Un dossier del settimanale croato Feral Tribune rivela il destino dei comandanti delle formazioni paramilitari e di personaggi controversi fioriti durante le guerre degli anni novanta
Ivica ĐIKIĆ, Feral Tribune, 18 agosto 2005, (tit. orig. Mramor, kame i željezo)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak
Nella ricapitolazione delle ultime guerre balcaniche, si sono sistemati dietro leader e i leaderuncoli nazionali e intoccabili, dietro generali istruiti e assuefatti, dietro qualunque ministro e dirigente, capo e caposezione, direttore e amministratore, dietro delegati diplomatici e mediatori di pace, dietro i principali segretari e portavoce... Si sono collocati ai margini di tali guerre, ma da Podujevo a Vukovar, da Srebrenica a Gospic, da Mostar a Erdut, il solo pronunciare i loro nomi fra i sopravvissuti tutt'oggi mette l'ansia e richiama i ricordi di quei tempi, quando i nomi – o più spesso i sopranomi - di tali signori locali della guerra, dei cosiddetti sceriffi paramilitari, significava il sopraggiungere del terrore, sotto forma di omicidi di massa, stupri, furti e incendi: la loro storia - di questi emigrati di prima della guerra, apparentemente emigrati politici con ampia esperienza di spionaggio in varie polizie segrete nello stesso tempo, di poliziotti socialisti che all'improvviso sono diventati fanatici operatori delle rivoluzioni nazionali, di piccoli contrabbandieri e tassisti di provincia, di legionari temprati e di mascalzoni qualificati, di gastarbeiter criminali e di borseggiatori di talento - la storia, dunque, di quei tipi che hanno colto la guerra come una irripetibile possibilità per diventare ricchi e importanti, a prescindere da quante persone si dovessero ammazzare, proprio una tale storia potrebbe forse essere la testimonianza più vera sul carattere delle guerre di questi luoghi.
La storia di queste persone forse è la migliore testimonianza sulle strutture statali che facevano e provocavano le guerre, perché la regola, che le eccezioni non fanno che confermare, dice che gli era stato affidato il ruolo dei cosiddetti fenomeni paramilitari, dunque, il compito di deviazioni programmate e pensate accuratamente dentro il sistema: la fragilità del loro collegamento formale con le istituzioni ufficiali del potere era soltanto apparente e doveva servire per gettare fumo negli occhi dell'opinione pubblica, così che gli stati, in nome dei quali uccidevano e seminavano terrore, al momento opportuno possono in modo più o meno elegante prendere le distanze dal crimine e far riferimento a delitti di individui capricciosi che sono sfuggiti al controllo del sistema; cioè, “gli individui capricciosi” rappresentavano gli ingranaggi più importanti dei sistemi che costruivano la loro autorità su una sempre maggiore quantità di cadaveri dei membri dei gruppi nazionali in eccesso, così - specialmente nel caso serbo - i cosiddetti paramilitari erano la mano lunga di persone terribilmente potenti e del tutto invisibili, che erano a capo dei servizi della polizia segreta e che, in buona misura, orientavano e dettavano il ritmo balcanico del crimine.
Alcuni di quelli di cui parleremo nel testo che segue, oggi risiedono nelle carceri di Scheveningen o nelle prigioni locali o semplicemente lo saranno, alcuni sono rimasti nei cimiteri degli eroi o, piuttosto, in fosse dimenticate nelle periferie delle metropoli dell'Europa occidentale, alcuni si sono dati alla criminalità organizzata e alle sparatorie di strada, alcuni sono entrati in imprese private dal carattere estremamente sospetto... Ciò che hanno in comune è che gruppi non trascurabili di persone continuano a considerarli come eroi popolari e quelli che sono vivi non riescono in alcun modo ad accettare il ruolo dei vicini silenziosi, che, naturalmente, li rende profili ideali per futuri defunti o prigionieri.
