Che ne pensa uno storico di quanto sta avvenendo in Kosovo? Alma Lama ha intervistato Mark Krasniqi, professore universitario e leader del Partito Democristiano del Kosovo. Decentramento, ruolo della Chiesa ortodossa, intellettuali e negoziazioni sullo status alcuni dei temi affrontati
Mark Krasniqi, accademico, era stato escluso dall'insegnamento presso l'Università di Pristina per aver rifiutato di condannare pubblicamente le manifestazioni con le quali molti cittadini albanesi del Kosovo nel 1981 rivendicavano maggiori diritti. Autore di una ventina di libri e di alcuni testi scolastici è soprattutto conosciuto per i suoi studi sulla Chiesa ortodossa del Kosovo. In quest'intervista Krasniqi passa al setaccio la situazione attuale del Kosovo, anche in veste di leader del Partito Democristiano del Kosovo.
Come valuta l'attuale situazione politica del Kosovo?
Attualmente il clima politico è molto teso. Il popolo albanese ha dichiarato già nel 1991, all'unanimità, che la propria scelta era quella di avere uno Stato indipendente e sovrano. Sfortunatamente alcuni circoli internazionali vogliono prolungare questo percorso verso l'indipendenza, che viene garantito dall'ONU che sancisce il diritto dei popoli all'autodeterminazione. D'altra parte la Serbia continua a ribadire il proprio "diritto storico" a mantenere la propria sovranità sul Kosovo, colonia che ha occupato nel 1918.
La comunità internazionale ultimamente insiste sul fatto che il processo di decentralizzazione sarà determinante per lo status. Lei ritiene che questo significa che le aspirazioni della Serbia di ottenere una forte autonomia territoriale di alcune aree del Kosovo verranno soddisfatte?
La Serbia sta facendo di tutto affinché il Kosovo non ottenga l'indipendenza, ma se non ci riuscisse è probabile che la minoranza serba, meno del 7% dell'intera popolazione, ottenga diritti a livello massimo: enclaves, cantoni e anche forte autonomia. Per di più sembrerebbe che quest'autonomia preveda che si sviluppi un rapporto amministrativo esclusivo, in alcuni campi, con Belgrado. La comunità internazionale ha un atteggiamento pro-serbo dimenticando che la Serbia in Kosovo è stata un colonizzatore brutale, mai un legittimo proprietario di queste terre. Gli Stati colonialisti dell'Europa occidentale hanno rinunciato alle proprie colonie in Africa ed in Asia. Non mi spiego ora come questi stessi Stati possano sostenere la Serbia nel mantenere una colonia, nel cuore dell'Europa, nel 21mo secolo.
La Serbia non ha alcun diritto ad intervenire negli affari del Kosovo. Se qualcuno da fuori deve interferire, è la sola Albania ad avere il diritto di farlo perché il Kosovo è un suo territorio dal punto di vista storico ed etnico che però la Conferenza di Londra del 1913 e quella della Pace di Parigi nel 1920 hanno dato alla Jugoslavia. Quest'ingiustizia deve ora essere, almeno in parte, corretta.
Ultimamente in Kosovo c'è chi considera il processo di decentramento molto rischioso. Sono voci di cui tenere conto?
Il processo di decentramento in Kosovo, come voluto dalla Serbia e da qualche circolo occidentale, sarebbe rischioso e non è accettabile da parte albanese. Sarà una mela della discordia anche per la comunità serba, perché impedirà a quest'ultima di integrarsi nella società democratica kosovara. Non farebbe che creare ulteriore insicurezza anche per loro. Si può procedere a tempi brevi con il decentramento: dando più competenze amministrative ai comuni e naturalmente un budget maggiore. Nei comuni dove i serbi sono la maggioranza avranno il controllo dell'amministrazione locale. Avranno proprie scuole, chiese, simboli nazionali, la stessa lingua serba è già una lingua ufficiale del Kosovo.
