Il film bosniaco recentemente presentato in Italia non parla solo di guerra e violenza contro le donne, ma allude a una possibile diversa declinazione dei generi e delle identità maschili e femminili. Un commento, riceviamo e volentieri pubblichiamo
di Gianguido Palumbo*
“Una donna che porta un peso” (psicologico), questo vuol dire Grbavica in una lingua che non sappiamo più come definire per non offendere alcuno: bosniaco, serbo croato?
Grbavica è anche il nome di un quartiere di Sarajevo che dà il titolo originale al film della giovane regista sarajevese Jasmila Zbanic, orso d'oro al Festival di Berlino 2006, appena presentato in Italia dall'Istituto Luce in molte città.
Un film che racconta una storia d'amore, fra una madre e una figlia, una storia d'amore parallela fra quella madre e un uomo appena conosciuto e una storia di odio, di odi, fra altri uomini sconosciuti e quella stessa donna-madre da loro ripetutamente violentata durante la guerra.
La Donna porta un peso, il peso fisico e psicologico di essere stata violentata ed essere rimasta incinta e avere partorito una bambina e soprattutto averle taciuto la sua origine per oltre dodici anni. Quella donna madre, nella storia emblematica del film, aumenterà quel peso con altre esperienze dolorose: dovrà lasciare un nuovo amore appena nato per un uomo “diverso”, dovrà dire la verità a sua figlia. Ma alla fine del film ritorneranno i sorrisi sui visi della madre e della figlia al suono e alle parole di una canzone d'amore per la loro città: Sarajevo.
Il film si apre e si chiude con delle immagini bellissime e molto significative di un Centro Assistenza per le donne violentate durante la guerra a Sarajevo.
La storia della guerra di Bosnia, con le sue violenze anche sulle donne da parte di uomini in divisa, e la storia del bel film Grbavica, ci raccontano non solo di guerra, di politica, di religione, di identità nazionali, di Europa, ma anche e nettamente di uomini e donne, di identità maschili e femminili.
A Sarajevo ho lavorato per un anno, fra il 1998 e il '99, per curare i progetti di cooperazione fra la città di Venezia e la capitale bosniaca. Il quartiere di Grbavica lo ricordo bene nel suo drammatico aspetto fatto di muri mangiati dal fuoco e dalle bombe, di buchi ovunque, e poi di ricostruzioni e rinascite. Il mio lavoro principale in quell'anno è stato proprio quello di far nascere il primo Centro Donna pubblico di Sarajevo, con il contributo del comune di Venezia con il suo Centro Donna, in collaborazione con il cantone di Sarajevo e l'Associazione bosniaca Zena Zenama (Donne per le donne). In nove mesi straordinari di lavoro, dalla nascita dell'idea all'inaugurazione, è nato Sunce (Sole) un nuovo servizio pubblico del cantone di Sarajevo per le donne in difficoltà, inaugurato l'8 marzo del 1999.
In quel progetto dedicato alle donne bosniache, collaboravamo uomini e donne, italiani e bosniaci di diverse origini, e credo che gli uomini coinvolti abbiano avuto un ruolo ed un comportamento positivi: di rispetto ma anche di servizio, di creatività e di tenacia convinta, di vera co-operazione fra generi.
Molte donne, forse non tutte violentate ma sicuramente in grandi difficoltà, hanno frequentato il Centro Sunce. Lavorando assieme ci rendevamo sempre più conto che il vero problema delle donne, all'origine della loro sofferenza passata e di quella presente, erano gli Uomini, non solo gli estranei, i nemici, violentatori in guerra ma anche gli uomini di famiglia: i mariti disoccupati, spaesati, sconvolti dalla guerra, spesso ubriachi e infine violenti fra le mura di casa. E già allora cominciammo a pensare alla promozione di un Centro per gli Uomini: di ascolto, di aiuto concreto (lavoro) e psicologico, da creare a Sarajevo ma anche a Venezia, in Italia, in Europa , nell'Occidente democratico, sviluppato e benestante.
