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mercoledì 07 settembre 2022 16:30

 

Il caso Srebrenica: 1995-2005

18.04.2006   

Una tesi di laurea su Srebrenica. Tutto quanto è stato fatto in questi anni da parte del Tribunale dell'Aja, di alcune Commissioni e di organizzazioni locali ed internazionali. L'accidentato (e per l'autrice fallimentare) cammino per dare giustizia alle vittime
Cerimonia funebre, Srebrenica - Rudi Dalla Bartola
Di Valentina Tosi

L’11 luglio 2005, presso il Memoriale di Potocari, si è tenuta la cerimonia per il decennale del massacro di Srebrenica. L’evento è rimasto sotto i riflettori dei media internazionali per diversi giorni ed ha visto la partecipazione di molte delegazioni straniere per commemorare alcune delle vittime di un eccidio che è stato considerato come il peggior crimine compiuto in Europa dopo il secondo conflitto mondiale.

Con questo lavoro ho voluto analizzare gli eventi di Srebrenica prendendo in considerazione ciò che è stato realizzato, in questi dieci anni, da parte del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia (TPI), da parte di alcune Commissioni d’indagine e di alcune organizzazioni locali ed internazionali. Questi soggetti, infatti, si sono impegnati al fine di ricostruire la verità dei fatti, individuarne le responsabilità dirette ed indirette, contribuire allo sviluppo della società civile della città e, quindi, poter avviare un processo di riconciliazione sul territorio.

Il lavoro del TPI, tuttora in corso, tramite le testimonianze di alcuni imputati ha portato alla luce quanto accaduto a Srebrenica nel luglio del ‘95. Le sentenze che ho analizzato hanno contribuito alla ricostruzione del massacro dall’interno; in particolare, la condanna del generale Krstic per complicità in genocidio è da considerarsi di grande rilevanza per la giustizia internazionale, perché ha provato il primo caso di genocidio sul suolo europeo dai processi di Norimberga.

Analizzando la sua attività, ho avuto modo di riflettere sul ruolo del TPI anche all’interno del processo di riconciliazione in Bosnia-Erzegovina, ed in particolare a Srebrenica, e di riscontrare i limiti e le contraddizioni di questo strumento giuridico. Infatti, ritengo che il limitato raggio d’azione del TPI non sia realmente adeguato al raggiungimento degli obiettivi che si è preposto: la condanna di criminali di guerra a pene simboliche tramite il meccanismo dei patteggiamenti, per esempio, non può essere considerato un atto di giustizia nei confronti dei sopravvissuti.

Dal 1995 al 2004 diverse Commissioni d’indagine si sono susseguite al fine di realizzare delle inchieste volte a chiarire i ruoli e le eventuali responsabilità che hanno avuto nella vicenda di Srebrenica le Nazioni Unite, gli Stati coinvolti e gli eserciti impegnati sul suolo. Nel mio lavoro ho analizzato in particolare il rapporto delle Nazioni Unite (ONU), quello dell’Istituto Olandese per la Documentazione di Guerra (NIOD) e quello della Republika Srpska (RS) del 2004.

I rapporti dell’ONU e del NIOD accusano le Nazioni Unite ed il governo olandese di essersi impegnati in una missione di pace per la quale non erano preparati e che, viste le condizioni sul campo, era totalmente irrealizzabile. Entrambi, tuttavia, ammettono esclusivamente una responsabilità ‘morale’ nei confronti delle istituzioni che li hanno commissionati rispetto a quanto accaduto, e nella ricostruzione degli eventi non chiariscono le circostanze in cui erano coinvolti personalmente i loro rappresentanti, evitando così di individuare singoli responsabili.

Il rapporto della RS, pur non apportando nuove informazioni, ritengo sia da considerarsi importante perché redatto con documenti provenienti direttamente dagli archivi della RS e perché credo che rappresenti un primo passo verso una collaborazione con il Tribunale dell’Aja. É da sottolineare, però, il fatto che la sua creazione sia stata frutto di forti pressioni da parte dell’allora Alto Rappresentante, Paddy Ashdown, e che le indagini della Commissione siano state ostacolate da persone ed istituzioni pronte ad occultare, ancora oggi, i crimini commessi.

Srebrenica oggi è una città immobile, il lento processo di sviluppo della sua società civile lo dimostra ampiamente. Ciò non è dovuto esclusivamente alle difficoltà da parte della comunità musulmana di ritornare in un luogo dove ha subito una ‘pulizia etnica’, ma anche al fatto che la ricostruzione di case e infrastrutture, da parte delle organizzazioni internazionali, è stata bloccata fino al 2000 per l’ostruzionismo posto dalla RS. Il processo di rientro degli abitanti è iniziato solo nel 2001 ed è tutt’oggi in corso, ma non è supportato da condizioni di sostenibilità, così come previsto dagli Accordi di Dayton. Infatti, la ricostruzione fisica dovrebbe essere accompagnata dalla realizzazione di progetti per lo sviluppo economico della regione, al fine di creare opportunità di reddito; dall’accesso all’istruzione ed ai trasporti; e da una percezione minima di sicurezza per tutti i rientranti. Ciò al fine d’inserire il processo di ricostruzione fisica della municipalità all’interno di una prospettiva di sviluppo locale del territorio, in grado di coinvolgere la partecipazione attiva delle due principali comunità (serbo-bosniaca e musulmano-bosniaca). Nella mia ricerca ho analizzato l’intervento del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), che terminerà il suo mandato a Srebrenica entro il 2006, e che finora non sembra aver apportato grandi progressi alla crescita economica della regione; l’attività dell’International Commission on Missing Persons che, tramite l’esumazione delle vittime dalle fosse comuni e la loro identificazione, aiuta le famiglie degli scomparsi a confrontarsi con il loro passato recente; ed infine, il ruolo che alcune associazioni locali di donne svolgono sul piano della riconciliazione, fornendo sostegno psicologico e assistenza economica a molte famiglie che hanno subito forti traumi durante e dopo il conflitto, con l’intento di aiutarle a superarli.

Ciò che emerge da questo lavoro è che oggi, a dieci anni dagli eventi, sussiste ancora da parte delle organizzazioni internazionali, degli Stati e delle autorità locali, l’intenzione di occultare i fatti e la mancanza di volontà di determinare le responsabilità individuali per quanto accaduto. In questo modo non è possibile collaborare con gli abitanti di Srebrenica al fine di poterli aiutare ad affrontare il loro passato, di promuovere la creazione di un dialogo tra le comunità e, quindi, di contribuire alla costruzione del processo di riconciliazione in Bosnia-Erzegovina.


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