Un reportage di viaggio. La percezione che gli albanesi hanno di se stessi e di ciò che i media italiani dicono di loro, lo sviluppo turistico, le facciate colorate e le contraddizioni di Tirana
Di Cecilia Ferrara*
Articolo tratto da Peacereporter
Albania, estate 2006. “Non avere paura, noi siamo albanesi buoni, non come quelli che in Italia vengono a fare i delinquenti e ci fanno fare brutta figura”. Non è difficile sentirsi dire questa frase in Albania. Non durante un’intervista o uno scambio di opinioni sul Paese di oggi e di ieri: semplicemente chiedendo indicazioni stradali. La percezione di se stessi e il rapporto che i suoi abitanti hanno con l’Italia e gli italiani è un dato che colpisce immediatamente quando si arriva nel paese delle aquile. Una persona su due parla italiano e spesso ha vissuto in una città italiana, ha un figlio o un cugino che ci abita. Per questo sa anche bene che cosa dicono i media italiani degli albanesi.
Patrimonio dell'umanità. Un’economia mantenuta in gran parte dalle rimesse degli emigranti, la chiusura quasi totale delle frontiere fino a solo 15 anni fa, infrastrutture e trasporti molto carenti, fanno dell’Albania un luogo inesplorato dalle rotte turistiche, “unfriendly” (non amichevole) come si legge nelle poche guide on-line composte principalmente da viaggiatori che si scambiano informazioni. Ma c’è anche chi crede che il turismo possa essere il settore vincente per l’economia albanese. Il governo innanzitutto, che ha iniziato a rendersi conto di possedere un patrimonio storico e culturale che deve essere protetto e valorizzato. Città antiche come Berat e Gjirokastra, siti archeologici come Butrinto e Apollonia erano fino al 1991 tutelati dal regime, ma i successivi anni di sostanziale caos in cui è piombato il paese hanno messo in secondo piano le ricchezze di tipo culturale. Oggi la tendenza si sta invertendo. Il ministero della cultura, in collaborazione con la municipalità di Gijrokastra, è riuscito a far ottenere alla città lo status di “Patrimonio culturale dell’Umanità” dell’Unesco.
Paese segreto. Lo scorso marzo, in occasione di una delle fiere più importanti dedicate al turismo a Berlino, il governo albanese ha aperto le trattative con l’Organizzazione Mondiale del Turismo, istituzione intergovernativa legata all’Onu. L’OMT, per intendersi, è l’organizzazione che ha permesso alla Croazia di quadruplicare gli ingressi turistici in soli tre anni. A Berlino il ministro per il turismo albanese Leskaj ha incontrato il segretario generale dell’OMT con lo scopo di presentare un piano improntato ad una promozione culturale e ad un turismo sostenibile che si leghi alle tradizioni dell’Albania. Lo slogan dello stand presente in fiera era, non a caso, “Albania, ultimo segreto da svelare in Europa”. Lo stesso governo italiano, tramite l’agenzia del Ministero degli Affari Esteri Cooperazione sviluppo Italia, ha offerto 900 mila euro per la formazione al turismo e nella relazione annuale dell'Istituto del Commercio Estero si legge che questo settore è ritenuto di “alto potenziale”.