I CROATI
Franjo Tudjman e Gojko Susak, per quanto riguarda il territorio della Repubblica della Croazia, avevano, in importanti punti strategici di questo paese, quattro eccellenti sceriffi di guerra che godevano del tacito consenso del regime per l'eliminazione della popolazione etnicamente impura, e per il terrorismo di strada della popolazione di nazionalità dominante. Tutti e quattro - in modo più o meno stabile - erano integrati nei meccanismi ufficiali dello stato, cosa che per uno di loro è ancora valida.
Tihomir Oreskovic, che era ritornato in Croazia all'inizio degli anni novanta, durante la guerra è stato il signore incontestato di Gospic, nonostante avesse una funzione relativamente poco stimata come segretario dello Stato maggiore di crisi per la Lika. Il potere di Oreskovic proveniva dal suo legame con Gojko Susak, l'ex ministro croato della difesa, e coi più eminenti membri dell'apparato di spionaggio militare vicini a Susak: si tratta, dunque, di membri del SIS che erano reclutati fra i membri e i simpatizzanti del Movimento per la costruzione dello stato croato con a capo Nikola Stedul. Proprio grazie alla potente protezione militare e di spionaggio, il colonnello Oreskovic è rimasto intoccabile fino alla fine del 2000, quando contro lui, e altri quattro suoi compagni di crimine, a Rijeka, è stato istruito il processo per partecipazione alla uccisione dei civili serbi a Gospic nell'ottobre del 1991. E' stato condannato a quindici anni di galera, e l'ultima informazione che è stata pubblicata sul suo conto, diceva che è uno degli autori più proficui di “Lepoglavski vjesnik”, il bollettino del famoso penitenziario di Zagorje, del quale, poco tempo fa, è uscito il secondo numero.
Gli altri tre - Tomislav Mercep, Branimir Glavas e Djuro Brodarac - non hanno ancora avuto l'occasione di dimostrare il proprio potenziale letterario, e non si sa nemmeno se mai succederà. Mercep nel 1990 e nella prima metà del 1991 è stato per Vukovar quello che per Osijek, nello stesso periodo, è stato Glavas - cioè, il segretario per la difesa popolare - e in entrambe queste città succedevano più o meno le stesse cose: i civili serbi venivano uccisi in massa e i loro corpi venivano buttati nella Drava e nel Danubio. A differenza di Glavas, il Napoleone di Vukovar - che dopo essere uscito dalla città assediata, si è ornato della funzione di consigliere speciale del ministro degli affari interni - non ha limitato la sua attività soltanto alla regione prescritta, ma è stato a capo dell'unità che spesso veniva nominata unità della para polizia e che seminava morte fra i serbi a Zagabria, a Pakracka poljana, a Gospic e a Karlobag.
Tomislav Mercep, candidato alle elezioni presidenziali nel 2000, momentaneamente guida una delle innumerevoli associazioni di volontariato, si occupa in piccolo di imprenditoria privata e aspetta che il tribunale dell'Aia invii al potere giudiziario della Croazia i documenti d'indagine sulle sue malefatte di guerra, per poter avviare in Croazia il processo contro di lui. Branimir Glavas, che nel mese di maggio si è separato dal HDZ e ha fondato una sua iniziativa semi regionale, con impazienza aspetta che il principale procuratore di stato, Mladen Bajic, finalmente prenda il coraggio e proponga di iniziare l'indagine sulla sua, di Glavas, partecipazione negli omicidi di varie decine di civili di Osjek di nazionalità serba. Le aspettative di Djuro Brodarac, capo di guerra della polizia di Sisak, sono orientate alla speranza che venga dimenticato il suo decisivo ruolo nella eliminazione di più di cento Serbi di Sisak, ma anche lui potrebbe essere sorpreso dal contenuto del pacchetto che presto l'Aia invierà agli organi giudiziari croati: fino ad allora riceverà lo stipendio come consigliere speciale del primo ministro per lo sminamento.
