A Vienna si sono aperti nei giorni scorsi i negoziati che dovrebbero portare alla defiinzione dello status del Kosovo. Una rassegna della situazione in questa tesi di laurea
Distribuzione della KFOR - Matteucci
Di Michele Luppi
Dopo anni di stallo la Comunità Internazionale è tornata concretamente ad occuparsi della “questione kosovara”.
Sotto la guida dell’inviato speciale di Kofi Annan, Martti Ahtissari, il 21 e il 22 febbraio 2006 si sono tenuti a Vienna i primi colloqui tra le delegazioni di Belgrado e Pristina sul tema del decentramento. Un primo passo verso la definizione dello status del Kosovo ipotizzata per la fine del 2006.
La situazione nella provincia, a oltre sei anni e mezzo dalla fine dei bombardamenti, è però ancora estremamente difficile. In questi anni l’instabilità e l’incertezza politica, scoraggiando l’arrivo di capitali ed investitori stranieri, hanno trasformato la crisi economica del dopo guerra in un vero e proprio collasso, aggravato dalla crisi energetica.
In questi anni accanto al processo democratico in atto, con il passaggio dei poteri verso le nuove istituzioni kosovare, si continua ad assistere all’incapacità di porre fine alle violenze inter-etniche che tendono periodicamente ad emergere. Nell’immediato, dopo la guerra, la pulizia etnica compiuta dagli albanesi contro le altre minoranze ha portato all’esodo di migliaia di persone e alla segregazione etnica delle minoranze all’interno di enclavi, protette dai militari.
Tutti questi problemi hanno alimentato la sfiducia della popolazione nei confronti dell’UNMIK sfociata in manifestazioni pacifiche ma anche in episodi di violenza. La difficile realtà del Kosovo è sicuramente il frutto della guerra e della delicatezza del quadro geopolitico regionale, ma non solo. In questi anni gli amministratori internazionali hanno commesso dei gravi errori e si sono dimostrati spesso impreparati a gestire la situazione. A partire dall’ambiguità della risoluzione 1244, approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non senza polemiche, il 10 giugno 1999. Il testo, fortemente contraddittorio, ribadendo la sovranità della Serbia sulla provincia e al tempo stesso sostenendo la necessità di promuovere l’autogoverno e l’autonomia dei kosovari ha lasciato la “questione kosovara” e il suo potere destabilizzante largamente intatto, aprendo la strada alle opposte rivendicazioni di Serbi e albanesi.
La risoluzione affidava all’amministrazione internazionale (UNMIK) e alla forza militare della NATO (K-For) la completa amministrazione della provincia. Un mandato estremamente ampio difficile da assolvere completamente. Ci vollero molti mesi prima che gli amministratori internazionali riuscissero a svolgere le loro funzioni primarie e che la K-FOR riuscisse ad avere un minimo controllo del territorio. In questa fase si creò nella provincia un vero e proprio vuoto di potere dove nelle rispettive aree, serbi e albanesi, con proprie autorità parallele preso il controllo dei centri di potere e di tutte le attività produttive, commerciali e sociali. Nelle aree controllate dagli albanesi scoppiò una vera e propria guerra civile tra gruppi militari albanesi. Approfittando di questa situazione i clan criminali hanno esteso il loro potere favorendo la proliferazione di attività illecite legate al contrabbando e al traffico di esseri umani, armi e droga. La mancanza di una forza di polizia Internazionale, guidata dall’Amministrazione Civile, inoltre, nella fase iniziale dell’intervento limitava l’attività stessa degli amministratori, costretti a dipendere dalla forza militare internazionale.
Il vuoto di potere non era soltanto politico ma anche giuridico. Al termine dei bombardamenti in Kosovo non vi erano tribunali, i giudici serbi erano scappati e quelli albanesi spesso si rifiutavano di processare propri connazionali. Questa situazione, aggravata dalla non accettazione del
corpus iuris in vigore prima dell’intervento NATO da parte degli albanesi, generò un clima di assoluta impunità che favorì, violenze e vendette non solo contro le minoranze ma anche tra gli stessi gruppi albanesi. La difficoltà degli amministratori internazionali di procedere all’implementazione degli standard previsti per il Kosovo era in parte dovuta alla struttura stessa dell’UNMIK. Un’organizzazione complessa in cui si trovavano a cooperare differenti agenzie dell’ONU, differenti soggetti politici (UE, ONU,OSCE) ognuno con propri apparati burocratici, proprie catene di comando e soprattutto differenti linee di intervento. I dibattiti politici nati in particolare tra ONU e UE sull’utilizzazione delle risorse ne sono la dimostrazione. Un altro esempio emblematico è rappresentato dalla lentezza del processo di privatizzazione. Dopo aver passato in rassegna i problemi della gestione internazionale l’elaborato si chiude con una descrizione delle posizioni con cui le delegazioni, albanese e serba, si sono presentate a Vienna per la riapertura dei colloqui, presentando inoltre le differenti posizioni all’interno del Gruppo di Contatto.