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Reportage uranio (1)

20.11.2006   

Dopo le denunce relative alla morte di decine di militari italiani impegnati nei Balcani, due ricercatori cercano di ricostruire quali effetti hanno avuto i bombardamenti all'uranio impoverito sulla popolazione bosniaca. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
di Luisa Morfini e Ciro Cortellessa*

Il documento che segue è la rielaborazione di una serie di interviste svolte tra dicembre 2005 e novembre 2006 e finalizzate a verificare se e come la salute della popolazione bosniaca è stata influenzata dalla contaminazione dell’ambiente conseguente all’esplosione dei proiettili all’uranio impoverito utilizzati nel 1995 nel corso dell’operazione Nato “Deliberate Force”

L'interno della fabbrica di Hadzici, Sarajevo (foto L. Morfini, dic 05)
Di fronte al fenomeno delle numerose morti dei soldati italiani che hanno preso parte alle diverse operazioni di decontaminazione del territorio bosniaco dopo la fine della guerra nella ex Jugoslavia, viene da domandarsi quale sia lo stato di salute della popolazione bosniaca che abita o abitava nelle stesse zone in cui hanno operato i nostri soldati. Non è solo una curiosità, è anche uno degli obiettivi della nuova Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, recentemente istituita dalla Commissione difesa del Senato1, la cui principale novità risiede nella possibilità di indagare non solo sui militari colpiti ma anche “sulle popolazioni civili nei teatri di conflitto e nelle zone adiacenti le basi militari sul territorio nazionale”.

Un’analisi della diffusione delle patologie tumorali in Bosnia (in termini quantitativi e con riferimento alla provenienza geografica dei malati) potrebbe fornire elementi anche per verificare l’eventuale correlazione tra l’insorgere delle malattie e le condizioni ambientali che si sono create come conseguenza dell’esplosione di proiettili all’uranio impoverito. Come si evince dalla letteratura recente sull’argomento2, a cui si rimanda, non è né dimostrato né negato il legame diretto tra l’insorgere dei tumori e la presenza di radioattività da uranio impoverito nell’ambiente; tuttavia alcuni ricercatori3 stanno verificando che lo sviluppo di numerosi tumori (linfomi e leucemie) che si riscontrano nei nostri soldati è correlabile all’inalazione e all’ingestione delle nano-particelle di metalli pesanti; si tratta dei metalli pesanti contenuti nei proiettili e che, alla elevata temperatura che si genera nell’esplosione proprio in virtù dell’uranio impoverito, si riducono alla dimensione di non-particelle cancerogene.

Verificare e denunciare con più evidenza il legame tra malattie e condizioni ambientali potrebbe servire alla causa della richiesta di decontaminare il territorio.

Attraverso le interviste realizzate abbiamo quindi cercato risposta alle seguenti domande:

- è aumentato in Bosnia il numero dei malati e dei morti per linfomi e leucemie, cioè per le stesse malattie di cui sono stati vittime i nostri soldati?

- dove vivevano le persone che si sono ammalate?

- l’ambiente bosniaco risulta contaminato ed eventualmente da che cosa (radiazioni e/o nano-particelle)?

Non è semplice trovare risposta a queste domande; o meglio, non è semplice trovare qualcuno che risponda. Per diversi motivi. Ma qualcosa emerge.

L’aumento della mortalità

Al Ministero della Salute della Bosnia Erzegovina non esistono registri dei malati prima della guerra confrontabili con i registri dei malati dopo la guerra. Questo è dovuto al fatto che, dopo gli accordi di Dayton della fine del 1995, una parte significativa della popolazione di origine serba si è spostata in altre zone e in particolare in Republika Srpska, dove è stata inserita nei registri delle relative istituzioni sanitarie; allo stesso modo in Federazione sono arrivate altre persone di origine bosniaca e croata che prima vivevano in altre zone. Dunque le Autorità sanitarie bosniache non possono verificare se tra le persone che abitavano le zone bombardate al momento delle esplosioni con l’uranio impoverito c’è stato un aumento della mortalità.