I tre sceriffi di guerra più noti e più importanti fra i Croati della Bosnia ed Erzegovina - Mladen Naletilic Tuta, Vinko Martinovic Stela e Ivica Rajic - oggi risiedono nel carcere dell'Aia. Mladen Naletilic Tuta, auto-proclamatosi generale del Consiglio croato della difesa e comandante della decantata “Kaznenicka bojna” di Siroki Brijeg, davanti al tribunale dell'Aia - nel processo di primo grado - è stato condannato a venti anni di carcere per partecipazione attiva nella pulizia etnica dei Bosgnacchi dell'Erzegovina. Emigrato del periodo prima della guerra che si muoveva negli ambiti di spionaggio – azzardo - della sinistra della Germania e della Svizzera, il suo ruolo di signore onnipotente dell'Erzegovina occidentale, che non disdegnava la sanguinosa resa dei conti neanche con i Croati che non riconoscevano la sua autorità, l'ha avuto grazie all'amicizia e all'origine comune con Gojko Susak, ma la sua macchina iniziò ad andare in discesa quando Susak, su insistenza di Klaus Kinkel e di Franjo Tudjman, dovette rinunciare.
Una cosa simile è successa anche a Vinko Martinovic Stela, tassista di Mostar nel periodo prima della guerra, che comandava il gruppo di Antiterrorismo “Mrmak” (in seguito chiamato “Vinko Skrobo”) che operava all'interno della “Kaznenicka bojna”: anche lui è rimasto senza protezione politica nello stesso periodo in cui è rimasto Tuta, e all'Aia è stato condannato a diciotto anni di prigione. By the way, il terzo membro di questa compagnia potente e pericolosa, il comandante della formazione speciale “Garavi” di Gornji Vakuf, Vinko Zuljevic Klica, oggi vive a Zagabria e aspetta la convalida della decisione di affrancamento per l'omicidio di Veselin Marinov.
E mentre Tuta e Stela aspettano che finisca il processo di ricorso, il signore dell'HVO (Consiglio croato di difesa, ndt.) di Kiseljak, Ivica Rajic aspetta l'inizio del processo all'Aia ed è preso da crisi di nervi al solo nominare l'eventuale spostamento del suo processo in Bosnia ed Erzegovina. L'ex ufficiale del JNA (Esercito jugoslavo, ndt.) è stato accusato di crimini contro civili di Bosnia nel villaggio di Stupni Do vicino a Vares, a suo tempo era stato processato anche a Mostar per essersi sfogato su alcuni croati di Kiseljak che non gli andavano a genio. Il braccio destro di Rajic, il comandante dell'unità speciale del HVO “Maturice” Dominik Ilijasevic Como, si difende a piede libero dall'accusa del tribunale di Zenica per essere stato al comando delle truppe criminali a Stupni Do, ed è appena uscito con un libro in cui spiega chi, come e perché ha cercato di incolparlo per l'uccisione del vice ministro federale della polizia Joze Leutar.
Zarko Andric Zuti, colonnello in pensione del HVO, un uomo davanti al quale durante la guerra - ma anche dopo di essa - tremavano sia i Bosgnacchi che i Croati nel territorio della Bosnia centrale: Andric comandava l'unità speciale “Zuti”, che faceva parte della brigata del HVO “Frankopan” di Guca Gora, sulla quale Tihomir Blaskic, il comandante della Zona operativa della Bosnia centrale del HVO, aveva autorità molto dubbie. Blaskic godeva di un'autorità ancora minore sull'unità speciale “Vitezovi” di Vitez, dei quali il comandante era Darko Kraljevic e che aveva la parola ultima sui crimini contro i Bosgnacchi nella città sunnominata: Kraljevic generalmente - insieme a Ivica Rajic e a Darijo Kordic - in guerra era il Croato più potente della Bosnia centrale. E' morto in un incidente stradale nella seconda metà del 1995.
