A giudicare da quello che gli viene insegnato nei rispettivi corsi di Storia, si potrebbe pensare che in Kosovo gli studenti albanesi e quelli serbi abbiano vissuto due guerre differenti. Una nostra traduzione
Di Fatmire Terdevci*, per Transitions On Line", 20 dicembre 2006 (titolo originale: “Heroes and Villains”)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta
Arber Desku and Dejan Milic, entrambi diciassettenni, vivono a 11 chilometri di distanza. Arber frequenta il ginnasio Sami Frasheri di Pristina e Dejan è studente di una scuola secondaria della città di Lipjan.
Sono entrambi nati in Kosovo, ma la distanza tra loro sembra insormontabile. Le differenze tra Arber, di etnìa albanese, e Dejan, serbo, vanno oltre l’appartenenza etnica, la lingua, la religione e la cultura. Esse affondano le loro radici nella percezione del passato, di chi sono gli eroi e chi le vittime.
Quelli che per una parte sono eroi, per l’altra sono terroristi. Perfino una storia recente come quella del conflitto in Kosovo del 1998-1999, che entrambe le parti ricordano così vividamente, sembra molto diversa se osservata dall’uno o dall’altro punto di vista.
Quotidianamente queste differenze vengono solo esasperate, quando Arber si reca alla sua scuola albanese e Dejan alla sua scuola serba. Questo perché nelle scuole del Kosovo vengono insegnate due storie diverse, e finché il conflitto recente rimarrà nella memoria viva è pressoché impossibile immaginare una versione dei fatti che soddisfi entrambe le parti.
Benché i funzionari dell’Istruzione di ambo le parti sostengano che i loro libri di testo sono privi di linguaggio xenofobo, o che inciti all’odio, nei libri di testo serbi gli albanesi sono spesso dipinti come stranieri sul suolo serbo, mentre i libri di testo in lingua albanese descrivono i serbi come colonialisti giunti dalla Russia.
I libri in lingua albanese sono pubblicati in Kosovo sotto supervisione internazionale, mentre i libri per la minoranza serba sono importati dalla Serbia.
Secondo Slavomir Miric, vicepreside della scuola elementare serba di Lipjan, gli allievi studiano principalmente la storia dell’Impero ottomano e la Seconda guerra mondiale. “Ci sono cinque o sei righe riguardo ai bombardamenti NATO. E ce n’è due o tre sulla fine del regime Milosevic. Vi si legge che egli fu deposto il 5 ottobre 2000 e che in seguito le forze democratiche salirono al potere in Serbia. Questo è tutto.”
Miric dice che gli eroi al cui riguardo gli studenti imparano di più sono Nikola Tesla, grande inventore e pioniere nel campo dell’elettricità; Aleksandar, re della Serbia, a cavallo tra Ottocento e Novecento; e Vuk Karadjic, un linguista del diciannovesimo secolo che contribuì a definire la moderna lingua serba.
Miric riconosce comunque che nei libri di storia e letteratura in lingua serba si fa riferimento al Kosovo come alla "culla della nazione serba", un’idea respinta dalla maggior parte degli albanesi kosovari.
Maria Vasic, di 14 anni, dice che l’eroe che più ha ammirato nelle sue lezioni di storia è Karadjordje Petrovic, leader della prima rivolta dei serbi contro gli ottomani all’inizio del diciannovesimo secolo.
Da parte sua, Dejan ammira una figura più recente. “Io non so che cosa gli altri imparano su di lui, ma noi parliamo soprattutto di Milosevic e di come per noi le cose andavano bene e come si era sicuri quando c’era lui”, dice Dejan sogghignando. Poi fa un po’ marcia indietro: “Forse nei libri non c’è proprio scritto così, ma questo è quello che ci insegna il nostro professore di storia, durante le lezioni”, dice Dejan.
La sua controparte albanese, Arber, segue un’analoga linea. “Non si può fare a meno di menzionarlo [l’Esercito di liberazione del Kosovo], non si può costruire una storia senza la famiglia Jashari, e non si può semplicemente ignorare tutti i massacri, gli omicidi e le distruzioni che sono successe qui. Se no, non sarebbe più storia, e una storia senza quei nomi e quei fatti non è la nostra storia”, dice Arber.
Adem Jashari, comandante dell’Esercito di liberazione del Kosovo, fu ucciso, insieme a 28 membri della sua famiglia, in uno scontro con le forze serbe nel marzo 1998. Tra gli albanesi kossovari è diventato una leggenda.
Una scuola divisa
La guerra tra l’esercito e le forze di polizia serbe e l’Esercito di liberazione del Kosovo ebbe fine nel 1999, dopo 78 giorni di bombardamenti NATO sull’ex Jugoslavia. Più di 10.000 albanesi kossovari restarono uccisi e migliaia furono i dispersi. Dopo la guerra, con la presenza permanente delle truppe di pace della NATO in Kosovo, i serbi locali divennero vittime di attacchi e ritorsioni, col risultato di migliaia di profughi sparsi nella regione e nella Serbia. Dalla fine della guerra una missione ONU ha retto la provincia, il cui status dovrebbe essere definito, stando alle aspettative, all’inizio del prossimo anno. La maggior parte degli osservatori si aspettano che il capo negoziatore dell’ONU, ai colloqui sullo status, raccomandi una qualche forma di indipendenza per il Kosovo.
