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La Comunità musulmana bosniaca: politica, società e religione

11.05.2006   

Cosa significa essere bosniaco? Quale il ruolo dell'appartenenza religiosa durante la guerra? In questo lavoro di ricerca si approfondisce il tema dell'Islam in Bosnia Erzegovina, prima e dopo il conflitto degli anni '90
Mostar - Antonello Nusca
Di Matilde Delfina Pescali

Lo svolgimento di questa ricerca deriva dalla necessità di approfondire gli aspetti e le conseguenze del recente conflitto bosniaco e in particolare gli avvenimenti che hanno coinvolto direttamente la comunità musulmana, in termini di conseguenze dirette sulla società laica e sugli aspetti confessionali.

Durante i quattro anni di conflitto, qualsiasi istituzione che potesse definirsi “bosniaca” è stata travolta e scavalcata dalla furia nazionalista. Di fatto, la vicenda bosniaca può essere analizzata in quanto paradigma del potere distruttivo dell’etnonazionalismo, e la situazione attuale come una diretta conseguenza della messa in pratica delle sue teorie.

Nel corso degli anni tra il 1991 e il 1995 si è verificato un fenomeno di polarizzazione culturale, che ha portato alla disintegrazione dei principi di convivenza interreligiosa tra i bosniaci. Questa situazione si è creata anche a causa dell’errata interpretazione della complessità delle strutture sociali locali, sacrificate ad una semplificazione di carattere politico religioso: se si accetta il principio per il quale la Bosnia è abitata da croati, serbi e musulmani, quanto accaduto durante il conflitto appare una conseguenza ovvia della volontà di cattolici e ortodossi di congiungersi alle rispettive madrepatrie.

Così facendo, si è giustificata la politica nazionalista e si è negata l’esistenza di una nazione bosniaca, non solo musulmana, ma comprendente tutte le caratteristiche confessionali del paese, come dimostra l’elevata percentuale di matrimoni misti, che fino agli anni del conflitto erano considerati la normalità.

Di conseguenza, la domanda sorge spontanea: se i moderatori europei non avessero deciso di considerare i serbi e i croati bosniaci degli interlocutori alla pari con il Governo centrale democraticamente eletto (ovvero la presidenza bosniaca e Alija Izetbegovic) cosa sarebbe accaduto in Bosnia?

L’errore della comunità internazionale è stato quello di voler vedere nel conflitto bosniaco un guerra civile e non una guerra di aggressione, avallando così le pretese territoriali dei partiti nazionalisti.

L’ipotesi di costituzione di uno stato-nazione bosniaco è stato così rinviato al difficile processo di ricostruzione dei rapporti interni alla società, danneggiati quasi irreversibilmente dalle violenze del conflitto.

La guerra in Bosnia ne ha distrutto la dimensione morale, e negli anni del dopoguerra la distanza sociale tra i diversi gruppi è andata crescendo. Essere musulmani (o bosgnacchi) significa quindi fare parte di una componente nazionale ben definita, che non può essere confusa né con quella serba né con quella croata.

Nel corso del conflitto, la comunità musulmana (di cui solo una percentuale minore si dichiarava praticante) è stata proiettata in una nuova dimensione della fede, sia a causa dell’azione politica dei propri rappresentanti, sia a causa della presenza di numerose associazioni di volontari giunti da tutto il mondo musulmano, che hanno importato in Bosnia nuovi aspetti della pratica religiosa.

A partire dallo scoppio del conflitto, essere musulmani implicava appartenere alla schiera confessionale dell’Islam, particolare per niente scontato nell’ambito della Bosnia jugoslava.

Durante il conflitto i musulmani bosniaci hanno subito l’influenza di un nuovo modo di vivere la religione, relativamente distante dalla pratica tradizionale. Nella Bosnia del dopoguerra, la tensione tra l’Islam della tradizione locale e l’Islam cosiddetto “importato” sta riaccendendo il dibattito nella comunità, a proposito delle manifestazioni pubbliche del sentimento religioso, che invece di rafforzare l’identità specifica della fede islamica bosniaca presenta i caratteri “non originali” di un’esasperazione dei costumi.

Il carattere multiconfessionale della Bosnia titoista ha perso terreno nei confronti del fenomeno di polarizzazione religiosa che ha colpito la Bosnia post-bellica. Il rischio sta nel fatto che il persistere di questo atteggiamento possa rallentare il processo di ricostruzione del paese, sia in termini di riassestamento politico, che in termini di ripresa della società.

La scelta che deve compiere la Bosnia si ritrova nelle parole dello scrittore mostarino Predrag Matvejevic: «Non è blindandoci che potremo salvarci. Non possiamo, non dobbiamo rimettere in discussione il nostro essere, in Europa, società multiculturali, aperte. Non possiamo, non dobbiamo guardare all’Islam come a un monolite privo di sfaccettature. Dobbiamo osservare le differenze, che esistono, e che sono foriere di speranza. Io queste differenze le ho toccate con mano; ho conosciuto un Islam laico, moderato, dialogante. L’ho conosciuto in Bosnia».

Per crescere, il paese necessita di una corretta elaborazione del passato, che permetta di evitare il ripetersi degli errori commessi negli anni novanta. Per superare i limiti imposti dalle proprie barriere interne, è necessaria una svolta che imponga una revisione del modello proposto da Dayton, e che permetta una crescita politica ed economica adeguata alle esigenze del paese, un’azione concreta nei confronti dell’eliminazione delle barriere etnico-religiose costruite durante la guerra. Questo implica che il futuro della Bosnia non potrà essere imposto dall’alto, ma dovrà provenire dal basso, tramite il progressivo ricongiungersi delle comunità.

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