Ancora oggi però, dopo oltre otto anni, non sappiamo di Centri Uomo pubblici. Sono invece nati in Italia da anni, e finalmente resi più noti solo adesso, dei Gruppi e delle Associazioni di uomini che stanno cercando di capirsi, di autoanalizzare la loro crisi di identità, di praticare una autocoscienza maschile.
L'AppelloUomini contro la violenza alle donne, pubblicato da alcuni quotidiani italiani il 19 settembre scorso (che ho controfirmato immediatamente), cui è seguito il primo incontro nazionale a Roma il 14 ottobre, è una novità importante che speriamo maturi e contamini la società italiana nella sua interezza, dai rapporti individuali delle coppie, alle amicizie, dai rapporti fra genitori e figli, alle relazioni di lavoro, dalla gestione aziendale alle istituzioni, ai partiti, quindi la Politica in senso ampio e positivo.
Noi uomini (forse non tutti) e la società in cui viviamo, abbiamo bisogno urgente di ripensare e creare giorno per giorno una nuova identità maschile in nome e nel segno del pensiero della differenza maturato dalla storia del femminismo internazionale, dalla filosofia, l'antropologia, la biologia, contemporanee.
Ridefinire la nostra differenza e i nostri valori nel riconoscimento speculare di quelli delle donne, degli omosessuali, dei transessuali: una nuova identità maschile non può che nascere dalla comprensione delle mutazioni in atto, della liberazione di energie dinamiche che ci porteranno alla nascita e riconoscimento pubblico e perfino istituzionale di un numero di Generi Umani non più limitato alla sola binomia Maschile - Femminile. Solo attraverso questa coscienza dei mutamenti individuali e sociali noi uomini potremo creare, progressivamente, nuove figure, tipologie, identità maschili dinamiche, diverse dal passato. Diverse dai timbri esclusivi della forza, della razionalità, della durezza, del potere, del possesso, senza rinunciare a tutte queste componenti che peraltro appartengono sempre più anche alle Donne, ma facendo emergere ed esprimere maggiormente anche altre componenti spesso represse dell'Umano: fantasia, creatività, follia, volontà, generosità, rispetto, umiltà, plasticità, elasticità. Scopriremo che la forza, la bellezza, la gioia, la serenità, il fascino, la resistenza di un Essere Umano stanno proprio nella sua varietà, nella ricchezza, la multiversità, la dinamicità, la disponibilità, e nel riconoscimento della necessità di completamento, di scambio, di comunicazione con altri esseri umani, fisiologicamente, caratterialmente, tipologicamente, storicamente, diversi, siano essi femmine, maschi, omosessuali, bisessuali, transessuali.
Nel film Grbavica l'uomo “nuovo” di cui s'innamora la madre-donna è la prefigurazione di una persona che non rinunciando alla propria identità originaria, mostra una sensibilità e agisce in modo diverso, non solo con lei, ma anche con i suoi colleghi, con sua madre, e certamente con la donna di cui si è improvvisamente innamorato. Mentre il ragazzo appena quindicenne compagno di classe della figlia viene tratteggiato come un riproduttore di modelli maschili e balcanici tradizionali: la violenza, la forza, la pistola, il sogno di un lavoro facile e conveniente.
E i nostri figli, soprattutto proprio i maschi, come stanno crescendo? Noi genitori, parenti e amici, la scuola, la televisione, la comunicazione, l'arte, la politica, come li stiamo e li stanno plasmando?
La bellezza particolare del film si riflette nella bellezza della regista: un viso allegro, serio ma non cupo, sensibile ma deciso e tenace. Una bellezza che sta dentro e fuori, che non traborda che non abbacina ma entra in chi guarda: Grbavica e la sua autrice sono preziosi, essenziali, semplici ma come scriveva Brecht (in
Lode del Comunismo): “E' la semplicità che è difficile a farsi”.
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Consulente in Comunicazione e Cooperazione Internazionale, autore di "Amina di Sarajevo" (Ediesse, 2005). Mail: adhocve@tin.it