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Srebrenica, Istanbul, Banja Luka. La Bosnia al bivio

02.07.2004    scrive Andrea Rossini

La mancata collaborazione con l’Aja ferma il cammino internazionale della Bosnia al vertice Nato di Istanbul, nonostante le aperture del governo della Republika Srpska su Srebrenica. Ashdown dimette 60 politici e funzionari. Negoziati per la resa di Karadzic?
La strada per Srebrenica
Srebrenica, 9 anni dopo

Luglio 1995, luglio 2004. Tra pochi giorni ricorre il nono anniversario della “estate di morte” di Srebrenica, quando l’esercito serbo del generale Mladic, entrato nella enclave dichiarata zona protetta dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, avviò la strage della popolazione maschile che invano aveva cercato rifugio presso la base del contingente dei caschi blu olandesi.

Nella storia europea recente, Srebrenica rappresenta insieme il simbolo della vittoria dei nazionalisti e la distruzione della speranza che, dopo il secondo conflitto mondiale, era stata riposta nella organizzazione delle Nazioni Unite e nel suo possibile ruolo di mantenimento della pace.

Dopo che il Tribunale dell’Aja ha scritto definitivamente la parola “genocidio”, le migliaia di vittime di Srebrenica rappresentano in Bosnia insieme il simbolo della tragedia avvenuta e un macigno posto sulla strada di una possibile riconciliazione, alla luce della continua latitanza di Karadzic e Mladic.

Centinaia di pagine

Dal ’95 ad oggi sono state molte le inchieste che hanno cercato di appurare perché le forze internazionali (Nazioni Unite e Nato) non sono intervenute a difesa della popolazione, e al tempo stesso di stabilire le responsabilità all’interno dell’esercito e della leadership serba. Centinaia sono state le pagine scritte, ma ogni inchiesta ha affrontato la vicenda secondo un proprio punto di osservazione e soprattutto, fino ad oggi, era mancata una presa di posizione ufficiale da parte delle istituzioni della Republika Srpska (RS, una delle due Entità nelle quali la Bosnia è divisa).

Per il governo olandese, in particolare, i fatti di Srebrenica hanno rappresentato quello che i media locali hanno definito “un decennio di maledizione”: dopo una prima inchiesta governativa (1996), l’Istituto olandese per la documentazione di guerra (NIOD) ha pubblicato nel 2002 una voluminosa inchiesta che ha portato alle dimissioni dell’allora premier Wim Kok, aprendo poi la strada ad una nuova inchiesta condotta a livello parlamentare. Anche il Parlamento francese (francesi erano sia il generale Unprofor Morillon – la cui iniziativa nella primavera del ’93 aveva portato alla creazione della area protetta - che il capo delle forze Onu in ex Jugoslavia, Janvier) ha indagato le vicende del luglio 1995, arrivando a pubblicare nel novembre 2001 un lungo rapporto.

Il Tribunale internazionale dell’Aja ha processato e condannato per genocidio (sentenza confermata in appello) il generale serbo Radislav Krstic. Mentre restano latitanti rispettivamente il capo politico e quello militare dei Serbi di Bosnia nel 1995, Radoslav Karadzic e Ratko Mladic – ricercati anche per Srebrenica – nel dicembre scorso sono stati condannati Momir Nikolic (a 27 anni) e Dragan Obrenovic (a 17 anni), mentre sono ancora in corso i processi nei confronti di Vidoje Blagojevic e Dragan Jokic, tutti ufficiali dell’esercito serbo coinvolti a vario titolo nelle operazioni in Bosnia dell’est nell’estate del ’95. La collaborazione dei primi due (Nikolic e Obrenovic) con il Tribunale Internazionale ha permesso di acquisire elementi fondamentali su come l’intera operazione era stata condotta e pianificata. Anche Slobodan Milosevic, che il 5 luglio prossimo inizierà la propria difesa all’Aja, dovrà rispondere per i fatti di Srebrenica, qualora venga provata dalla Procura il collegamento tra la leadership serbo bosniaca e quella della Serbia propria, e la partecipazione di forze dell’esercito e/o della polizia di Belgrado nelle operazioni.

