Tra poco più di un mese avrà luogo a Ginevra la Conferenza internazionale sulla Bosnia, a dieci anni dall'accordo di Dayton, organizzata dall'Associazione BiH 2005. Proseguiamo con la pubblicazione dei materiali preparatori, con un articolo scritto dal presidente e dal direttore dell'Associazione
Di Jacob Finci e Christophe Solioz*
Quando Carl Bildt, l'ex primo ministro della Svezia organizzò un incontro diplomatico a Ginevra, l'8 settembre 1995, la guerra aveva lacerato il territorio bosniaco e la sua popolazione sul campo era allo stremo dopo quasi quattro anni di guerra. Due mesi più tardi, le parti in conflitto nella ex Jugoslavia negoziarono, accordandosi e firmando un pacchetto di accordi di pace (in larga parte elaborato attraverso la mediazione USA nella base aerea Wright-Patterson di Dayton, Ohio) divenuto noto come l'Accordo di pace di Dayton-Parigi. Quindi, l'8 settembre a Ginevra segna l'inizio della fine di una terribile guerra che, si stima, costò 100.000 vite e che trasformò metà dei 4 milioni di abitanti bosniaci in profughi e sfollati, per non dire dell'invisibile danno che non può essere quantificato nelle statistiche. L'incontro di Ginevra accordò con successo un set di principi chiave che successivamente a Dayton sarebbero emersi come la base dell'accordo di pace, inclusi il mantenimento della Bosnia Erzegovina come un solo stato, un'equa divisione del suo territorio fra l'entità serbo bosniaca e la Federazione croato musulmana, una bozza di costituzione, così come il provvedere alle elezioni e ai diritti umani.
L'incontro di Ginevra di dieci anni fa è solo uno dei motivi per cui l'Associazione BiH 2005 ha deciso di organizzare una Conferenza internazionale sulla Bosnia che si terrà a Ginevra il 20-21 ottobre di quest'anno e che vedrà la partecipazione di personalità di alto profilo incluso Carl Bildt. Dieci anni dopo la fine della guerra e dopo un decennio di intervento internazionale in Bosnia, la Conferenza metterà insieme partecipanti internazionali del passato e del presente, che faranno un inventario dello stato della Bosnia e indagheranno sul futuro sviluppo del paese. Il primo architetto dell'Accordo di Dayton, Richard Holbrooke, gli amministratori internazionali della Bosnia (Lord Paddy Ashdown, Wolfgang Petritsch) discuteranno con personalità come Lakhdar Brahimi, esperti di Balcani, altri partecipanti inclusa Carla del Ponte e gli attori politici della UE (Olli Rehn) ciò che è stato raggiunto in passato, e come può prendere forma il futuro della Bosnia nell'Unione europea.
Jakob Finci
Come l'esperienza ha mostrato, gli stessi accordi di Dayton non sono una panacea per garantire il funzionamento di una società complessa e di uno stato come la Bosnia, a dispetto del loro effetto immediato (rinforzato da un pesante intervento militare internazionale) al tempo della cessazione dello spargimento di sangue e di messa a punto di un meccanismo di cooperazione fra le parti un tempo in conflitto, che col passare degli anni si è gradatamente evoluta in uno stato più o meno funzionante. Dieci anni dopo Dayton, la Bosnia ha beneficiato di diversi miliardi di aiuti internazionali, di sforzi volti alla ricostruzione e alle riforme guidati prevalentemente dall'Alto rappresentante della comunità internazionale. Questo impegno enorme – parzialmente basato su ciò che molti considerano come un potere eccessivo e anti-democratico dell'arbitro internazionale – ha aiutato a superare molti retaggi del passato e avviato la preparazione delle basi per il viaggio a lungo atteso della Bosnia nell'Unione europea, per poter essere più vicina alle linee economiche e politiche di Bruxelles attraverso l'Accordo di associazione e stabilità. Usando principalmente la politica del "bastone e della carota" e del rinforzo delle riforme istituzionali, la comunità internazionale ha trasferito l'iniziale debolezza dello stato bosniaco in un governo che, prima o poi, sarà in grado di guidare il paese lontano dal mito di Dayton verso il regno di una piena membership dell'UE.
Questa transizione bosniaca dall'implementazione dell'accordo di pace alla preparazione per il pre-accesso è stata accompagnata da molti successi (stabilizzazione politica, rientro dei rifugiati, investimenti stranieri, membership del Consiglio d'Europa) e da insuccessi (ricomparsa dei partiti nazionalisti e mono-etnici, stagnazione economica, assenza di una piena collaborazione con il Tribunale dell'Aja per i crimini di guerra) che hanno sia radici locali (criminali di guerra, corruzione, patronato politico) che nell'assetto di semi-prottetorato internazionale (Dayton, assenza di coerenza tra gli attori internazionali) della Bosnia. Inoltre, la transizione della Bosnia, così come la sua creazione, è stata parte degli sviluppi di una regione più ampia, in particolare della democratizzazione e europeizzazione dei paesi confinanti Croazia e Serbia e Montenegro (entrambi più avanti nel processo di Associazione e stabilità con Bruxelles). Con la riduzione e lo spostamento dell'impegno NATO (e quindi USA) nei Balcani verso l'esercito UE di peacekeepers (EUFOR), la chiusura della Missione civile dell'ONU (UNMBiH) e la collocazione di un ufficio del Rappresentante speciale dell'Unione europea (EUSR), il quadro istituzionale internazionale della Bosnia è in fase di realizzazione. Questo processo, che spesso è stato focalizzato troppo su concetti istituzionali e burocratici (al posto di quelli civili), necessita di essere affiancato da sviluppi locali, inclusa la riforma del sistema politico costituzionale e amministrativo, da una piena ripresa economica, così come da una genuina riconciliazione e dall'emergenza di una moderna società civile.
Cristophe Solioz
È tempo che l'Unione europea prenda la guida di questo processo così come è stato fatto in altri paesi in transizione nell'Europa centro-orientale. Più attenzione, sforzi e supporto finanziario da Bruxelles e dalle capitali dell'UE saranno necessari alla Bosnia che, a differenza di molti altri paesi dell'ex "Blocco sovietico", subisce una serie multipla di transizioni, dalla guerra alla pace, dallo stile socialista all'economia di mercato, e dal partito unico alla società civile. Per quanto riguarda la Bosnia, l'UE ha l'opportunità non solo di imparare da essa una non proprio gloriosa lezione della fine degli anni '90, ma di usare il bisogno della Bosnia di una piena integrazione politica nell'UE (come promesso all'intera regione nel 2003 a Salonicco) per superare la sua interna crisi d'identità post-referendum.
Le sfide della Bosnia verso l'UE (inclusi temi come la possibilità di visti di ingresso liberi per tutti i bosniaci che non hanno un secondo passaporto croato) possono essere trasformate in opportunità, non solo per i Balcani (per esempio attraverso una più stretta cooperazione transfrontaliera e con un rinforzo dei servizi), ma anche oltre: i circa 2 milioni di musulmani della Bosnia possono servire come testa di ponte per le altre nazioni-musulmane predominanti come la Turchia che cerca la membership nell'UE e che divide noi europei.
Dal momento che il decennale di Dayton volge alla fine, il prossimo capitolo della storia della Bosnia deve essere quello europeo e deve iniziare adesso.
*Jacob Finci è presidente dell'
Associazione Bosnia ed Erzegovina 2005
Christophe Solioz è il direttore esecutivo dell'
Associazione Bosnia ed Erzegovina 2005
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