Imprenditori fai da te. Ed è una ong italiana tenuta da religiose che da due anni ha aperto uno dei due istituti di formazione per gli operatori turistici in Albania. Si tratta del Centro Sociale Santa Marcellina di Saranda, sulla costa meridionale. “Abbiamo deciso di iniziare questo tipo di formazione – spiega suor Maria Cruz, di origini messicane – perché Saranda è una città in cui già c’è turismo. Da almeno un anno il governo sta investendo in questa zona: sia sulle infrastrutture, risistemando le strade, sia sul parco nazionale archeologico di Butrinto, dove stanno aprendo altri scavi. L’idea è quella di puntare sul turismo culturale oltre che su quello balneare”. Per il momento la maggior parte dei visitatori viene dall’Albania stessa, dal Kosovo o dalla Macedonia, ma quest’estate, come racconta Suor Maria Cruz, si sono visti dei cambiamenti: “Sono venuti molti più stranieri, in particolare inglesi, italiani e tedeschi”. Anche gli operatori si stanno muovendo in questa direzione. Un esempio intelligente che si trova a metà tra l’agenzia turistica e il viaggio consapevole è quello organizzato dai ragazzi di “Bathore beach”. Si tratta di 8 ragazzi tra i 18 e i 24 anni che hanno deciso di inventarsi un lavoro, perché, come recita lo slogan del loro sito internet, “è possibile costruire qualcosa nel proprio paese rifiutando l’idea che bisogna andare per forza in altri stati per vivere”.
Il codice del kanun. Ci siamo guardati intorno e vedevamo molti dei nostri coetanei che scappavano dall'Albania in cerca di fortuna – ha raccontato Erjona Shahini, responsabile di Bathore beach - E ci chiedevamo: esattamente in cerca di quale fortuna vanno? Tante volte ne abbiamo parlato nella spiaggia del nostro lago ed è sulle rive di questo lago che ha preso forma questo progetto che appunto prende il nome di Bathore Beach”. In questa zona periferica di Tirana i ragazzi hanno pensato a dei pacchetti viaggio individuali e per piccoli gruppi, indirizzati principalmente ad italiani. Propongono visite guidate alle principali città dell’Albania, ma anche incontri con gli anziani dei villaggi per parlare della storia del paese e scoprire alcune tradizioni come quella del kanun, il codice non scritto che regola i rapporti sociali albanesi da secoli. Nel kanun i valori più importanti sono l’onore, origine di faide sanguinose tra famiglie che si trascinano da generazioni, e l’ospitalità per cui “La casa è di Dio e dell’ospite”.
In Albania resta dominante un turismo particolare, di viaggiatori consapevoli e molto motivati. Sul versante italiano esiste ad esempio “Avventure solidali”, una piccola associazione di turismo responsabile di Milano che per il terzo anno ha organizzato un viaggio in Albania. Quest’estate sono partiti in trenta, in bicicletta, per percorrere la costa da nord a sud.
Turismo sostenibile. "Nei viaggi che proponiamo è importante soprattutto lo scopo – dice Giuseppe Palatrafio dell’Associazione – ovvero andare contro i pregiudizi e le false informazioni che abbiamo sull’Albania e sugli albanesi”. Il tutto seguendo l’idea del turismo sostenibile: un viaggio a contatto con la gente del posto e poco invasivo, incontrando le ong o le associazioni del territorio per conoscere i loro progetti ed avere una visione ravvicinata della società albanese e delle sue contraddizioni. “L’idea dell’Albania ci è venuta perché era un luogo vicino – continua a raccontare Palatrafio – di cui non si sa nulla o quasi”. In questi viaggi si scopre un paese gradevole sia dal punto di vista sociale che culturale. Palatrafio, anzi, prevede che fra qualche anno si svilupperà anche là il turismo, poiché l’Albania è troppo ricca di interesse e troppo vicina all’Italia per poter essere ignorata. Vero è che c’è ancora un po’ di strada da fare. È facile accorgersene appena ci si mette piede: di tutte le frontiere della penisola balcanica quella albanese è la più macchinosa da superare. È l’unico paese nel quale, per entrare, bisogna pagare una sorta di tassa di 10 euro. Per la macchina è obbligatorio fare un’assicurazione provvisoria di 54 euro circa, poiché normalmente la carta verde non è valida per l’Albania e, se l’automobile non è intestata al conducente, è necessaria un’autorizzazione scritta. Infine, avere un mezzo proprio in terra albanese costa 1 euro per ogni 24 ore di soggiorno. Una sorta di pedaggio autostradale; anche se le autostrade non esistono.
