Lezioni sulla conservazione del foraggio, visite alle stalle migliori, scambi d'esperienza tra allevatori. E soprattutto, allevatori serbi e albanesi che si sono ritrovati, dopo anni, nella stessa aula. Un progetto di cooperazione. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Natalia Stabilini*
Milan Petrovic ha 54 anni e dalla fine del conflitto, 7 anni fa, esce dall’enclave serba di Gorazdevaz solo in presenza di volontari internazionali, che lo accompagnano a Peje/Pec per brevi commissioni. Peje/Pec dista solo 5 km, ma per gli abitanti di Gorazdevaz rappresenta una meta ambita quanto temuta, dove ancora, nella maggior parte dei casi, non osano recarsi da soli per paura di ripercussioni da parte degli albanesi. Timore più o meno fondato, non sta a noi giudicare. Quello che conta è che in Kosovo una reale integrazione tra la comunità serba e la comunità albanese sembra essere ancora lontana, la distanza e le difficoltà sono ancora tante, le ferite faticano a rimarginarsi. Ma forse qualcosa si può fare...noi siamo partiti dal latte.
EDUS – Educazione e Sviluppo – ONG facente parte del Tavolo Trentino con il Kossovo, ha voluto provare a far incontrare gli agricoltori della regione di Peje/Pec per fornire loro tutti gli strumenti necessari per produrre un latte di buona qualità, dando loro la possibilità di consegnarlo a un centro raccolta assicurandosi in questo modo una forma di reddito mensile.
Il progetto, che è partito lo scorso gennaio, ha una impostazione strettamente tecnica, e prevede un percorso di formazione per gli agricoltori dei villaggi albanesi di Novoselo, Jablanica Grande, Jablanica Piccola, Radavaz e Poqeste, e per gli agricoltori dei villaggi serbi di Siga e Brestovik e dell’enclave di Gorazdevaz.
I villaggi selezionati, infatti, che distano da Peje/Pec tra i 5 e i 20 km, sono accomunati dalla necessità di avviare dei rapporti commerciali con la città, e questo vale sia per le aree albanesi di Novoselo e di Poqeste, svantaggiate a causa delle pessime condizioni delle strade e perchè particolarmente colpite dal recente conflitto, sia per i villaggi serbi di Siga e Brestovik, che faticano ad avviare rapporti commerciali con la comunità albanese accanto alla quale vivono, sia ovviamente per l’enclave di Gorazdevaz, completamente isolata.
Così, durante questo rigidissimo inverno kosovaro, si sono visitate tutte le famiglie in possesso di almeno una vacca, intervistandole sull’eventuale interesse a inziare a consegnare il proprio latte presso un centro di raccolta situato nel villaggio albanese di Llozhan.
In questi mesi si sono ascoltate tante storie e si è visto da vicino quali sono le condizioni di vita delle famiglie contadine del Kosovo. Le strade per raggiungere i villaggi delle comunità rurali sono nella maggior parte dei casi ancora non asfaltate, e durante l’inverno le abbondanti nevicate e il gelo rendono davvero complicati gli spostamenti. Molte famiglie non possiedono alcun mezzo di trasporto, e si devono affidare ai mezzi pubblici, saltuari e inaffidabili.
Nelle aree visitate, mediamente una famiglia possiede due o tre vacche, dunque ci sarebbe la possibilità, una volta messa da parte la quantità di latte per l’autoconsumo, di venderne qualche litro, ma il problema è la mancanza di centri raccolta facilmente raggiungibili.
Il mercato di Peje/Pec è per i più fortunati una possibilità, ma si tiene solo due volte la settimana, e comunque non sempre e’ possibile accedervi. I villaggi albanesi di Novoselo, Jablanica e Radavaz sembrano essere ancora convalescenti: pochissime sono le case che durante la guerra non sono state bruciate, quasi tutti sono scappati in Montenegro attraverso le montagne, e al loro ritorno non hanno trovato più niente, né la casa, né la stalla, né il bestiame. Tutto bruciato, tutto scomparso.
Anche a Siga e Brestovik, a soli 2 Km. da Novoselo, i serbi rientrati dopo la guerra si sono trovati nella stesse condizioni, hanno dovuto ricostruire una casa che non c’era più, reinventarsi una vita.