Banja Luka

IL 15 dicembre dello scorso anno il governo della Repubblica Serba di Bosnia (RS) ha istituito la “Commissione di indagine sugli eventi accaduti a Srebrenica e nei dintorni tra il 10 e il 19 luglio del 1995.”

Significativamente, nelle motivazioni che sostengono la decisione di creare la Commissione, si legge che i suoi obiettivi – oltre a quello di indagare sui fatti di luglio – sono di “contribuire alla creazione di una pace duratura e alla costruzione di fiducia in BiH”. La comunità internazionale in Bosnia Erzegovina (BiH) ha svolto naturalmente un ruolo importante nello stimolare la costituzione di questo organismo. Due dei sette membri della Commissione sono stati infatti indicati dall’Alto Rappresentante: Gordon Bacon, in rappresentanza della stessa comunità internazionale, e Smail Cekic, in rappresentanza delle famiglie degli scomparsi.

Proprio le famiglie si erano rivolte alla Camera per i Diritti Umani della BiH per avere notizie sulla sorte dei loro congiunti, scomparsi a Srebrenica nel luglio di 9 anni fa. La Camera, dopo aver accolto 49 istanze, in rappresentanza di altre 1.800, si era poi rivolta al governo della RS (con decisione 3 marzo 2003) chiedendo di fornire tutte le informazioni “relative alla sorte degli scomparsi”, rivelare “tutte le informazioni relative alla ubicazione delle fosse comuni” e di condurre una indagine completa relativamente alle violazioni dei diritti umani avvenute nel periodo in questione per poter informare il pubblico e i sopravvissuti sul “ruolo della RS negli eventi relativi al massacro di Srebrenica del luglio 1995 e gli sforzi successivi svolti per nascondere quegli eventi.

La Commissione in questi mesi ha potuto lavorare su documentazione fornita dalle istituzioni della RS (Ministero della Difesa, Comando Generale dell’Esercito, Comando del Primo e Quinto corpo d’armata, Ministero degli Interni) dal Ministero della Difesa della Federazione e da alcune istituzioni internazionali.

Le iniziali difficoltà nel rapporto con le istituzioni della RS sono state risolte dopo due decisi interventi da parte dell’Alto Rappresentante Ashdown (11 marzo e 25 aprile) e il cambiamento del presidente della Commissione stessa.

Il rapporto della Commissione della RS

Il risultato di questi mesi di indagine è contenuto in un rapporto di 42 pagine, che fornisce informazioni dettagliate sulle unità della polizia e dell’esercito serbo che erano presenti, e dà le coordinate relative alla ubicazione di 32 fosse comuni finora ignote agli organismi di ricerca delle persone scomparse.

La Commissione ha presentato il rapporto finale a Banja Luka l’11 giugno scorso. Il documento si articola in diversi capitoli:

- la sorte dei Bosniaco Musulmani a Srebrenica e nei dintorni tra il 10 e il 19 luglio del 1995: a Potocari; nella “colonna mista”

- le fosse comuni

- la sorte degli scomparsi

- lista e identità delle vittime la cui richiesta è stata presentata alla Camera per i Diritti Umani.


La creazione della Commissione e il suo lavoro - si legge nella introduzione - rappresentano la prova della maturità del popolo serbo e della RS, e la sua disponibilità ad affrontare se stessi, la storia e gli Altri.

La parti del rapporto rese note confermano che le forze serbe hanno assassinato sistematicamente i prigionieri fatti dopo la caduta dell’enclave, cercando poi di occultare i cadaveri. Gran parte delle informazioni non sono nuove, ma la importanza del rapporto risiede evidentemente nell’essere stato prodotto con informazioni provenienti direttamente dagli archivi dell’esercito serbo.