Mercedes in cambio di droga. L’ostacolo più grosso, infatti, per lo sviluppo del turismo (ma anche di qualsiasi altra attività) è rappresentato dalla condizione delle strade. “In Albania le strade non si misurano in chilometri, ma in ore”, così dichiarava un ragazzo macedone, mentre spiegava che da qualche anno passa le sue vacanze in Albania, perché costa poco e, soprattutto, non ci vuole un mese e mezzo per ottenere il visto come per la Grecia.
Le strade in Albania sono strade di montagna, strette e senza guardrail, oppure totalmente dissestate. Del resto, durante il regime di Hoxa c’erano soltanto 500 automobili in Albania, per possederne una bisognava appartenere alla nomenclatura comunista o chiedere un’autorizzazione governativa, che in 50 anni è stata concessa solo due volte. Con l’apertura delle frontiere l’Albania è diventata uno dei luoghi privilegiati per il contrabbando di auto rubate, in particolare Mercedes- Benz, molto apprezzate dai clan mafiosi che le scambiavano con partite di droga. L’impatto che si riceve entrando in Albania è quello di un particolarissimo paese post- comunista, dove su dieci macchine che si vedono passare otto sono Mercedes-Benz, dove il paesaggio è aspro con strade che fanno ancora un po’ paura, dove la prima cosa che si nota sono piccole costruzioni a forma di panettone in cemento armato, ovvero i 700 mila bunker che Enver Hoxa aveva comprato dalla Cina di Mao per difendersi da un’eventuale invasione Italiana.
L'ultima residenza del re illirico. Ma se si ha il coraggio di esplorare un po’ più a fondo, si rimane piacevolmente sorpresi dalle ricchezze naturali e da quelle storico artistiche. La costa jonica, a sud di Valona, è fatta di montagne a picco sul mare, spiagge chilometriche e mare trasparente. Si possono incontrare piccoli paesi medievali arroccati sulla montagna, dove il tempo sembra essersi fermato all’inizio del novecento, oppure i siti archeologici con i resti delle molte civiltà che si sono succedute sulla costa jonica, dagli illiri, ai greci, ai primi cristiani che costruivano basiliche ricoperte da mosaici. Ci sono le città storiche: da Berat, la città dalle mille finestre, a Gjirokastra, patria di Enver Hoxa ma anche dello scrittore Ismail Kadarè, con le sue strade strette e una moschea del settecento, fino a Scutari sul lago omonimo al confine con il Montenegro, una delle città più importanti e ricche di storia con la fortezza che ha più di duemila anni, ultima residenza di uno dei re illirici.
Dietro le facciate, i problemi. Rimane, inoltre, intatto il fascino di Tirana. Una città caotica, dove la speculazione urbanistica è un male endemico, ma anche la più viva culturalmente e socialmente. A Tirana si è sviluppato negli ultimi anni uno dei più interessanti tentativi di rinnovamento estetico. Il sindaco-artista Edi Rama decise qualche anno fa che l’unico modo per rendere la capitale leggermente più piacevole, senza avere un soldo nelle casse comunali, era quello di ridipingerla. Con l’aiuto degli studenti della scuola d’arte ha trasformato le facciate dei lugubri palazzi comunisti con i colori e le fantasie più vivaci ed ognuno di questi è diventato una piccola opera d’arte a se stante: ci sono villette dipinte di viola acceso, palazzi rosa attraversati da cerchi di colore più scuro uno dentro l’altro, linee di colore che continuano da un palazzo a quello accanto. A Tirana c’è un palazzo verde con le frecce gialle, uno con i balconi di diverso colore l’uno dall’altro e molti altri ancora.
Un’iniziativa, questa, che ha fatto vincere al sindaco il prestigioso premio di World Major Award nel 2004, ma che non lo ha risparmiato dalle critiche di chi vede nell’estrosa opera di Edi Rama uno specchietto per le allodole. Come dire che dietro le facciate colorate di nuovo sono ben altri i problemi di Tirana.
* Giornalista di Novaradio di Firenze