Pubblicata una relazione da parte dell’OSCE sullo stato dei diritti di proprietà immobiliare in Kossovo. Emerge un quadro sconcertante e gli autori affermano che se la situazione attuale non cambia le minoranze non rientreranno.
La sede dell'OSCE in centro a Pristina, OSCE
Come vengono tutelati i diritti di proprietà in Kossovo? Qual è la situazione per quanto riguarda l’occupazione illegittima di case, l’espropriazione, la vendita e l’acquisto di proprietà immobiliari? Gli anni di presenza e di “esperienza” in Bosnia Erzegovina ed in alcune regioni della Croazia da parte della Comunità Internazionale hanno dimostrato che la questione dello status giuridico delle proprietà immobiliari è strettamente legato al ritorno delle minoranze. Uno degli elementi comuni alla maggior parte delle crisi violente verificatesi in questi ultimi dieci anni nei Balcani sono stati infatti gli ingenti movimenti di popolazione. “Pulizia etnica” è divenuto un termine purtroppo connaturato con questi territori. E questo ha implicato non solo uccisioni e massacri ma anche terribili “sradicamenti”. Molte case sono state abbandonate, a volte poi distrutte, altre occupate da profughi e rifugiati dovuti fuggire a loro volta dai luoghi dove abitavano; non rari sono stati invece i casi di chi dell’occupazione di proprietà altrui ha visto un “business” ed ha allora sistemato i figli che magari prima vivevano in casa con i genitori e poi si sono trovati ad occupare un appartamento in centro città. Un mosaico scombinato e sconvolto, difficile da dirimere.
La crisi del Kossovo non è stata esente da queste dinamiche, in parte rese ancora più complesse da una situazione giuridico-istituzionale che rimane tutt’ora incerta e poco chiara.
L’OSCE ha da poco pubblicato (nel gennaio del 2002) una relazione sullo “Stato dei diritti di proprietà” proprio in Kossovo, particolarmente significativo alla luce delle prime, ma deboli, aperture per quanto riguarda possibili rientri di minoranze nella provincia bombardata dalla NATO nel 1999.
Un utile strumento che da un quadro del contesto giuridico attuale, fornisce una concisa ma utile retrospettiva su ciò che è avvenuto in Kossovo negli ultimi dieci anni a questo riguardo ed inoltre analizza come sul campo i diritti di proprietà (delle minoranze ma anche della maggioranza albanese) vengano tutelati. Partendo da questi spunti poi l’OSCE cerca di delineare la direzione nella quale, a suo avviso, l’amministrazione internazionale e gli amministratori locali dovrebbero muoversi nel futuro.
Fin dal 1989, sottolineano gli autori, è iniziato il collasso del sistema della proprietà immobiliare nella provincia. Sono quelli gli anni in cui il regime di Belgrado ha infatti imposto leggi sempre più discriminatorie nei confronti della popolazione di etnia albanese. Ne seguì la pratica diffusa di procedere a transazioni immobiliari in modo informale, senza seguire le normative imposte dalle autorità serbe. La crisi di dieci anni dopo, del 1999, ha poi completamente sconvolto la situazione: le autorità della FRY nei mesi di conflitto con la NATO hanno distrutto i catasti, moltissime proprietà sono state abbandonate prima nei mesi dell’esodo della popolazione albanese e poi durante il successivo esodo di serbi, rom ed altre minoranze. Proprietà che sono state poi spesso distrutte, a volte rioccupate.
Il vuoto istituzionale seguito al ritiro dell’esercito serbo dalla regione, notano gli autori della ricerca, non ha certo aiutato a tenere sotto controllo la situazione. Si vennero a creare infatti “governi di emergenza paralleli” ed “autorità auto proclamatesi tali” per lungo tempo tollerate dalla Comunità Internazionale almeno sino alla creazione, nel gennaio del 2000, della JIAS (Joint Interim Administration Structure).
Già nel 1999 l’UNMIK aveva creato l’HPD (House Property Directorate) e la HPCC (House Prpperty Claims Commission) due istituzioni internazionali che avrebbero dovuto contribuire a risolvere eventuali dispute in merito a proprietà immobiliari ma questi due organismi hanno iniziato ad operare, tra mille difficoltà, solo dopo l’adozione nel novembre del 2001 della cornice giuridica e procedurale all’interno della quale avrebbero dovuto lavorare.
L’analisi condotta dall’OSCE sull’operato di queste due istituzioni è molto interessante e paradigmatica. Questi due organismi sono infatti continuamente in “debito d’ossigeno”: limitatissimi i fondi a loro disposizione e questo ne ostacola notevolmente il funzionamento. Un esempio su tutti: difficilmente riescono ad aprire uffici fuori dal Kossovo (unico modo affinché le minoranze possano accedere ai servizi forniti) perché mancano i fondi per sostenere tali strutture. Vi sono inoltre notevoli problemi di “divisione dei compiti” e di coordinamento con le autorità locali, a partire da quello con gli organi giudiziari che spesso portano a situazioni di stallo totale. Nel rapporto si afferma inoltre che “il fatto che l’HPD riesca ad espletare il proprio mandato è essenziale al ritorno ed all’integrazione delle minoranze in Kossovo. Ma attualmente non esiste alcuna connessione tra i programmi per quanto riguarda il ritorno di rifugiati e sfollati interni (IDPs) ed i processi relativi al monitoraggio delle proprietà immobiliari occupate, ai procedimenti di sfratto e quindi alle attività di cui è responsabile lo stesso HPD”.
Sono gli stessi autori a constatare che “molte proprietà (in Kossovo) si ritrovano ad avere più persone che le reclamano e provare la proprietà su un immobile è particolarmente difficile. Visto il vuoto legale ed istituzionale non è sorprendente che fioriscano occupazioni illegali ed abusivismo. In queste circostanze, senza un sistema ben funzionante che riesca a garantire e proteggere i diritti di proprietà sugli immobili il ritorno degli sfollati dalla Serbia e dal Montenegro è improbabile”.
Vedi anche:
OSCE Mission in Kosovo