A seguito dell'appello lanciato nella città giapponese il 6 agosto scorso dalla rete internazionale per la messa al bando dell'uranio impoverito, si è svolto a Modena un importante convegno. La discussione e le reticenze di politici e militari su Balcani e Italia
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Stefania Divertito*
2006, bombardamenti sul Libano
Hiroshima chiama, Modena risponde. Il tema è l’uranio impoverito, anzi, come sostengono gli scienziati che da anni se ne occupano, le munizioni ad alta temperatura. Uranio impoverito (Du), ma anche tungsteno e le armi ad alta capacità piroforica e che bruciando a oltre 3.000 gradi creano minuscole particelle radioattive e chimicamente tossiche.
Un tema, quello dell’inquinamento bellico, al centro della due giorni di studio e dibattito organizzata a Modena dal comune emiliano, dalla casa editrice Infinito Edizioni, dal centro di documentazione Semi sotto la neve, Peacelink e dalla rete internazionale per la messa a bando dell’uranio impoverito che da Hiroshima il 6 agosto ha lanciato l’appello: organizzare iniziative per il 6 novembre, quando in molti Paesi del mondo è celebrata la giornata anti Du.
Uranio e Libano
Tank e carri armati. L’ultimo teatro di utilizzo dell’uranio sembra essere stato il Libano. I due fotoreporter giapponesi Naomi Toyoda e Hitoshi Shimizu, in Italia per una serie di conferenze, ne hanno mostrato le prove: fotografie di blindati perforati come panetti di burro. È la prova che a colpire sono stati proiettili a uranio impoverito. Inoltre in prossimità del foro il livello di radioattività è molto elevato. I due fotografi hanno mostrato questi eccezionali documenti negli incontri avvenuti a Firenze, Genova, Torino, Modena e Ladispoli, insieme con filmati che testimoniano le condizioni di vita del popolo iracheno dopo i bombardamenti.
La Sindrome dei Balcani
L’esplosione dei proiettili genera nanoparticelle tossiche di metalli pesanti che, depositate nell’organismo, possono essere cancerogene. È stata la ricerca mostrata dal dottor Stefano Montanari ad aprire la sessione scientifica modenese. Una teoria provata da numerose “tracce” lasciate nell’organismo da queste particelle tondeggianti e trovate sia nei tessuti dei soldati malati (più di 300, mentre sono circa 50 quelli deceduti) che nei bosniaci vittime dei bombardamenti, sia negli animali nati con malformazioni intorno ai poligoni di tiro in Sardegna.
C’è un legame che da Hiroshima - e dalla devastante esperienza della bomba H - porta a Modena. E non solo la radioattività provocata dai bombardamenti. L’uranio impoverito, come si sa, ha una debole attività radioattiva. Ma la dottoressa Antonietta Gatti di Modena, fisico dell’università emiliana e titolare della prima ricerca internazionale sulle nanoparticelle, ha ricevuto l’ok dal sindaco di Hiroshima per esaminare brandelli di abiti di persone morte nel 1946, quando la bomba H esplose nella città giapponese. “Sono sicura di trovare tracce di nanoparticelle anche lì”, ha detto la dottoressa che sta anche studiando l’effetto per la popolazione newyorkese dell’esplosione delle Torri Gemelle, avvenuta anch’essa a temperature elevatissime. Si sta aprendo un nuovo fronte, quindi nella comunità scientifica così come nella società civile: un fronte di opposizione delle cosiddette “guerre termiche”. Ecco allora che la battaglia contro l’uranio impoverito è diventata più vasta, e comprende tutte queste nuove armi.
E se il sottosegretario alla Difesa Lorenzo Forcieri ha sottolineato che “per quanto riguarda la Sindrome dei Balcani occorre ricercare la verità più che i responsabili”, il senatore Gigi Malabarba abbandona il politichese: “Bisogna dire con forza che c’è stato un ritardo colpevole nel fornire i dati, alla commissione Mandelli e a quella d’inchiesta. E occorre fugare un dubbio: che si vuole nascondere gli effetti tra i militari per non rendere noti i danni alle popolazioni. Anche se l’uranio impoverito non è stato trovato fisicamente nei tessuti malati, i suoi effetti cancerogeni sono dimostrati”.
Ma non tutto il pubblico – costituito per lo più da uomini e donne in divisa, militari della vicina accademia e colonnelli arrivati da Roma – ha gradito. E quando è toccato al colonnello Rossetti, non sono stati usati mezzi termini: “La letteratura scientifica - ha detto – è zeppa di studi che testimoniano la innocuità dell’uranio impoverito. Alcuni minatori che hanno respirato polveri di uranio durante l’estrazione sono stati monitorati e tra di loro c’è stato un decremento dei casi attesi. Stessa situazione anche per gli abitanti di Amsterdam che hanno respirato aria inquinata dall’esplosione di un aereo i cui contrappesi erano appunto costituiti da uranio impoverito”.
L’intervento del colonnello è stato controbilanciato dal generale Aprea che, sui poligoni nazionali, ha aperto un capitolo inquietante: “Esistono gravi elementi critici nelle bonifiche dei siti, laddove pure vengano fatte. E non c’è alcun collegamento tra le autorità militari responsabili di questi siti e chi è preposto alla bonifica del territorio”.
Se il mondo militare a conti fatti si è mostrato diviso, si è rilevata invece unanimità sulla “bocciatura”, seppure con i se e con i ma, al lavoro della commissione Mandelli. A partire dal professor Martino Grandolfo, dell’Istituto superiore di Sanità che di quella commissione - la quale ha rilevato un eccesso statisticamente rilevante di linfomi di Hodgkin tra i militari ma senza trovare un nesso causa-effetto con l’uranio impoverito – era parte integrante. “Abbiamo avuto dei limiti nello svolgimento del nostro lavoro – ha ammesso il professore – che hanno potuto inficiarne alcuni aspetti”. Ci ha pensato l’epidemiologo Valerio Gennaro, dell’istituto per i tumori di Genova, a puntualizzare i difetti: “Errori statistici e di metodo – ha detto – che rendono vane le conclusioni raggiunte”.
Mentre la comunità scientifica dibatte, la giustizia prosegue il suo corso, anche se lento.
Lunedì si è svolta al tribunale di Roma la prima udienza del processo che vede contrapposta la famiglia Antonaci allo Stato Maggiore della Difesa e dell’Esercito. Andrea Antonaci è morto il 12 dicembre 2000, stroncato dal linfoma non Hodgkin al ritorno dalla missione in Bosnia. L’avvocato Angelo Fiore Tartaglia ha promosso una causa per risarcimento del danno nei confronti dell’amministrazione della Difesa perché Andrea, come gli altri soldati, è stato mandato in missione senza precauzioni, nonostante si sapesse la pericolosità dell’uranio.
Lunedì però l’avvocatura dello Stato ha rigettato le accuse: poiché l’invio dei soldati è formulato dal Parlamento, non è certo lo Stato Maggiore a essere responsabile delle mancate precauzioni. “I vertici – si legge nella memoria difensiva dell’avvocato Giovanni Pietro de Figueiredo – hanno operato nella misura e con le modalità strumenti e mezzi in dotazione già esistenti nel momento dell’invio dei militari e consentiti dai bilanci della Difesa. Bilanci approvati dal Parlamento, in relazione ai fini determinati dagli indirizzi di politica militare individuati, anch’essi, al Parlamento”.
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