Gli albanesi sono davvero così filo-americani come i media fanno credere? E perché gli albanesi amerebbero così tanto gli Stati Uniti? Un’analisi dettagliata di uno dei più noti intellettuali albanesi. Nostra traduzione
Di Ardian Vehbiu, Bota Shqiptare, 16-31 dicembre 2006 (tit. orig. Streha e fundit e levantizmit)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Marjola Rukaj
Ma sono davvero gli albanesi così americano-fili come i media fanno credere? E’ una convinzione talmente spesso ribadita dai media, dai diplomatici e dai politici che ormai tutti la prendono per scontata come una caratteristica acquisita della fisionomia nazionale tra “l’amore per la libertà”, “l’ospitalità proverbiale”, “l’onore” e altre caratteristiche nazionali usate e abusate infinitamente nei discorsi solenni.
A mio avviso, l’americanofilia è da considerare come un dato statistico, da cui è facile notare che il numero degli albanesi che si pronunciano con simpatia sugli Stati Uniti e sulle politiche americane, prese a parte o paragonate ad altre politiche parallele, è relativamente alto, in particolar modo se lo si paragona ai dati riguardanti altri paesi. Detto in altre parole non solo molti albanesi preferiscono gli Stati Uniti ai paesi dell’Europa occidentale, ma la percentuale di coloro che si esprimono a favore degli Stati Uniti in Albania è notevolmente maggiore rispetto a quello che si può dedurre in altri paesi comparabili all’Albania.
Se si tratta di simpatie che si basano su opinioni e sulla condivisione delle politiche intraprese dagli Stati Uniti, c’è da chiedersi fino a che punto gli albanesi che vivono in Albania siano informati riguardo le politiche internazionali statunitensi. Vi è da ammettere che a differenza dell’Unione Europea, della Russia e della Cina, gli Stati Uniti hanno sostenuto e continuano a sostenere fermamente opzioni favorevoli alla questione albanese in Kosovo e altrove nei Balcani – elemento fondamentale alla cristallizzazione dell’opinione americano-fila tra gli albanesi ovunque siano, ma soprattutto tra coloro che vivono all’estero e tra i migranti.
Tuttavia considerando che in Albania alle notizie riguardanti l’estero viene riservata un’attenzione troppa esigua dai media e dal pubblico, direi che il sostegno americano agli albanesi, non sia sufficiente per spiegare del tutto l’adorazione e persino l’idolatria da parte del “popolo” in Albania; non basterebbe neanche aggiungere i benefici che lo stato albanese ha ottenuto dagli Stati Uniti poiché è evidente che si tratta di livelli molto lontani dal contributo offerto da altri paesi amici. Vi sono altri fattori che riterrei opportuno discutere.
In primo luogo, il fatto che oggi gli Stati Uniti sono l’unica super-potenza a livello planetario: dal punto di vista militare, economico, politico, che per ora nessuno è in grado di affrontare apertamente. Per un paese piccolo e straordinariamente debole come l’Albania, l’amicizia con un tale gigante non può che giovare alla sua sopravvivenza. Tra l’altro è noto che nella storia dell’Albania non manca mai una certa venerazione per i super-stati: a cominciare dall’Impero Ottomano, e in seguito di volta in volta l’Italia di Mussolini, la grande Jugoslavia di Tito, la grande Unione Sovietica, la grande Cina di Mao, e infine gli Stati Uniti. Mi sembra che siamo sempre mossi da una logica strategica: i più piccoli si alleano con i giganti in assoluto, per affrontare altri di media importanza, analogamente come i rapporti diretti che i re e i dittatori tendevano a stabilire con i propri sudditi, per opporsi agli interessi dei feudatari, degli aristocratici o della classe media in generale. Vi è inoltre da aggiungere una concezione paternalistica del potere e delle relazioni internazionali da parte dell’opinione pubblica albanese; una sorta di ammirazione per la “mano pesante” , l’autorità che posa nella forza brutale, dal carattere indiscutibile che ha solo da venir obbedito ciecamente, altrimenti non resta che un’opposizione disperata mediante l’auto-sacrificio. In tal senso l’America super-potenza è per gli albanesi una proiezione della figura primordiale del Padre nei rapporti internazionali.
In secondo luogo, vi è da annoverare inoltre una dimensione pragmatica di questo fenomeno, è una sorta di aspettativa furba secondo cui sostenendo il più forte quest’ultimo a sua volta sosterrà noi nelle dispute con i nostri avversari, nel nostro piccolo. Questo tipo di ragionamento tipicamente levantino lo si nota in particolar modo presso i politici; che usano galvanizzarsi e giurare fedeltà agli interessi americani e disponibilità ad impegnarsi in qualsiasi modo venga chiesto – sperando così di guadagnarsi la fiducia degli Stati Uniti per poi poterla utilizzare come capitale politico contro i propri avversari. E’ una equivalente della tangente diplomatica, amplificata per adeguarsi alle circostanze in questione. Gli americani sono a conoscenza di questa sorta di furbizia corruttiva, negli atteggiamenti dei politici albanesi o di altri paesi simili al nostro; e ne fanno sistematicamente uso per i propri fini strategici o meramente tattici.