I SERBI
Non è possibile parlare degli sceriffi di guerra serbi e dei comandanti delle cosiddette formazioni paramilitari se non si lasciano i posti centrali della storia alle due persone più importanti del Dicastero della sicurezza statale della Serbia degli anni novanta, dunque, a Jovica Stanisic e a Franko Simatovic Frenki, accusati dal tribunale dell'Aia di crimini di guerra, e che poi gli ha concesso di difendersi in libertà, cioè di preparare in pace tutti quelli che durante il processo potrebbero eventualmente dire qualche parola negativa su loro conto. La prima persona creata da Jovica Stanisic e alla quale ha dedicato il ruolo di icona paramilitare è stato Dragan Vasiljkovic (alias Daniel Snedden) che presto sarebbe divenuto famoso col nome d'arte di Capitano Dragan: nel 1991 un giornalista belgradese, collaboratore della Sicurezza di stato, andò in Australia per comunicare a Dragan un messaggio di Stanisic, che gli diceva di ritornare nel paese per aiutare la popolazione serba minacciata. Vasiljkovic rispose alla chiamata, e ciò significava che gli sarebbero stati perdonati tutti i vecchi peccati criminali sul territorio locale, quindi fu inviato a Golubic vicino a Knin, dove fondò il campo per l'addestramento dei giovani della Krajina. Nel campo presto sarebbe nata l'unità speciale dell'esercito di Krajina sotto il nome “Knindze”, e il Capitano Dragan, secondo l'ordine di Stanisic e di Simatovic, avrebbe viaggiato in tutti i luoghi serbi per addestrare le squadre dei futuri commandos di provenienza criminale. È stato testimone al processo dell'Aia contro Slobodan Milosevic e oggi vive da qualche parte nell'Europa occidentale.
Parallelamente con iniziali tentativi della polizia segreta serba di creare fedeli squadre di assassini, in Serbia per un breve periodo sono esistiti anche tre partiti paramilitari con a capo noti nomi delle guerre jugoslave: le squadre “Dusan Silni” e “Beli orlovi” (Aquile bianche, ndt.) erano vicini al Partito radicale serbo e sono state guidate dal registra cinematografico del periodo ante bellico Dragoslav Bokan, mentre Djordje Bozovic Giska, astro della malavita belgradese degli anni ottanta, comandava la “Srpska dobrovoljacka garda” (Guardia volontaria serba, ndt.) formatasi sotto la protezione del SPO di Draskovic. Bokan è scomparso presto dalla scena bellica e si è dedicato alla esaltazione intellettuale dei crimini, mentre Giska è morto nelle battaglie vicino a Gospic nel settembre del 1991. L'erede del defunto Giska è il famoso criminale di Novi Sad, Branislav Lainovic Drugi (assassinato in uno scontro mafioso nel 2000), ma Stanisic nel frattempo aveva già creato il nuovo e vero re della scena paramilitare serba dei volontari: si trattava di Zeljko Raznatovic Arkan, criminale schedato, capo dei tifosi della “Zvezda” e diligente collaboratore del Dicastero della sicurezza statale in molti sanguinosi affari.
Arkan dalla “Srpska dobrovoljacka garda” e dai “Beli orlovi” ha creato i “Tigrovi”, e a Erdut ha formato il campo di addestramento in cui sono passati più di diecimila militari. Le stesse “Tigri” contavano circa quattrocento commandos - fra i quali bisogna sottolineare il colonnello Milorad Ulemek/Lukovic Legija - e gli uomini di collegamento tra Stanisic ed Arkan erano il maggiore della RDB (Sezione della sicurezza statale, ndt.) del tempo Momir Gavrilovic Gavra e l'allora sotto colonnello della Pubblica sicurezza del MUP (Ministero dell'interno, ndt.) della Serbia Radovan Stojcic Badza. Arkan, Gavrilovic e Stojcic nel frattempo sono rimasti vittime di omicidi su commissione, mentre Legija, a quanto pare, passerà il resto della vita in carcere per essere stato immischiato nell'eliminazione di Ivan Stambolic e di Zoran Djindjic, e nel tentato omicidio di Vuk Draskovic. Il colonnello Ulemek/Lukovic, dopo essersi separato da Arkan, è stato il comandante dei “Crvene beretke” (Berretti rossi, ndt.), formazione illegale della RDB, direttamente guidata da Frenki Simatovic, che ha giocato un ruolo decisivo nella guerra bosniaca (combattevano persino come mercenari di Fikret Abdic a Cazinska krajina), poi nel 1996 i “Berretti rossi” sono stati legalizzati e il nome è stato cambiato in Unità per le operazioni speciali (JSO), e i loro membri fino all'attentato di Djindjic si occupavano principalmente di vendita di eroina e cocaina.