Il rapporto, nella parte finale, ribadisce i punti fondamentali che emergono dalla lettura del documento. In primo luogo, la Commissione della RS stabilisce che tra il 10 e il 19 luglio del ’95 diverse migliaia di Bosniaco Musulmani sono stati uccisi violando le Convenzioni Umanitarie Internazionali e che chi ha commesso i crimini ha operato per cercare di occultare quanto avvenuto trasferendo i cadaveri. Ribadisce l’importanza della collaborazione del governo della RS nel localizzare 32 fosse comuni, fornisce nuovi dettagli sulla identificazione delle forze militari e di polizia presenti a Srebrenica, sugli eventi di Potocari e della “colonna mista”, promuove una banca dati per raccogliere informazioni sugli scomparsi.

Potocari

La descrizione degli eventi a Potocari – presso e nei dintorni della base Unprofor, dove la popolazione disperata aveva cercato rifugio - ricalca quanto già noto: violenze, assassinii, suicidi, la divisione delle donne dagli uomini “in età militare”. Un passaggio importante chiarisce che, mentre anche minori e persone non “in età militare” venivano tratte dalla fila per essere poi condotte alle esecuzioni, tutti i loro documenti e oggetti personali venivano dati alle fiamme in un grande falò, a testimonianza che le parole di Mladic al comandante Unprofor Karremans secondo cui la separazione era fatta per individuare eventuali criminali di guerra era senza alcun senso. Gli Olandesi peraltro, dopo aver potuto in un primo tempo supervisionare sulla organizzazione dei convogli per la evacuazione dei profughi, venivano estromessi. Il rapporto menziona tutte le unità dell’esercito e della polizia serbe impegnate nelle operazioni a Potocari.

Secondo le testimonianze raccolte dalla Commissione, dentro e intorno la base olandese a Potocari c’erano circa 30.000 persone, mentre circa altri 8.000 cercavano da Gornji Potocari di raggiungere la base Unprofor. Tra di loro, si legge nel rapporto, non c’era neppure un soldato armato dell’esercito bosniaco.

La Commissione descrive la situazione impossibile creatasi a Potocari sotto il profilo umanitario per le violenze, il terrore e la mancanza di acqua e cibo, e la visita di Mladic nel pomeriggio del 12 luglio. Mladic, insieme ad alcuni operatori televisivi, distribuisce caramelle ai bambini e promette ai profughi che sarebbero stati trasportati dove volevano. Contemporaneamente, e durante la notte, persone venivano prese dal gruppo e assassinate (dietro la fabbrica di zinco, nei pressi del ruscello e dietro la “casa bianca”). Diversi civili sceglievano di suicidarsi impiccandosi. La Commissione conferma che alcuni soldati olandesi videro gli assassinii, e che le separazioni continuarono anche dopo la formazione dei convogli (ai soldati olandesi fu permesso di scortare solamente il primo), fermati in diverse località prima di giungere a Tisci, dove i sopravvissuti continuavano a piedi attraverso la terra di nessuno in direzione di Kladanj e Tuzla. Anche a Tisci avvenivano le separazioni. La “evacuazione” dei civili da Potocari, afferma il rapporto, terminò il 13 luglio alle 20.00.

La colonna mista

Il rapporto descrive nel dettaglio la odissea della cosiddetta “colonna mista” (di militari e civili). Tra le 10.000 e le 15.000 persone cercarono di fuggire da Srebrenica per raggiungere il territorio controllato dai Bosniaco Musulmani. Circa un terzo degli uomini – secondo la Commissione – erano membri della ventottesima divisione dell’esercito bosniaco, non tutti erano armati. In testa alla colonna le autorità del Comune. L’esercito serbo bombardava la colonna da diverse posizioni, considerandola “obiettivo militare legittimo”.

