Un errore durante il disinnesco di una bomba in una base militare ha causato un’esplosione a catena coinvolgendo 6 depositi di munizioni. Sfiorata la strage. L'Albania, la passione per la NATO e l'incapacità di garantire la minima sicurezza a chi vive nei pressi delle basi militari
Sei depositi di munizione dell’esercito albanese sono esplosi lo scorso 6 maggio nel distretto di Tepelene (Albania meridionale). Un ufficiale ha perso la vita e altri quattro sono rimasti feriti gravemente. Le esplosioni a catena sono state causate da un errore umano durante il disinnesco di una bomba. Nessuna conseguenza, invece, tra la popolazione di tre villaggi vicini ai depositi: sotto una pioggia di bombe, razzi e proiettili la gente è corsa a mettersi a riparo nei tunnel e nelle grotte delle colline che circondano la zona.
Per poco si è sfiorata la tragedia: accanto ai sei depositi completamente distrutti, ve ne sono altri sei con armamenti assai più pesanti, compresi missili terra-aria. Se le fiamme li avessero raggiunti - hanno spiegato gli esperti - vi sarebbero stati gravissimi danni in tutto il meridione del Paese. Ora si lavora per bonificare la zona dalle bombe e le granate non esplose volate e disperse su un raggio di 5 km e che rappresentano un forte pericolo per la popolazione.
"Sembrava la Seconda guerra mondiale"
Tepelene due razzi nel cortile di una casa
I più anziani dei tre villaggi - Dhemblan, Sinanaj e Metohasanaj – hanno raccontato ai giornalisti di aver rivissuto per un giorno la Seconda guerra mondiale: bombe, proiettili, fiamme alte e un denso fumo nero. Qualcuno, ancora terrorizzato, ha confessato di aver creduto addirittura ad un attacco militare dalla Grecia.
L’inferno si è scatenato attorno alle 13:00 del 6 maggio scorso. Un gruppo di esperti delle forze armate stava lavorando al disinnesco di una granata che faceva parte dell’arsenale raccolto dalle autorità in seguito ai saccheggi dei depositi dell’Esercito durante i disordini del 1997. Fatale l’errore di uno degli ufficiali al quale la granata è scivolata di mano: la sua esplosione ne ha provocate altre a catena che hanno coinvolto i sei depositi più vicini. Namik Gjolena, 55 anni, ha perso la vita, mentre quattro suoi colleghi sono rimasti feriti gravemente. Uno di loro è stato portato in seguito in Italia, grazie all’intervento dell’Ambasciata italiana a Tirana, a causa delle sue gravi condizioni.
Per diverse ore i circa 1000 abitanti dei tre villaggi si sono trovati completamente da soli. La pioggia di bombe rendeva impossibile qualsiasi soccorso. Dopo diverse ore d’attesa, nascosti nei sotterranei delle loro case o nelle grotte della zona, è cominciata l’evacuazione che è andata avanti al rallentatore per 10 ore.
Se tra la popolazione vi è stato solo qualche lieve ferito la situazione del territorio circostante la base, dopo la deflagrazione di circa 12 mila tonnellate di arsenale, è drammatica: 115 case sono andate distrutte. Il Governo ha promesso aiuti per la popolazione, giurando che fatti del genere non si ripeteranno più.
Un pericolo incombente
Soccorso dei feriti a Tepelene
Le autorità hanno già iniziato un piano di bonifica dell’area, ma questo non sembra accontentare la popolazione che ha chiesto al governo di spostare l’intero arsenale in un’altra località entro sei mesi.
Nella base militare rimangono ancora altri sei depositi con molte munizioni. Gli esperti hanno fatto sapere che se questo arsenale esplodesse ci sarebbero gravi conseguenze non solo per le due città vicine, Tepelene e Argirocastro, ma per l’intero meridione. Si sta lavorando “per prevenire un’altra tragedia e per diminuire i rischi”, ha dichiarato il ministro della Difesa, Fatmir Mediu. “Sono sicuro che questo è un caso isolato – ha aggiunto – Il governo sta prendendo tutte le misure affinché fatti del genere non accadano più”.
Alla faccia della NATO
Quanto successo nei tre villaggi di Tepelene ha mostrato l’arretratezza delle Forze armate albanesi, nonostante le dichiarazioni modernistiche dei vari ministri della Difesa degli ultimi anni, spinte dalla voglia di aderire il prima possibile all’Alleanza Atlantica. In questo senso, sicuramente la legislazione è stata modernizzata, ma dal punto di vista pratico i problemi rimangono. Si è visto anche nell’ultima tragica vicenda: il gruppo che si occupava di disinnescare gli ordigni era costretto a dormire la notte nella base militare per mancanza di fondi da parte dell’Esercito che coprissero i loro spostamenti quotidiani.
Lo scenario di Tepelene può ripetersi ovunque in tutto il territorio del Paese: lo denuncia un rapporto stilato a seguito della conferenza dal titolo “Sull’armamento leggero in Albania” tenutasi a Tirana pochi giorni fa. “I depositi di munizioni che si trovano nel territorio albanese sono ad alto rischio di esplosione, per via delle cattive condizioni nelle quali giacciono gli armamenti”, sottolinea il rapporto, secondo il quale gli stessi esperti del ministero della Difesa concordano su questo pericolo. Più del 70% dell’armamento di cui dispone l’esercito albanese è vecchio di più di 35 anni – si legge nel rapporto – ed è stato prodotto in parte in Albania, nell’ex Unione Sovietica e in Cina.
Particolare attenzione è stata dedicata anche alla sicurezza delle basi militari che secondo la stessa fonte lascia molto a desiderare: “In queste basi non esistono sistemi d’allarme, di video-sorveglianza o cani addestrati. I depositi vengono custoditi da militari mal pagati che fanno parte di un servizio obbligatorio e che a volte risultano esigui, per cui in alcuni casi vengono sostituiti da guardie civili”.
È questa l’altra faccia dell’Albania che si dice pronta per aderire alla NATO. E si sfiora quasi il grottesco quando sulle prime pagine dei giornali, accanto alle notizie sulle esplosioni a Tepelene, sono spuntate le dichiarazioni del vice presidente USA, Dick Cheney, che spezzava una lancia a favore dell’ingresso dell’Albania nell’Alleanza, apprezzandone le riforme fatte sin ora.
Dalla classe politica locale, gli unici a mettere in guardia sui rischi della fretta sono stati i socialisti dell’Lsi. “Il processo d’adesione alla NATO non deve essere solo politico, ma anche pratico – si legge in una nota – esso non deve avere a che fare solo con la diminuzione del personale delle Forze armate, ma soprattutto con le condizioni specifiche nelle quali questo processo si sviluppa”.