Questo per quanto riguarda il confronto tra dati raccolti prima e dopo le esplosioni. Ma, poiché l’ambiente potrebbe essere ancora contaminato (da radiazioni, ma anche da nano-particelle) sarebbe utile conoscere lo sviluppo dei tumori nella popolazione che ormai da 11 anni abita nelle zone bombardate (le zone sono abitate da bosniaci e anche un certo numero di serbi che hanno scelto di rimanervi). Ma anche questi dati non sono in possesso del Ministero della Salute. Goran Cerkez, assistente del Ministro, dice che questa specifica verifica non è stata fatta perché ci sono altre priorità di cui il Ministero si deve occupare per la Bosnia.

All’Ospedale Kosevo di Sarajevo, dove l’indicazione dell’eventuale aumento della mortalità per tumori dovrebbe poter essere accessibile, un appuntamento già concordato con la professoressa Nermina Obralic dell’Istituto di Oncologia, ci viene negato all’ultimo minuto; la professoressa dice che a novembre 2005 ha incontrato una Commissione medica italiana e che ha già detto tutto quello che aveva da dire.

In effetti durante tale incontro sono stati stabiliti contatti importanti tra alcuni medici di Sarajevo e dei ricercatori italiani. In particolare la dottoressa Antonietta Gatti dell’Università di Modena, colei che ha individuato la probabile responsabilità delle nano-particelle nell’insorgenza dei diversi tumori nei nostri soldati, sta collaborando con alcuni medici dell’Ospedale Kosevo che, in modo informale, le mandano i dati clinici di alcuni malati per un confronto con i dati dei soldati italiani. Le verifiche di analogie patologiche sono in corso. Ma questo tipo di collaborazione non è tra le attività prioritarie dell’Ospedale che è in forti difficoltà economiche e al momento ha altre priorità (la disponibilità di medicinali, ad esempio: fino a pochi anni fa erano forniti gratuitamente dagli americani, ma adesso scarseggiano).

Poniamo la stessa domanda relativa alla verifica dell’aumento della mortalità al professor Slavtko Zdrale dell’Ospedale Kasindo: l’ospedale si trova nella parte serba di Sarajevo (Sarajevo Est, che qualcuno chiama Srpski Sarajevo) e dovrebbe avere in cura malati prevalentemente serbi, quindi in teoria la parte maggiormente “lesa” dall’esplosione dei proiettili all’uranio impoverito. Il dottor Zdrale però è restio a fornire dati; gli interessa di più dire che a Belgrado i medici sono riusciti a curare con successo un uomo affetto dai tipici tumori legati all’esplosione di uranio impoverito.

Un interlocutore più disponibile a dare informazioni sull’aumento delle malattie è l’associazione “Il cuore per i bambini malati di cancro nella Federazione di Bosnia Erzegovina” (“Srce za djecu koja boluju od raka u FBiH”) e il suo presidente, Sabahudin Hadzialic. L’associazione è stata fondata a Sarajevo nell’aprile del 2003 e riunisce genitori e amici di bambini malati; essa ha verificato che dopo la guerra la situazione dei bambini malati di cancro ha assunto dimensioni molto maggiori rispetto a prima, per motivi diversi; in particolare nella Federazione la malattia è raddoppiata rispetto al periodo precedente alla guerra, cioè rispetto alla diffusione della malattia tra il 1990 e il 1992; è raddoppiata soprattutto nel periodo 2000-2004: in tale periodo nella sezione di Oncologia e di Ematologia della Clinica Pediatrica a Sarajevo sono stati ricoverati 230 bambini con forme varie di cancro: leucemie, linfoma, cancro delle ossa, eccetera.

Questo dato, nella sua drammaticità, è importante ma è troppo semplice, è incompleto e non consente di individuare un legame diretto tra tumori e presenza di uranio impoverito o di nano-particelle nell’ambiente; bisognerebbe sapere di quali tumori sono malati i bambini e in quali aree di Sarajevo vivevano per poter eventualmente mettere in relazione la malattia con la contaminazione da uranio impoverito. Ma all’Associazione non è stato possibile fare questa verifica. Sabahudin Hadzialic ha chiesto da anni al governo della Federazione di effettuare degli studi indipendenti, ma non gli sono stati concessi. Al momento l’informazione può essere accolta come un dato di fatto: nell’area di Sarajevo la mortalità dei bambini è aumentata dopo la guerra.