Gli agili capi della Polizia segreta di Milosevic non si sono fermati soltanto alla produzione di numerosi personaggi e di formazioni speciali. Opera d'autore di Stanisic e di Simatovic è pure l'unità “Scorpioni”, divenuta nota a tutti quando al processo dell'Aia contro Slobodan Milosevic sono state mostrate le immagini della fucilazione dei Bosgnacchi di Srebrenica nel luglio del 1995, portata a termine dagli “Scorpioni”. Il loro comandante era Slobodan Medic Boca, arrestato dopo la messa in mostra delle immagini di Srebrenica, ma l'unità si è distinta anche durante la guerra del Kosovo, quando - nel marzo 1999 - uccisero quattordici civili albanesi nelle vicinanze di Podujevo, e ferirono cinque bambini: il principale accusato di questo crimine è Sasa Cvjetan che era stato reclutato nella malfamata formazione di Medic a Benkovac. Il contatto degli “Scorpioni” con Stanisic era l'impiegato del MUP della Serbia Milan Milanovic Mrgud che, secondo le testimonianze degli stessi membri dell'unità, portava da Belgrado i pacchi di soldi che venivano distribuiti ai fedeli cani di guerra. Durante la guerra del Kosovo un'eccezionale reputazione criminale l'ha avuta anche Nebojsa Minic Mrtvi, comandante della formazione speciale “Munja”. Minic è nato a Pec, e il sopranome Mrtvi (il morto ndt.) l'ha avuto per la sua misteriosa assenza di diversi anni dalla città natale: in quegli anni era in guerra in Croazia e in Bosnia.
Le formazioni “Munja” sono responsabili per i crimini contro i civili albanesi sul territorio di Pec e di Decani, e Minic è stato arrestato in Argentina nel maggio di quest'anno: era in possesso di passaporti falsi a nome di Goran Petrovic e Vlada Radivojevic Savic, viveva con una donna argentina e aveva alcuni negozi a Mendoza. In Argentina in questi giorni è stato arrestato anche Milan Lukic, accusato dall'Aia di crimini di guerra, già comandante dell'unità “Osvetnici” (Vendicatori, ndt.), una delle formazioni più malfamate e sanguinose mai apparse nelle guerre dell'ex Jugoslavia. Lukic nel giugno del 1992 comandava l'esecuzione dei civili bosgnacchi a Visegrad, e il modo preferito in cui uccideva era chiudere la gente dentro le case che poi incendiava: a Visegrad in questo modo ha ucciso almeno un centinaio di donne, di bambini e di uomini anziani. Nell'ottobre del 1992 era a capo degli “Osvetnici” che nella località di Sjeverin presero in ostaggio e assassinarono sedici Bosgnacchi. Una simile operazione fu ripetuta anche nel febbraio del 1993, quando sul treno che viaggiava da Belgrado a Bar, a Strpci, presero in ostaggio e ammazzarono diciassette civili bosgnacchi.
