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I desaparecidos serbi di Sarajevo

30.05.2006    Da Sarajevo, scrive Massimo Moratti

Il governo bosniaco accoglie la richiesta di istituire una Commissione d’inchiesta sui crimini commessi a danno di civili serbi durante l’assedio. Ricerca della verità e manovre politiche a pochi mesi dalle elezioni
Sarajevo, il Museo Nazionale
Giovedì sera, con un sorprendente voltafaccia, il presidente del Consiglio dei Ministri della Bosnia ed Erzegovina ha accolto la richiesta da parte dei delegati serbi alla Camera dei rappresentanti, e ha deciso la formazione di una commissione di investigazione che faccia luce sulle sofferenze dei cittadini di Sarajevo durante il conflitto, e in particolare sul destino dei serbi della città che, secondo quanto sostenuto da più parti in Republika Srspka, sono stati fatti oggetto di violenze, assassini e sparizioni forzate durante il conflitto.

La Bosnia comincia ad affrontare il suo passato

La questione non è nuova e l’Osservatorio sui Balcani l’aveva già trattata un anno fa (vedi “I buchi neri di Sarajevo”). Capita però in un momento in cui la Bosnia sta lentamente riconsiderando gli avvenimenti del suo passato e aprendo gli scheletri nei suoi armadi. Quasi non passa settimana infatti senza che persone indiziate per crimini guerra vengano arrestate dalle forze di polizia locali o dalla SIPA, l’agenzia statale per la protezione e l’investigazione. L’omertà e la protezione che circondavano le persone indiziate per crimini di guerra stanno velocemente cedendo il passo alla necessità di portare a giudizio i criminali di guerra, e alla convinzione che non vi siano scusanti per tali crimini. La War Crimes Chamber di Sarajevo ha iniziato a emettere le prime sentenze per crimini commessi a Foca, Samardzic, e a Rogatica, Paunovic: 13 e 20 anni rispettivamente per l’omicidio e le torture di uomini e donne durante il conflitto.

Si comincia ad investigare e parlare con maggior libertà di tali episodi. E Sarajevo dovrebbe essere la prossima città sottoposta ad una commissione di investigazione come lo fu Srebrenica due anni fa. Le premesse sono le stesse. 3 anni fa la Human Rights Chamber della Bosnia ed Erzegovina emise una decisione di importanza fondamentale su Srebrenica. Nel 2003 infatti, la Chamber accolse il ricorso delle famiglie degli scomparsi di Srebrenica e ordinò alle autorità della Republika Srpska (RS) di investigare a fondo le circostanze relative alla caduta dell’enclave. Dopo mesi di insistenze e l’intervento decisivo dell’Alto Rappresentante, la Republika Srpska pubblicò il rapporto su Srebrenica che portò alle scuse ufficiali del Presidente della RS Cavic nei confronti delle vittime ed è la prima ammissione ufficiale da parte delle autorità della RS dei crimini di Srebrenica. Allo stesso tempo, però, anche le famiglie degli scomparsi serbi di Sarajevo (e di molte altre città bosniache) si rivolsero agli organi giudiziari, come la Corte Costituzionale e la Commissione per i Diritti Umani (che nel frattempo aveva sostituito la Chamber) cercando una risposta alle loro richieste di verità. E puntualmente sia la Commissione che la Corte risposero dando ragione alle richieste dei familiari e ordinando delle investigazioni dettagliate sulla scomparsa di queste persone.

