Da oggi nelle sale italiane “Il segreto di Esma – Grbavica”, film vincitore del festival di Berlino incentrato sulla questione della violenza contro le donne nel conflitto bosniaco. Nostra intervista alla regista, Jasmila Zbanic
Arriva nelle sale una delle storie di donna più toccanti dell’anno, “Il segreto di Esma – Grbavica” della bosniaca Jasmila Zbanic. Il film vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino in febbraio racconta un rapporto madre figlia nella Sarajevo dei nostri giorni, un decennio dopo l’assedio. Gli sforzi di Esma nel crescere una figlia preadolescente e il suo coraggio nel raccontarle la verità: la ragazza è il frutto di una violenza sessuale durante la guerra. Un film molto umano, con dettagli molto curati, uno specchio in cui guardarsi e provare a trovare il modo per dire e confessare quel che è accaduto e superare gli odi del conflitto. La regista esordiente ne ha parlato a Berlino.
Come ha accolto il premio? Se lo aspettava?
Non me l’aspettavo proprio, non avrei mai pensato di poter vincere. Desideravo qualcosa magari per le mie attrici, ma non per me. Anche perché il secondo film è meglio farlo senza troppe pressioni addosso. Questo film l’ho fatto con il cuore, ci ho messo tutto, ma non mi sento arrivata, ho ancora tanto, tanto da imparare.
Da dove è partita per scrivere questa storia?
Ho letto molte testimonianze di donne violentate e ho costruito la vicenda del film mettendo insieme più vicende personali che avevo raccolto. Lo stupro era una strategia per spaventare la gente. Le donne violentate erano tenute prigioniere e rilasciate solo quando l’aborto non era più possibile. Alcuni bambini sono nati nei campi di detenzione e portati all’estero. Non sappiamo neppure quante siano le donne che hanno subito violenza. Si calcola siano circa 20.000, ma è un numero che può anche raddoppiare perché molte di loro sono state poi uccise.
E il tema delle violenze?
Fin dal ’92, quando ho cominciato a sentire i primi racconti, ho avuto a che fare con questo tema, me ne sono interessata. Ma ho impiegato molto tempo a scrivere la sceneggiatura. Non è solo un film sulle donne in Bosnia, ma su tutte le donne violentate in guerra. È una storia universale, sulle donne che non possono parlare di quel che hanno subito.
Il gruppo di donne cui nel film Esma, la madre, si racconta è composto da donne dell’associazione delle ex prigioniere?
E’ una combinazione di donne dell’associazione delle ex prigioniere e di altre comparse. Ho coinvolto anche loro per dare più verità alla scena. Una di loro che ha assistito alle riprese, un giorno ha avuto una crisi di nervi e abbiamo dovuto chiamare un’ambulanza. Il film parla del loro dolore. È molto importante perché si tende a dimenticarle, a non parlarne. Queste donne non sono sostenute dallo Stato, non hanno un supporto, mentre gli ex combattenti o i ragazzi orfani ce l’hanno. Questo perché sono categorie manipolabili e utilizzabili dalla politica, mentre le donne che sono state violentate non lo sono. Solo lo scorso anno sono state riconosciute vittime di guerra ma senza una pensione. Molte di loro vivono con 15 euro al mese di aiuto. Spero che il film, quando sarà distribuito in Bosnia e stiamo cominciando a preparare l’uscita, possa essere visto da tanta gente e serva a far discutere di questo problema. E magari a cambiare la situazione in cui vivono queste donne. Inoltre spero possa essere catartico: chi di loro l’ha già visto ha pianto molto perché ha ricordato e rivissuto tutto ciò ha passato.
Lei aveva già fatto dei documentari sulle donne bosniache. Questo l’ha aiutata nel girare “Grbavica”?
Aver fatto i documentari mi ha sicuramente aiutata, dal momento che girare un film di finzione è relativamente più semplice. Questa volta ho solo diretto il film e mi è piaciuto molto potermi dedicare solo a questo aspetto. Nei miei precedenti lavori dovevo pensare a trovare le cose, al catering, a pulire, a tutto. Eravamo sempre troupe piccolissime in cui si doveva fare di tutto.
Lei ha speranze per il suo Paese?
Io ho speranze e anche la gente che vive intorno a me le ha. Ho un figlio piccolo che spero cresca e viva in Bosnia.
Gli uomini dal film sembrano badare solo ai soldi e agli affari illegali.
Siamo un Paese in transizione e le transizioni sono difficili. Gli uomini del film fanno parte di questa transizione, di questo clima, in cui conta fare soldi facili, senza badare alla legalità o meno del metodo. In un certo senso durante la guerra era meglio perché la gente era più vicina. Per questa ragione molti dicono che allora avevamo relazioni umane migliori. Oggi la criminalità è più alta che mai. In più la guerra è finita da quasi 11 anni, ma Ratko Mladic e Radovan Kardazic sono ancora liberi da qualche parte in Europa e nessuno davvero li cerca. Pur avendo fatto stuprare 20.000 donne, fatti uccidere più di 200.000 e cacciati dalle case un milione, nessuno è interessato a prenderli. Loro sono i maggiori responsabili di quanto è successo. Spero che vengano presi presto. Il fatto che siano ancora liberi è come un messaggio a tutti: puoi fare quello che vuoi senza pagare per le tue azioni. La gente sente che questo non è giusto e si sente ancora vittima perché non è stata fatta giustizia.
Come ha trovato la ragazza per il ruolo di Sara?
Ho fatto un lungo casting per i ragazzi, andando in molte scuole e cercando le ragazze e i ragazzi che non volessero già recitare. Li volevo che non fossero consapevoli del recitare, mentre quelli che vogliono fare gli attori o fanno le pubblicità lo sono troppo. Su 2.000 ho scelto 30 ragazzi e ragazze e ho lavorato con loro per sette giorni. Alla fine ho scelto i due che funzionavano meglio, che erano più adatti e soprattutto che continuavano a crescere e migliorare mentre andavamo avanti. Luna si arrabbiò quando seppe che nella sceneggiatura era previsto il suo taglio di capelli. Ma dopo qualche giorno mi scrisse una lettera molto bella che mi convinse di aver scelto bene. Scrisse di essere consapevole di non dover essere egoista e pensare a sé stessa, ma di dover pensare al personaggio di Sara per la quale era un passaggio importante. A soli 13 anni è stata straordinaria, la sua presenza ci ha aiutato molto nel fare il film in questo modo.
Come avete prodotto “Grbavica”?
Il nostro è un piccolo film, con un piccolo budget. È una coproduzione fra Bosnia, Austria, Germania e Croazia. Da noi in Bosnia ci sono fondi governativi alla produzione, che hanno coperto il 10% del totale. Non abbiamo studi, durante la guerra le infrastrutture esistenti furono distrutte. Però il cinema della Bosnia è rinato dopo l’Oscar di Tanovic. Siamo più bravi a fare i film che a giocare a calcio, per questo c’è sostegno alla produzione. La coproduzione è invece nata dall’amicizia personale con la produttrice e regista austriaca Barbara Albert. Nel 1996 venne a Sarajevo per raccogliere materiale per un documentario. Per puro caso io fui la prima persona che incontrò. Era sera, non sapeva dove dormire, così la portai a casa mia. Fu naturale farle leggere la mia sceneggiatura, fu tra le prime persone a farlo, e le piacque. Nel ’99 cominciammo a lavorarci, ma il progetto è davvero patito solo 3 anni fa. Sono davvero grata ai miei coproduttori.