Gli albanesi kossovari hanno sofferto quasi dieci anni di segregazione dopo che la provincia perse la sua autonomia nel 1991 sotto il regime di Slobodan Milosevic, quando professori e studenti albanesi furono espulsi dalle università e dalle scuole secondarie. Gli albanesi kossovari costituirono un sistema di istruzione parallelo, usando libri e programmi propri.
I serbi hanno fatto altrettanto, nonostante gli sforzi della comunità internazionale e della leadership locale per integrarli nel sistema educativo kossovaro. La maggioranza dei serbi kossovari, che costituiscono meno del 10 per cento della popolazione della provincia, sono riluttanti a venire inclusi nel sistema educativo. “Ciò è semplicemente impossibile. Cosa dovremmo insegnare allora, facciamo lezione su Adem Jashari e l’Esercito di liberazione del Kosovo?" dice Miric, il vicepreside serbo.
Arif Demolli, che supervisiona i libri di testo per il ministero dell’Istruzione, dice che dopo la guerra tutti i libri sono stati riscritti. “Questi libri sono privi di nazionalismo e xenofobia. Non ci sono critiche al popolo serbo né a nessun altro popolo, ci sono critiche solo per i regimi come quello di Milosevic".
I libri in lingua albanese sono stati redatti dopo la guerra, sotto la stretta supervisione della missione ONU. Il ministero dell’Istruzione, retto da rappresentanti locali, fu istituito nel 2002. Dopo di ciò, il sistema educativo della provincia è stato supervisionato da un funzionario internazionale e da uno locale. “Qui noi abbiamo degli osservatori internazionali. Non possiamo pubblicare libri che in seguito potrebbero essere messi al bando", dice Demolli.
Al di là della supervisione internazionale, il ministro potrebbe volersi guardare dal glorificare i membri dell’Esercito di liberazione del Kosovo perché il ministero, fin dall’inizio, è stato retto da esponenti della Lega democratica del Kosovo, il partito dell’ultimo presidente, Ibrahim Rugova, che non si era alleato con l’Esercito di liberazione del Kosovo.
L’ultima guerra in Kosovo è insegnata nelle scuole albanesi al tredicesimo anno, in un capitolo di quattro pagine intitolato “La guerra dell’ Esercito di liberazione del Kosovo e l’intervento della NATO”. Interrogato sul fatto, se gli insegnanti si attengano ai programmi e ai testi scolastici, Demolli risponde: “È difficile sapere se vadano al di là di quello che hanno nei libri. È impossibile controllare tutti”.
Molti genitori di ambo le parti hanno convinzioni molto decise riguardo a cosa dovrebbe esserci nei libri di scuola dei loro figli. “Io non vedo perché mio figlio, in futuro, non dovrebbe imparare di più sul nostro leggendario eroe Adem Jashari e su altri eroi dell’Esercito di liberazione del Kosovo, che rappresenta un momento cruciale della nostra storia”, dice Hilmi Zekaj, padre di un bambino che frequenta la prima elementare.
Zekaj sostiene che la prossima generazione dovrebbe imparare di più su ciò che lui chiama le sofferenze dei loro antenati.
Djurica Nedelkovic, una madre serba di due bambini di Lipjan in età scolare, sostiene essenzialmente una tesi similare. “Nessuno può semplicemente lasciare fuori più di 10 anni della nostra storia e dei nostri eventi solo perché c’è un nome che non piace alla comunità internazionale e ai Siptari (albanesi kossovari). Invece, loro dovrebbero imparare di Milosevic, e certamente dovrebbero vederlo come un eroe nazionale, così come ogni nazione ha i suoi eroi”, dice la Nedelkovic.
Halim Hyseni sviluppa programmi scolastici per il Centro kossovaro per l’Istruzione, una organizzazione nongovernativa istituita dalla Soros Foundation. Secondo lui il problema di trasporre la storia recente nei libri di scuola esiste in tutti i Paesi dei Balcani. “Tutti i testi di storia nei Balcani sono pieni di un linguaggio fatto di odio e di nazionalismo, che dà troppo spazio all’[aspetto della] identità etnica. C’è troppa mitologia, ci sono troppe distorsioni storiche”, sostiene Hyseni. Secondo lui i libri di testo dovrebbero essere rinnovati in tutta la regione, non solo in un singolo Paese.
Considerata la sistematica distruzione delle relazioni tra i popoli dei Balcani e la persistente negazione dei crimini commessi negli ultimi decenni, questa potrebbe essere una vera e propria “Mission Impossible”.
*Fatmire Terdevci è corrispondente di TOL da Pristina