La colonna si divise in vari tronconi, attaccata da reparti dell’esercito serbo. Il rapporto della Commissione conferma quanto già da tempo noto, cioè l’utilizzo da parte dei Serbi di mezzi e equipaggiamento dell’Unprofor e della Croce Rossa. Travestiti, i soldati promettevano protezione e il trasporto verso Tuzla. Molte delle persone catturate venivano uccise sul posto, altri inviati verso centri di raccolta o fucilazioni di massa in altre località.

Il rapporto si sofferma con precisione sulle vicende allucinanti del cammino della “colonna mista”: i bombardamenti, l’attraversamento di fiumi (alcuni annegarono cercando di attraversare la Drina per raggiungere la Serbia) e campi minati, i suicidi, la morte per stenti.

Serbia, Krajna

La Commissione afferma di aver raccolto documentazione (ordini) relativi alla presenza di unità di polizia della Repubblica Serba di Krajna (Croazia) e della Serbia, ma dichiara la impossibilità di confermare in modo definitivo la partecipazione di queste unità agli eventi tra il 10 e il 19 luglio.

Una tale circostanza, se provata, potrebbe avere una importanza decisiva non solo nel processo Milosevic, ma anche nella accusa di genocidio presentata dalla BiH nei confronti della Serbia di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia.

Gli scomparsi

La Commissione riporta poi, come ricordato, i dati relativi alla ubicazione di 32 fosse comuni. Se si confrontano tuttavia i dati sulle esumazioni condotte ad oggi dal Tribunale dell’Aja e dalla Commissione federale per gli scomparsi, il numero delle persone identificate (1.332, di cui 980 sepolte nel memoriale di Potocari), con le statistiche sulle persone scomparse, emerge (come confermato dal rapporto) che un numero enorme di fosse comuni deve ancora essere scoperto.

Infine, la Commissione aveva come mandato quello di creare una lista con i nominativi di tutte le persone scomparse tra il 10 e il 19 luglio ’95, cercando di stabilire la loro sorte con una attenzione speciale nei confronti delle 1849 persone elencate nella decisione della Camera per i Diritti Umani.

Secondo quanto si legge nel rapporto, la lista più accurata esistente è quella in possesso dell’ICMP (Commissione Internazionale sulle Persone Scomparse), che ha creato un progetto di identificazione basato sul dna.

Il progetto dell’ICMP, tuttavia, non è ancora concluso. Ad oggi la lista comprende 7.779 persone. Le informazioni finali raccolte dalla Commissione in questo campo verranno rese note in forma di Allegato al rapporto finale entro la metà di luglio.

Una pagina nera nella storia del popolo serbo

La conclusione del rapporto recita: “Accettare e affrontare il fatto che alcuni membri del popolo serbo hanno commesso crimini a Srebrenica nel luglio 1995 può influenzare favorevolmente la creazione delle condizioni per le indagini su tutti gli altri crimini commessi in BiH e per la punizione dei colpevoli.

Il presidente della RS, Dragan Cavic, in un discorso teletrasmesso, ha affermato che il massacro di Srebrenica “rappresenta una pagina nera nella storia del popolo serbo”, e che i dati raccolti sono “uno scioccante confronto con la verità su una tragedia umana di dimensioni enormi” (Ansa, 23 giugno).

Le dichiarazioni di Cavic, e il sostegno espresso al lavoro della Commissione anche dal Primo Ministro della RS Mikerevic, assumono una importanza fondamentale alla luce dei nove anni di silenzi e omissioni. Un segno, forse, che qualcosa sta cambiando.

I commenti a queste prese di posizione, tuttavia, sono stati diversi. Secondo alcuni, il riconoscimento dei crimini, avvenuto dopo nove anni di silenzi e depistaggi, sarebbe avvenuto solo per le forti pressioni internazionali.

