Balcani Cooperazione Osservatorio Caucaso
giovedì 08 settembre 2022 14:24

 

A Zvornik ho lasciato il mio cuore

03.05.2005   

Presentazione del dramma in tre atti di Abdulah Sidran, Edizioni SARAJ. Introduzione di Moni Ovadia

Saranno presenti:

Abdulah Sidran
Moni Ovadia
Silvio Ferrari


ABDULAH SIDRAN è nato alle porte di Sarajevo (Hadzici) nel 1944. Poeta, prosatore, drammaturgo, sceneggiatore cinematografico, è personalità centrale della letteratura e della poesia contemporanea.
In ambito letterario ha cominciato a pubblicare negli anni '70, con opere in versi e prosa.
La sua poesia è stata tradotta in tedesco, francese, spagnolo. In italiano (edizioni "e" Trieste 1995, edizione bilingue, traduzione Silvio Ferrari) è uscita la più ampia scelta antologica della sua poesia antecedente la guerra e tutte le poesie dell'assedio con il titolo La bara di Sarajevo/Sarajevski tabut.
Per quanto al cinema, Sidran come sceneggiatore ed Emir Kusturica come regista hanno avuto un ruolo decisivo nel cinema slavo: Ti ricordi di Dolly Bell? del 1981 - opera prima di Kusturica e Sidran - riceve il Leone d'oro a Venezia; Papà è in viaggio d'affari del 1985 riceve la Palma d'oro a Cannes.
Nel dopoguerra sceneggia Kuduz del regista Ademir Kenovic. Vive e lavora a Sarajevo. Ho lasciato il mio cuore a Zvornik è la sua prima opera teatrale.



"Grande poeta e testimone della nostra epoca, Abdulah Sidran è straordinario uomo di teatro. Se qualcuno volesse capire cosa è stato il dramma della ex-Jugoslavia, la guerra civile (1991-1996) e la guerra di Bosnia Erzegovina (1992-1995) gli basterebbe questa pièce. Rudo, il protagonista, è l' uomo che sta dalla parte della vita, che cerca la memoria come costruzione di arte, non di guerra, ecco la differenza. Lui è legato alla Drina, i suoi sono sepolti qui, ma per lui quel ricordo è fonte di vita, cioè di arte. L'arte è la trasformazione comunicativa della vita per condividerla con altri, condividere il confine con un altro. Condividi il tuo confine con una donna e nasce una nuova vita. Cos'è la morte: irrigidire il confine e farlo diventare 'fronte'. Non c'è niente di male che ci siano i confini se sono gemmazione d'incontro, di confronto, anche di polemica, purchè non divengano mai 'fronti'."

Dall' introduzione di Moni Ovadia