L’ultima di una serie di interviste volte a sondare il tema della sicurezza e della libertà di movimento delle minoranze in Kosovo. Parla Mauro Barisone, responsabile a Pec/Peja del Tavolo trentino con il Kosovo
Pec/Peja, al mercato
Cosa pensi delle recenti dichiarazioni di Jessen Petersen sul fatto che il Kosovo di oggi molto è migliorato in merito alla sicurezza delle minoranze?
Molto migliorato mi sembra un’affermazione un poco esagerata. In Kosovo esiste una grande differenza di sicurezza delle minoranze tra città e città. In alcune zone per un serbo è più difficile muoversi in altre meno. A Peja per esempio è diventato più normale vedere un serbo in città. Per lo più si tratta di ragazzi giovani e di donne. Diciamo che è ancora difficile vedere un gruppo uomini serbi seduti tranquillamente in un bar.
Vi è secondo te in questo momento libertà di movimento per le minoranze?
Sulla carta questa libertà esiste, ma i serbi non se la sentono di rischiare e muoversi liberamente al di fuori delle loro comunità è ancora considerato anormale. Per le altre minoranze non ci sono problemi.
Puoi farci qualche esempio in merito a Pec/Peja di atteggiamento positivo e atteggiamento negativo delle autorità locali nei confronti delle minoranze?
Per Peja, per quanto riguarda la popolazione, quello delle minoranza è un problema minore, si è tutti concentrati nella ricerca di una condizione economica adeguata, tutti consapevoli che in questa situazione di instabilità c'è ancora la possibilità di concludere buoni affari. Le autorità locali stanno lavorando in favore delle minoranze, soprattutto verso quella serba. Questo atteggiamento può anche essere visto come opportunista, ma alcuni passi importanti sono stati fatti. Ad esempio, il patriarcato di Peja, in un documento della municipalità, è stato inserito come patrimonio storico culturale e luogo da proteggere e conservare e viene proposto in tutte le iniziative di sviluppo turistico della città. Le autorità comunali si sono recate più volte nell'enclave serba di Gorazdevac. Anche gli uffici comunali non fanno troppi problemi ad accogliere la minoranza serba. Diverso è l'atteggiamento nei confronti della minoranza Rom, meno importante politicamente. I quartieri Rom sono i più degradati della città e i servizi fondamentali, smaltimento rifiuti ecc., sono completamente inesistenti. Anche sul fronte dell'educazione e dello sport, la minoranza Rom viene lasciata in disparte.
Quale il ruolo delle organizzazioni non governative (ONG) e associazioni locali ed internazionali in merito al raggiungimento di un Kosovo multietnico?
Mi pare che tutte quante le ONG stiano lavorando su temi di sviluppo locale, sociale, economico, giovanile. Il tema multietnico arriva di riflesso, perché spesso questi progetti prevedono il coinvolgimento di tutte le etnie.
Quale invece il ruolo di UNMIK nel favorire un Kosovo multietnico?
Si fa fatica a percepire e comprendere il lavoro di UNMIK. È evidente lo scoordinamento tra il lavoro di UNMIK e quello delle autorità locali. In alcuni casi non c’è dialogo tra le due parti. La percezione generale è che ci sia una sorta di immobilismo e di attesa degli eventi da parte di UNMIK.
Quanto la percezione di insicurezza che la minoranza serba ha è legata all'atteggiamento di Belgrado nei suoi confronti e quanto invece ad una situazione delicata sul campo?
Il legame con Belgrado dei serbi del Kosovo gioca un ruolo fondamentale anche riguardo alla sicurezza. Per la maggioranza dei serbi del Kosovo, il riferimento politico è ancora Belgrado. Questo influisce sulla percezione di appartenenza che gli albanesi hanno nei loro confronti. Anche la parte serba, fintanto che non si sentirà a pieno titolo, appartenente a questo nuovo stato di cose, (giusto o sbagliato che sia) avrà sempre la sensazione di essere “estranea” alla vita politica, sociale, economica del Kosovo. L’ambiguità della loro presenza è uno dei tanti motivi che creano un clima d’insicurezza percepito da entrambe le parti.