che questa sua visita sia la risposta a quella effettuata in forma privata dal premier serbo Vojislav Koštunica, che si è recò al monastero di Peć in occasione del Natale ortodosso, il 7 gennaio scorso. I due leader si erano scontrati frontalmente sulla questione del Kosovo in occasione delle elezioni nella regione, nell’ottobre scorso, quando Tadić aveva invitato i serbi a recarsi alle urne, mentre Koštunica si era schierato a favore del boicottaggio. Alla fine solo una minoranza risicata ha ascoltato l’appello di Tadić, e i seggi sono rimasti vuoti, a dimostrazione del largo consenso che Koštunica raccoglie tra i serbi del Kosovo.
A questo punto Tadić avrebbe deciso di correre ai ripari, portando avanti una linea politica “bifronte”: mentre a Belgrado si fa promotore di buoni rapporti con L’Aja, per recuperare terreno in Kosovo deve mostrarsi un “vero serbo”, potendo contare anche sulla sostanziale benevolenza dell’Occidente, che lo preferisce in ogni caso sia a Koštunica che ai radicali di Šešelj.
“Transition On Line” sostiene in un suo editoriale che la visita di Tadić può essere letta come il primo atto della campagna elettorale in vista di elezioni anticipate in Serbia, che potrebbero essere indette già quest’anno. Secondo alcuni sondaggi il Partito Democratico di Tadić sarebbe già il primo nel paese, e la visita del presidente in Kosovo potrebbe rafforzare questo vantaggio.
I serbi del Kosovo hanno dimostrato infatti grande soddisfazione per quanto detto da Tadić, ed anche i commenti dei politici e dei giornali serbi sono stati largamente positivi.
Naturalmente resta da capire quale sarà l’effetto di questa iniziativa sul futuro del Kosovo e della minoranza serba nella regione, che sembra trovarsi per l’ennesima volta al centro delle manovre politiche di Belgrado.