L'inferno che si è scatenato sabato scorso alle porte di Tirana ha tutti i contorni di una tragedia annunciata. Non è la prima volta infatti che esplode un deposito di munizioni. La cronaca dell’accaduto
Nove persone hanno perso la vita, altre nove risultano disperse. I feriti ammontano a 296, mentre 4.000 persone sono state evacuate. 2.300 edifici sono stati danneggiati. Di questi, 315 case sono rase al suolo, 185 gravemente danneggiate, circa 200 mediamente danneggiate ed oltre 1.600 hanno subito lievi danni. Sono queste le cifre ufficiali della potentissima esplosione avvenuta sabato scorso in un deposito di munizioni dell'Esercito albanese a Gerdec, piccolo villaggio che dista una decina di chilometri dalla capitale Tirana. Sono le cifre di quella che il Presidente della Repubblica, Bamir Topi, ha definito "un dramma nazionale".
Erano le 12:15 (ora locale e italiana) quando una prima esplosione si è udita provenire dalla fabbrica all'interno del deposito d'armi dove veniva svolto il processo di disinnesco di vecchie munizioni d'artiglieria. I circa 110 operai che vi lavoravano - quasi tutti abitanti della zona - si sono dati subito alla fuga: alcuni si sono messi a riparo in un tunnel adiacente. Dieci minuti dopo una seconda deflagrazione ha scosso Tirana e Durazzo, le due maggiori città del Paese, che hanno capito cosa era successo solo quando il fumo nero ha raggiunto i loro cieli. Un boato così potente da essere udito a 50 km di distanza. L'onda d'urto ha mandato in frantumi i vetri dell'aeroporto "Madre Teresa" - a circa 15 km di distanza - costringendo l'unico scalo internazionale del Paese a chiudere al traffico per oltre mezzora. Salvi per miracolo i 50 passeggeri di un pullman che viaggiava da Tirana in direzione Durazzo sull'unica autostrada albanese che passa proprio vicino al deposito di munizioni: l'onda d'urto ha sventrato il mezzo e solo la bravura del conducente ha permesso di non perdere il controllo e sbandare. Con i vetri a pezzi, le lamiere accartocciate e i passeggeri insanguinanti l'uomo è riuscito a portare l'autobus fino alle porte dell'ospedale di Durazzo.
Il governo ha subito mobilitato polizia, esercito e il personale medico di tutte le maggiori città per far fronte all'emergenza. Mentre la gente di propria spontanea volontà ha cominciato a fare la fila davanti agli ospedali per donare il sangue, che da sempre scarseggia in tutte le strutture sanitarie albanesi. Ad essi si è unito anche il ministro degli Esteri macedone che si trovava in visita ufficiale a Tirana. Più di 1.800 kosovari hanno fatto la stessa cosa nei due ospedali di Pristina. Italia e Grecia hanno subito messo a disposizione i loro ospedali per accogliere i feriti più gravi, mentre alle autorità di Tirana hanno offerto il proprio aiuto anche paesi come Montenegro, Macedonia, Francia, Germania, Austria ecc.
Gli operai che sono riusciti a mettersi in salvo hanno raccontato ai media che la stragrande maggioranza di chi si occupava del disinnesco erano abitanti della zona che prestavano servizio per uno stipendio di poco più di 100 euro al mese senza essere mai stati addestrati precedentemente. "Gli esperti ci seguivano solo per i primi 10 minuti dove ci dicevano cosa fare, poi non si facevano vedere", ha raccontato ai giornalisti un ragazzo di 19 anni. L'ufficio del Comitato di Helsinki a Tirana ha denunciato che nella fabbrica lavoravano donne e minorenni e che parte degli operai erano assunti in nero. Le testimonianze raccolte dai media hanno confermato la tesi facendo esplodere così un vero scandalo.
In una prima conferenza stampa, il premier Sali Berisha, ha scaricato ogni responsabilità del proprio esecutivo dando la colpa ad una società americana, incaricata alle operazioni di disinnesco. Immediata la smentita da parte della stessa società e anche dalla ambasciata Usa a Tirana che hanno puntualizzato come il contratto con le autorità albanesi sia scaduto già dalla fine del 2007. Dopo la figuraccia agli occhi dell'opinione pubblica, il ministero della Difesa ha impiegato diverse ore per capire e dichiarare che in realtà il contratto era stato siglato con una società albanese e che lo stesso ministero però si occupava soltanto del trasporto delle munizioni.
Il gioco con la palla della responsabilità non è piaciuto al Presidente della Repubblica, Bamir Topi, che davanti ai giornalisti ha chiesto "una profonda e chiara indagine della procura", "che porti alla luce tutta la verità". Il capo dello Stato è stato severo anche con il ministero della Difesa sulla decisione di costruire una fabbrica per disattivare armi nel bel mezzo di una zona abitata. "Una scelta sbagliata", ha detto senza mezzi termini, aggiungendo che "nessuno può trovare giustificazioni per operazioni del genere che vengono realizzate vicino a zone strategiche quali l'aeroporto e l'autostrada principale del Paese".
L'inferno che si è scatenato sabato scorso alle porte di Tirana ha tutti i contorni di una tragedia annunciata. Già due anni fa, il
2 maggio del 2006, due ufficiali dell'esercito persero la vita nell'esplosione di 6 depositi di munizioni in un villaggio vicino a Tepelene, cittadina nel sud Albania. Anche in quel caso molte abitazioni vicino ai depositi andarono distrutte e si sfiorò la strage, perché solo per miracolo le fiamme non raggiunsero gli altri 6 depositi adiacenti con munizioni di artiglieria pesante. Ai tempi, il premier Berisha (in carica dal 2005) promise che il proprio governo avrebbe preso tutte le misure necessarie per evitare un'altra simile tragedia. Ma a distanza di due anni, nulla è stato fatto. Lo ha detto anche il ministro della Difesa, Fatmir Mediu, che solo due giorni prima dei fatti di Gerdec, in un'intervista per il quotidiano di Tirana "Panorama", ha sottolineato che in Albania ci sono circa 100 mila tonnellate di munizioni che devono essere distrutte. Esse sono sparse in decine di depositi in tutto il territorio nazionale e le forze armate - secondo il ministro - "non possono garantire la sistemazione e la loro sicurezza". Mediu ha detto che serve un piano nazionale per la distruzione di questo materiale bellico lasciato in eredità dal comunismo e che "questo non è solo un problema del ministero della Difesa, ma un problema di Stato, che va risolto in maniera urgente".
E' questa l'altra faccia dell'Albania che cerca ad ogni costo di diventare a breve membro della Nato e per la quale si dice ormai pronta. Tirana spera di ricevere dal summit di Bucarest dell'Alleanza (in programma per il prossimo 2-4 aprile) un invito ufficiale a diventare membro e questo episodio potrebbe creare qualche perplessità. "L'esplosione avvenuta oggi a mezzogiorno in un deposito di munizioni dell'esercito albanese non potrà incidere sull'integrazione dell'Albania alla Nato", si è affrettato a precisare il premier Berisha la sera della tragedia. "Noi abbiamo un problema - si è poi giustificato - per quanto riguarda la sicurezza delle vecchie munizioni e simili tragici eventi sono avvenuti anche nei paesi membri della Nato". Bisognerà aspettare ancora qualche settimana per vedere quanto "il problema sulla sicurezza" inciderà al summit di Bucarest. E' chiaro invece quanto gli albanesi abbiano poco apprezzato questa grande preoccupazione sulla Nato mentre la conta dei morti di Gerdec era ancora in corso.