L’unico lavoro oggi disponibile di verifica dell’aumento della mortalità collegabile alle esplosioni di proiettili all’uranio impoverito è quello di Slavica Jovanovic, dottoressa della Dom Zdraljie di Bratunac, la Casa della Salute. Il suo studio riguarda la popolazione direttamente esposta alle esplosioni, poiché ha analizzato l’aumento di tumori tra i profughi che vivevano ad Hadzici. Hadzici è una località a 27 km da Sarajevo che durante la guerra era in mano ai serbi, i quali anche da tale postazione assediavano la città: la località, e in particolare una fabbrica di manutenzione di armamenti, è stata bombardata dalla Nato nel settembre del 1995 con proiettili all’uranio impoverito. Ora i profughi serbi di Hadzici si sono spostati a Bratunac, cittadina che gli accordi di Dayton hanno attribuito alla Repubblica Srpska.

La dottoressa Jovanović ha analizzato i dati relativi alla mortalità nella popolazione proveniente da Hadžići (tra le 4.500 e 5.500 persone) e da altre regioni del Cantone di Sarajevo. In particolare ha analizzato e confrontato la percentuale di mortalità su tre gruppi di popolazione del territorio del Comune di Bratunac dal 1996 al 2000:

- popolazione residente a Bratunac già prima della guerra
- profughi arrivati a Bratunac da Hadzici
- profughi arrivati a Bratunac da altre zone della Bosnia Erzegovina.

Fonte: “Mortalitet kod raseljenih sa područja opštine Hadžići i drugih opština sarajevske regije u periodu 1996-2000g” - Slavica Jovanović, Dom Zdraljie di Bratunac
L’analisi dimostra che la mortalità tra i profughi di Hadzici è 4,6 volte più alta rispetto a quella della popolazione di Bratunac, mentre la mortalità dei profughi che arrivano da altre parti della Bosnia è 2,2 volte maggiore rispetto a quella dei cittadini di Bratunac.

Ci sono diversi possibili motivi per spiegare l’alta percentuale di mortalità nella popolazione che si è spostata da una parte all’altra del territorio: lo stress durante e dopo la guerra, la perdita di familiari e di beni, la cattiva alimentazione, le cattive condizioni igieniche, ma anche la vita in un territorio contaminato da radiazioni o da nano-particelle di metalli pesanti. Dalla stessa analisi svolta dalla dottoressa Jovanovic è possibile estrapolare la percentuale di mortalità dovuta a tumori e verificare come la popolazione di Hadzici presenti la percentuale maggiore rispetto agli altri due gruppi. Purtroppo non viene fornito il dato di dettaglio circa la tipologia di tumori, dato che potrebbe confermare il legame con la contaminazione dell’ambiente da parte dell’uranio. Però intanto si registra che la mortalità da tumore di questa popolazione è più del doppio rispetto a quella della popolazione locale e supera di un terzo la mortalità per tumore degli altri profughi.

Fonte: “Mortalitet kod raseljenih sa područja opštine Hadžići i drugih opština sarajevske
Dopo il 2000 l’analisi non è stata più proseguita perché il gruppo target di Hadzici non era più in condizione di essere seguito, avendo subito ulteriori grandi migrazioni.

Il lavoro della dottoressa Jovanovic indica che le persone che abitavano nelle zone dove è avvenuta l’esplosione dei proiettili si sono ammalati di tumore e sono morti in percentuale maggiore rispetto alla popolazione non esposta.

Invece, per quanto riguarda l’aumento della mortalità nella popolazione attualmente residente, l’unica segnalazione è quella proveniente dal dato del raddoppio della mortalità nei bambini che vivono intorno a Sarajevo.

Ma quali sono le condizioni ambientali attuali delle zone bombardate nel 1995? (1 – continua)

*Centro di Documentazione di San Donato Milanese
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