Le richieste dei Serbi di Sarajevo

In particolare i serbi di Sarajevo, quelli che si sono rifugiati nella RS, da circa un anno chiedono che venga istituita una commissione per investigare sui crimini commessi nella capitale contro i serbi durante l’assedio. Alcuni di questi episodi sono già stati investigati dalle autorità giudiziarie del cantone di Sarajevo, come gli omicidi di Kazani e l’operato del famigerato Caco, anche se le autorità di Sarajevo hanno avuto la mano relativamente leggera nel comminare condanne. Ma vi sono altri episodi oscuri a Sarajevo che devono essere investigati, come appunto è stato sottolineato nelle decisioni della Commissione per i Diritti Umani e dalla Corte Costituzionale. Cittadini serbi rapiti dalle proprie case dalle formazioni paramilitari di Juka Prazina e Caco e mai più rivisti: sono questi i tipici casi dei desaparecidos “serbi” di Sarajevo che sono finiti di fronte agli organi giudiziari.

Nonostante le decisioni della Commissione per i Diritti Umani e della Corte Costituzionale siano vincolanti per tutte le autorità bosniache, tali decisioni non sono state implementate e spesso le famiglie degli scomparsi vengono informate, in modo piuttosto sommario, che non è stato possibile rintracciare i loro familiari. Tali risposte creano risentimento da parte serba nei confronti della comunità internazionale che non reagisce alla mancata implementazione di queste decisioni, mentre per Srebrenica prima e per il caso di Avdo Palic, l’Alto Rappresentante aveva ordinato la formazione di commissione di inchiesta speciali.

La parola ai politici...

Da alcuni mesi, quindi, i rappresentanti serbi alle istituzioni comuni hanno avanzato le proprie richieste in modo sempre più deciso e hanno iniziato a chiedere la creazione di una Commissione speciale per investigare Sarajevo. In tal senso, vi è anche una conclusione del Parlamento della Bosnia ed Erzegovina, emanata più di due anni fa.

La patata bollente è stata colta al balzo da Milorad Dodik, premier della RS, e da Nikola Spiric, presidente della Camera dei rappresentanti della Bosnia ed Erzegovina. Dodik e Spiric, leader dei Social Democratici Indipedenti in RS, hanno deciso di far proprie le istanze dei serbi di Sarajevo e sostenerli nella loro richiesta di investigazione. L’occasione, purtroppo, si presta molto bene ad essere sfruttata politicamente: con la campagna elettorale che avanza, Dodik teme di perder voti a destra e quindi si rivolge alle famiglie degli scomparsi e alle loro associazioni, tradizionali sostenitori del partito democratico serbo (SDS), che appare indebolito. La possibilità poi di avere una commissione per Sarajevo permette di mettere Sarajevo sullo stesso piano di Srebrenica, e quindi di far vedere che crimini sono stati commessi da entrambe le parti.

Ma la questione di Sarajevo è anche servita a ricompattare i parlamentari serbi negli organi comuni. Quando, la settimana scorsa, Adnan Terzic aveva detto di no alla creazione di una Commissione per investigare i crimini di Sarajevo, proponendo invece una Commissione a livello nazionale che investigasse le sofferenze di tutti i cittadini della Bosnia ed Erzegovina, i parlamentari serbi erano insorti e si erano ritirati dalle istituzioni comuni, fino al punto di richiedere la rimozione di Terzic stesso. I membri serbi del Consiglio dei Ministri avevano fatto lo stesso e le istituzioni comuni si erano trovate improvvisamente paralizzate.

Sono dunque bastati pochi giorni a Terzic per cambiare idea e rimangiarsi la parola. La commissione per Sarajevo sarà composta da 10 membri, (3 per ogni popolo costituente e 1 per gli altri) e sarà sostenuta e supportata dal Ministero per i Diritti Umani. Tale commissione dovrebbe essere il preludio per altre future commissioni create per investigare casi simili avvenuti nelle varie città della Bosnia ed Erzegovina.

Se da un lato questo sembra essere un processo salutare, quello di affrontare il passato, il procedere per commissioni durante la campagna elettorale sembra presentare il rischio di manipolazioni politiche e dell’utilizzo a scopi politici delle scoperte di tali commissioni, cosa che potrebbe ridurre la legittimità di questi organismi e far loro perder l’indipendenza.
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