Mishko, 76 anni, ha festeggiato lo scorso novembre 50 anni di matrimonio, e Siga è casa sua, è nato e cresciuto qui. Pur sostenendo di potersi recare a Peje/Pec con tranquillità, senza aver mai avvertito alcun pericolo, a differenza di quanto accade per chi vive a Gorazdevaz, vorrebbe iniziare a sentirsi davvero parte della comunità, ma è ancora completamente isolato. “Qui a Siga e Brestovik molta gente aveva le vacche, ma non sapeva cosa farsene. Cosa me ne faccio di 30 litri di latte al giorno, se non posso venderlo? Non possiamo bercelo tutto! Qualcuno fa il formaggio e lo vende in Serbia, se ha parenti là, ma alla fine conviene vendere le vacche e mettere da parte un pò di spiccioli”.
Per Mishko il “progetto del latte”, come lo chiama lui, è una grande opportunità per iniziare a inserirsi nell’attività commerciale del proprio paese, e insiste perché la gente dei suoi villaggi sappia approfittarne.
La prima sessione di training del progetto, che si è tenuta a fine maggio, ha visto il coinvolgimento di 10/12 agricoltori serbi e di 10/12 agricoltori albanesi, che hanno partecipato separatamente alle lezioni in due momenti diversi e in due sedi diverse.
Conclusasi questa prima sessione, si è subito partiti con nuove visite. Con cautela, si è iniziata ad accennare la possibilità di organizzare la successiva sessione di formazione, che si sarebbe tenuta alla fine di luglio, in maniera congiunta. Le reazioni individuali alla proposta di EDUS sembravano positive – solo in un caso, nel villaggio di Novoselo, si è ricevuta una risposta categoricamente negativa, dettata ovviamente da una storia individuale molto sofferta durante il conflitto - e questo ha dato il coraggio per decidere che forse si poteva affrontare questa sfida.
Il primo giorno di formazione, presso l’Istituto Agrario di Peje/Pec, erano presenti in aula 28 persone, di cui 15 albanesi e 13 serbi, e tutti i villaggi erano rappresentati. Superati i primi momenti di imbarazzo e forse di diffidenza reciproca, l’atmosfera si è rilassata e, dopo la presentazione del programma della settimana, la lezione è iniziata senza intoppi e l’interazione con il docente è stata sin dall’inizio molto interattiva.
Ma Peje/Pec non offre solo lezioni sulla conservazione del foraggio. All’uscita dall’aula, Milan Petrovic, anziché salire sul pulmino per tornare a Gorazdevaz, ha chiesto di essere accompagnato a comprare del materiale per la sua stalla, e poi di essere portato a casa. Nessun problema. Ma una cosa tira l’altra, e dopo gli acquisti Milan ha proposto di mangiare un qebab dove fino a 7 anni fa lui, che lavorava come dipendente alla stazione degli autobus, pranzava ogni giorno.
I giovani albanesi che lavorano nel locale gli hanno fatto festa appena l’hanno visto entrare. Milan non andava in quel qebaptore dal 1998, e si temeva di non riuscire più a portarlo via. Alla quarta birra si è riusciti a trascinarlo in macchina e a riportarlo a casa, non lucidissimo ma sicuramente felice.
Il martedi sono iniziate le visite sul campo nei diversi villaggi, per poter “toccare con mano” gli argomenti trattati in aula, visitare le stalle, verificare le condizioni del fieno ecc. La visita a Siga e Brestovik è stata un momento di grande aggregazione. Il campo di Mishko, che lui cura interamente da solo, ha offerto tanti spunti interessanti per scambiarsi informazioni e consigli pratici, tanto che il docente sembrava essere diventato superfluo. Miftar, albanese di Poqeste, ha voluto sapere tutto sulla coltivazione delle nocciole, mentre Slavica, montenegrina nata e cresciuta a Gorazdevaz, 38 anni e 5 figli, ha voluto verificare la qualità del fieno e visitare la stalla di Mishko.
La giornata è terminata ovviamente con birra e raqui, come sempre accade nei villaggi serbi, e il training agricolo si è trasformato in una piccola festa all’aperto per la quale, questa almeno era la sensazione, ci si sentiva tutti grati.
Certo durante questa settimana non poteva mancare una visita da Milan a Gorazdevaz. Riparati sotto il portico a causa di un improvviso acquazzone estivo, Miftar, Pash e Istref, albanesi di Poqeste, hanno voluto brindare con la raqui all’amarena fatta in casa con Milan, Slavica, Igor e Milosav, e poco tempo è rimasto per parlare di vacche e di fieno.
Questa settimana ci ha dato tanta energia per continuare a lavorare in questa direzione, fedeli ai nostri obiettivi “agricoli” ma con una consapevolezza diversa e, soprattutto, con una nuova speranza per il futuro del Kosovo e di tutta la sua popolazione.
* Natalia Stabilini è responsabile in Kosovo dei progetti dell'ONG EDUS