Milorad Dodik, leader del Partito Socialdemocratico Indipendente Serbo (SNSD), all’opposizione in RS, ha parlato nel corso di una conferenza stampa a Banja Luka, il 23 giugno scorso, dell’atteggiamento “paranoico con il quale le autorità competono nell’esprimere la loro volontà di cooperare con l’Aja. In linea di principio tali gesti sono da accogliersi positivamente – ha affermato Dodik – ma considerando che sono un ovvio risultato della paura di sanzioni, possono solo scatenare reazioni negative da parte della gente.

Anche Branko Todorovic, presidente del Comitato Helsinki per i Diritti Umani della RS, ha affermato che: “Nonostante tutte le attività del governo e le dichiarazioni drammatiche sulla necessità di affrontare le conseguenze della guerra, il messaggio che arriva alla gente è che tutto questo viene fatto solo per la paura di sanzioni.” (v. “I Serbo Bosniaci ‘costretti’ ad ammettere le atrocità”, e “Il ‘rincrescimento’ su Srebrenica dei Serbo Bosniaci”, Gordana Katana, IWPR, 18 e 25 giugno 2004)

Fuori dalla Nato, fuori dalla UE

In ogni caso, il lavoro su Srebrenica non è stato sufficiente. La persistente assenza di collaborazione tra le istituzioni della RS e il Tribunale dell’Aja, in particolare la latitanza di Karadzic – come noto – ha causato la esclusione della BiH dal programma Nato di Partnership per la Pace, decretata nel corso del recente vertice di Istanbul. La questione – come chiarito dai rappresentanti della Commissione Europea – è ormai imprescindibile anche per il percorso di avvicinamento della Bosnia alla UE.

L’Alto Rappresentante Ashdown ha reagito a questa situazione di stallo con la azione più dura mai intrapresa nel corso del suo mandato. Mercoledì scorso, 30 giugno, ha disposto la rimozione di 60 tra politici e funzionari della RS, responsabili di aver ostruito la collaborazione con l’Aja. Tra di loro ci sono Dragan Kalinic (presidente del Parlamento della RS e presidente dell’SDS, rimosso definitivamente), Zoran Djeric (Ministro degli Interni), Milan Bogicevic (Ministro dell’Economia). 13 persone sono inoltre state poste sulla lista nera della UE (esclusione dai visti).

Moltissime le reazioni alla “purga” (Blic, 1 luglio 2004) di Ashdown. Il clima inaugurato dal rapporto della Commissione su Srebrenica è rapidamente mutato. Il presidente Cavic ha dichiarato (Srna, 1 luglio 2004) che: “La comunità internazionale deve sapere che la nostra dignità umana e nazionale rappresenta una soglia che non potrà superare dal momento che il popolo serbo ha pagato un prezzo troppo alto per la creazione e l’esistenza della RS.

Karadzic è protetto dagli angeli?

Le dichiarazioni del rimosso presidente dell’SDS, Kalinic, sono state riprese ieri da tutti gli organi di informazione locali. Dopo essersi rivolto direttamente e Ashdown e Bond (Ambasciatore Usa a Sarajevo): “Vi perdono per questa rimozione, fatta al di fuori delle leggi e della Costituzione, in uno stile coloniale, come cowboys e colonialisti”, ha dichiarato che “si tratta della più brutale operazione di pulizia della classe politica condotta in RS fino ad oggi. Molti sono impotenti di fronte al fatto che Radovan Karadzic, probabilmente, è protetto da Dio e dagli angeli, e questa è la sola verità.

Più laicamente, nella stessa giornata, il maggior quotidiano bosniaco, Dnevni Avaz, citando una fonte molto vicina alla comunità internazionale, ha titolato: “Sono in corso negoziati per la resa di Karadzic?

Mentre si ripetono sempre più frequenti le voci su di una possibile prossima cattura del superlatitante, appare sempre più chiaro che, nove anni dopo la estate di morte del ’95, la Bosnia è al bivio.


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