Ma sia i serbi che le altre comunità del Kosovo devono rispettare la legge e le regole dello Stato del Kosovo come quest'ultimo deve assicurare a loro ed agli altri cittadini una vita sicura e dignitosa.
Anche la Chiesa ortodossa ha richiesto una sorta di status extra-territoriale in nome della sicurezza. Che ne pensa?
E' una richiesta a mio avviso del tutto irragionevole e impossibile da realizzare. Innanzitutto chiese e moschee sono le case di Dio e proprio per questo non devono essere isolate in nessun modo. Le loro porte devono essere aperte a chi ha buone intenzioni. Le chiese possono e devono essere protette dalla legge, dallo Stato e se si tratta di beni di valore culturale dalle istituzioni preposte alla loro tutela. Ma l'autonomia della Chiesa serba risulterebbe nella creazione di enclaves. Queste ultime rischiano di diventare anch'esse elementi che rischiano di causare ulteriori conflitti fra le varie comunità che abitano il Kosovo. E' abbastanza rinomato che la Chiesa ortodossa serba è sempre stata il braccio destro della politica espansionista dello Stato serbo. Ecco perché ogni enclaves autonoma o istituzione isolata rappresenterebbe una "piccola Serbia" o una sua protuberanza in territorio kosovaro. Già ora ad esempio il Monastero di Decani crea molte difficoltà ai contadini che devono passare sul suo territorio per recarsi ai propri campi. Già ora con il supporto internazionale la Chiesa ortodossa gode di una sorta di extraterritorialità. Nessuno, nemmeno la polizia, è in grado di proteggere questi monumenti di culto – che siano chiese o moschee - meglio che la stessa comunità albanese. Malauguratamente sino ad ora la Chiesa serba non ha chiesto scusa per quanto avvenuto nel 1998-1999.
Alla fine del processo che si è avviato in questi mesi vi sarà l'indipendenza del Kosovo?
Senz'altro durante il 2006 dovrà vincere la causa dell'indipendenza e della sovranità. Gli albanesi non accetteranno mai una soluzione differente, in qualsiasi modo venga essa colorata
Quale a suo avviso l'ostacolo più grande che separa il Kosovo dall'indipendenza?
A mio avviso è rischioso il tempo che passa senza arrivare ad una soluzione, ma anche l'insistere troppo sul tema della decentralizzazione senza la quale la Serbia potrebbe chiedere il fallimento del processo dei negoziati. Ma si rischiano anche disordini causati dalla Serbia stessa o da gruppi in Kosovo affamati di potere e non del raggiungimento di uno Stato indipendente. Penso che le forze di interposizione della KFOR dovranno rimanere qui a lungo e così sarà necessario per qualche anno anche un organismo internazionale consultivo.
Ritiene che la delegazione kosovara per i negoziati sia sufficientemente preparata per affrontare tutte questa sfide?
La delegazione che dovrà negoziare con Belgrado e con la comunità internazionale è molto preparata, lo ha affermato anche l'amministratore internazionale Jessen Petersen. Auguro loro un buon lavoro e faccio però loro presente che devono rispettare la piattaforma per i negoziati approvata dall'Assemblea del Kosovo. E' quest'ultima in fin dei conti ad avere l'ultima parola, la delegazione da sola non ha alcuna legittimità di negoziare con la Serbia per lo status finale.
Gli intellettuali sono stati inclusi solo marginalmente in tutto questo processo. Come mai?
Penso non sia importante quanti sono gli intellettuali coinvolti e quanti fanno parte della delegazione negoziale. Basta che quest'ultima sia composta di gente onesta, preparata e decisa a difendere l'indipendenza del Kosovo. La pretesa di alcuni intellettuali di essere coinvolti deriva dall'ambizione di fare carriera, anche perché in molti casi non possiedono le competenze specifiche per partecipare a tale processo.
Quale invece il suo di ruolo in questa situazione?
Io non sono ambizioso in queste cose, allo stesso tempo non sono indifferente a quanto accade. Per tutta la vita ho lottato per i nostri diritti ed ho sostenuto questa battaglia con argomenti scientifici ed intellettuali.