I BOSGNACCHI
Quelli che hanno avuto modo di vederla dicono che sulla sua tomba in Belgio c'è scritto - “Generale Jusuf Prazina Juka”. Questo piccolo criminale di Sarajevo prima della guerra, nel mese di maggio del 1992 davanti al Secondo Ginnasio mise in fila circa tre mila tra i primi difensori di Sarajevo e gli diede il nome di “Jukini vukovi” (Lupi di Juka, ndt.), desiderava diventare generale, e tale desiderio lo portò, nella primavera del 1993, dall'Armija BiH - dove per un periodo, per diretto decreto di Alija Izetbegovic, era incaricato delle unità speciali nello Stato maggiore- alle file del Consiglio croato di difesa (HVO), più esattamente, sotto il comando di Mladen Naletilic Tuta: Tuta, dunque, su un pezzo di carta gli aveva scritto di nominarlo generale del HVO. Prima di unirsi al HVO e prima di aver partecipato all'attacco croato contro forze dei Bosgnacchi di Mostar, Juka Prazina era uno dei capi della difesa di Sarajevo, era specializzato nell'eliminazione dei cecchini serbi della città e nella raccolta di Serbi per gli scambi di prigionieri, e quindi generalmente, faceva la guerra di testa propria, cambiava i piani privati di guerra esclusivamente se glielo chiedeva personalmente Alija Izetbegivic. E' stato ucciso alla fine del 1993 vicino alla città belga Liegea, e il mistero della sua morte non è stato ancora risolto.
La partenza di Juka dal HVO non è stata favorita soltanto dal desiderio di diventare generale, ma anche dallo scontro con Zulfikar Alispago Zuka, comandante delle forze speciali dell'Armija BiH, scontro verificatosi a Igman durante i primi preparativi per sbloccare Sarajevo: si sono scontrati per vedere chi era il più grande sceriffo di guerra e chi avrebbe dovuto essere il signore dello sfondamento di Igman. Dopo di che Prazina è partito per l'Erzegovina, e Sandzaklija Alispago ha portato il suo esercito in guerra contro l'HVO sul territorio di Konjic e di Jablanica: mentre si occupa con successo di attività alberghiera a Sarajevo, Zuka con molta attenzione ascolta le voci che vengono dall'Aia, perché il suo nome già da anni viene sollevato nel contesto di quei Bosgnacchi che potrebbero essere accusati di crimini di guerra contro i civili croati.
Le voci dell'Aia con molta attenzione sono ascoltate anche da Ramiz Delalic Celo, comandante di guerra della Deveta brdska brigada (Nona brigata montana, ndt.) dell'Armija BiH, accusato di aver iniziato a uccidere i Serbi di Sarajevo ancora prima che iniziasse la guerra in Bosnia ed Erzegovina: dunque, è accusato dell'omicidio del famoso “convitato serbo alle nozze di Bascarsija” Nikola Gardovic, accaduto il 1° marzo 1992. Ha continuato ad uccidere i Serbi anche durante l'assedio di Sarajevo, dove controllava la parte della città “da Vjecna vatra in su”, e le sue vittime sono state eliminate sul pendio di Trebevic e nella Prigione centrale di Sarajevo. Alla fine della guerra, Delalic ha preso posizione come una delle figure centrali nella malavita della capitale bosniaca, così o è in continuamente in fuga o prende parte alle rese dei conti armate.
Musan Topalovic Caco, comandante della Deseta brdska brigada (Decima brigata montana, ndt.) della Bosanska Armija, non è arrivato al punto di temere il tribunale dell'Aia o di giocare un certo ruolo sulla scena criminale di Sarajevo del dopo guerra. Nell'anno 1993 l'hanno assassinato i membri della Polizia militare dell'Armija BiH, perché tentava di scappare dopo l'arresto, ed è stato arrestato perché i suoi crimini contro i Serbi di Sarajevo sono cresciuti troppo e perché in un attimo è diventato più potente e più pericoloso di quanto si desiderava che fosse.
A differenza di Caco, Ismet Bajramovic Celo è rimasto vivo dopo l'assedio di Sarajevo, anche se i medici italiani - dove è stato trasportato per essere operato - non potevano credere che fosse rimasto vivo con tutte le pallottole che aveva in corpo. Questo residente del Centro di correzione penale prima della guerra a Zenica, in guerra si è imposto come uno dei più importanti uomini in uniforme a Sarajevo, al quale il vertice politico e militare della BiH si rivolgeva, sotto forma di contrite richieste, e dopo la guerra è diventato il signore dell'ambiente criminale sarajevese: negli ultimi anni è stato un po' in prigione, un po' negli ospedali, e quando è libero e sano - disturba l'ordine e la quiete pubblica.
Hamdija Abdic Tigar, comandante di guerra della 502-esima Viteska brigada (brigata dei cavalieri, ndt.) del quinto corpo dell'Armija BiH di Bihac, amava dire che avrebbe avuto un monumento in centro città “se fosse morto in tempo”. Visto che non è morto in tempo, oggi, invece del monumento, possiede la metà di Bihac, e l'altra metà sta molto attenta a non cadere in disgrazia grazie a qualche mossa contro l'uomo che tutti chiamano il Comandante e che tira di pistola molto facilmente, ma ancora più facilmente tira le sberle. L'ultimo della galleria dei lord bosgnacchi di guerra trascorre le sue giornate nelle celle di Scheveningen e il suo nome è Naser Oric. Prima della guerra era poliziotto, poi è stato il comandante della difesa di Srebrenica, e l'accusa dell'Aia lo incolpa di aver ucciso sette e picchiato undici prigionieri serbi a Srebrenica, di distruzione e furto in una quindicina di villaggi serbi nelle vicinanze della città sunnominata. Nel periodo fra la caduta di Srebrenica e la partenza per l'Aia si è costruito - in gran parte basandosi sulla gloria della guerra - la carriera del più famoso criminale bosgnacco del dopo guerra.
GLI ALBANESI
Per fortuna, la guerra kosovara è stata troppo breve per far sì che fra gli Albanesi potesse nascere un grande numero di comandanti di guerra di marcata provenienza criminale, e i due più importanti già da qualche tempo trascorrono le loro giornate all'Aja. Ramush Haradinaj Smajl, arrivato all'Aia dalla posizione di premier kosovaro, nel 1998 e nel 1999 era il primo uomo dell'Esercito di liberazione del Kosovo (UCK, ndt.) nella zona Operativa Dukadjin che comprendeva Pec, Decani, Djakovica e le parti dei comuni di Istok e di Klin: questa regione era importante per l'UCK per il collegamento con l'Albania, da dove giungevano le armi e tutto quanto era necessario, compresi centinaia di chili di eroina che poi veniva distribuita sul territorio di tutti i Balcani. Haradinaj lì era un intoccabile prepotente ed insieme ai fratelli e ai cugini (Daut, Frasher, Shkelzen e Nasim Haradinaj) il suo più fedele e più pericoloso uomo era Idriz Balaj Porucnik, comandante dell'unità speciale dell'UCK “Crni orlovi” (Aquile nere, ndt.).
Il tribunale dell'Aia accusa Haradinaj e Balaj - e il vice di Haradinaj e suo cugino Lahi Brahimaj – di aver condotto durante la guerra in Kosovo operazioni organizzate finalizzate a omicidi, torture e deportazione della popolazione civile serba, e di quegli albanesi e Rom dei quali si riteneva che fossero membri della quinta colonna o che non fossero in dovuta misura fedeli all'Esercito di liberazione. L'ideatore delle operazioni era Haradinaj, mentre i “Crni orlovi” di Balaj - fra altro una formazione perfettamente addestrata e armata - realizzavano tali idee facendo i conti in modo brutale con i civili serbi e rom, e con i connazionali disubbidienti. Quella che nella guerra era la Zona operativa di Dukadjin, dopo la guerra è diventato il centro della criminalità organizzata in Kosovo: il traffico di droga e di donne è diventato l'unico ramo dell'economia, e gli sceriffi Haradinaj e Balaj, e i loro numerosi fratelli e cugini, sono diventati persone molto ricche. Così ricche che Ramush Haradinaj è riuscito ad arrivare alla funzione di premier, che però non gli ha evitato il processo del tribunale dell'Aia.