In terzo luogo molti albanesi che negli anni ’90 sono stati catapultati al vertice della politica si imbarazzano di fronte ai loro colleghi europei dalla formazione raffinata e colta; si sentono impreparati, provinciali, discriminati e snobbati dalle élite europee intellettuali dalle labbra sottili. In questo caso l’America viene vista come un’alternativa “democratica” dell’Europa ed elemento di partenariato potenzialmente riuscito, nel senso che al disprezzo dell’Europa nei nostri confronti noi rispondiamo schierandoci puntualmente con gli Stati Uniti ogni volta che vi è una disputa con il nostro continente. Ma anche da un altro punto di vista: di fronte a un’Europa che si trova alle nostre porte ma che ci rendiamo conto di non riuscire a raggiungere, l’America oltre l’oceano ci sembra sempre più vicina e raggiungibile poiché posa sulla lucentezza dell’oro e non sulla gloria storica.
In quarto luogo gli anni dell’economia di mercato hanno coltivato un forte anti-intellettualismo in Albania; visto che il prestigio e lo status sociale ormai si ottengono grazie al denaro e il denaro a sua volta si ottiene facilmente violando la legge. Per dirla esplicitamente molta gente che non avremmo voluto avere non solo nella nostra cerchia socio-familiare ma neanche nel nostro vicinato o quartiere, si trova al vertice della politica, urla in parlamento, al governo e sui media, pavoneggiandosi come la nuova élite albanese; però finendo sempre come eroi di barzellette à la Borat nei salotti dell’Europa occidentale con le loro azioni grossolane e l’avidità di lusso sfrenato degno dei gusti dei gangster di Chicago nel tempo del proibizionismo. Questa gente non ne vuol sapere dell’Europa quale centro della cultura e della civiltà e non si commuove affatto dall’eredità di questo patrimonio che è stata trasmessa nella cultura albanese. Per loro invece l’occidente è il suolo dove si scatena l’individualismo e l’impresa criminale per potersi arricchire velocemente e a ogni costo; e da questo punto di vista l’Europa con le sue gerarchie flemmatiche e le burocrazie efficienti non può avvicinarsi all’America.
In quinto luogo l’America ha sempre attratto la piccola gente come paese della speranza, o come possibilità della riformulazione totale dello status offrendo l’opportunità di ricominciare da capo; oppure come una via di uscita dalla prigione soffocante delle strutture sociali del vecchio mondo. E’ vero che agli occhi di un albanese gli Stati Uniti sembrano molto più accoglienti e benevoli dell’Europa occidentale; e vengono anche percepiti come suolo spoglio da pregiudizi escludenti, e miti anti-albanesi che ci inquietano e ci amareggiano la vita quando viviamo in Europa. Non solo, l’ingenua lucentezza della ricchezza americana sembra più raggiungibile della brillantezza della cultura europea; dopo tutto basta solo avere soldi per costruire in Albania le ville carnevalesche di Beverly Hills, o i grattacieli arroganti di New York o una Las Vegas ancora più grottesca dell’originale; il san Pietro però non lo si può costruire se non in modo parodistico, e neanche i canali di Venezia o di Amsterdam, neanche i palazzi reali di Vienna i boulevards geometrici di Barcellona. L’America viene quindi percepita come radicata nel presente e riproducibile a prescindere da ogni percorso storico.
In sesto luogo l’America giunge ormai in Albania attraverso i prodotti preconfezionati della cultura pop o della gomma mediatica: i film, le soap, la musica, internet, produzioni televisive, videogiochi, l’architettura dell’informazione, i vari gadget, e lo stile di vita dei giovani. In questo modo l’America sembra una versione semplificata dell’occidente – facile da adottare poiché è sempre più facile cantare rap a pancia nuda, che suonare al pianoforte Chopin od Erik Satie. La Tirana VIP sembra ormai invasa definitivamente da una cultura che privilegia la nudità femminile, il gioco d’azzardo, la vita da gangster in abiti eleganti bianchi e occhiali da sole, macchine di lusso, guardie del corpo, armi da fuoco, arti marziali, cocaina, pesanti gioielli d’oro appesi al collo come campane, la brutalità nel comportamento, la convivenza del crimine con la politica in particolar modo quella locale, la speculazione economica, il contrabbando e la manipolazione delle dogane, prostituzione e traffici di esseri inferiori, congiure dei potenti, e i bagni come scene di drammi personali post-moderni, e via dicendo a seconda del film americano che si è scelto di imitare. La cultura a cui si riferiscono queste élite albanesi attualmente è stata importata dall’Italia e dalla Grecia provinciali, però si ispirano esclusivamente all’America, ma non all’America reale, bensì a quella virtuale che vive e si produce come un super-mito nella sfera della comunicazione di massa, di pari passo con il consumismo, la pubblicità, il mito dell’economia di mercato e il culto del materialismo grezzo.
A mio avviso, il filo-americanismo dell’albanese post-comunista oggi assume principalmente le sembianze di una religione volgare, o di un mito complesso della salvezza oltre le costrizioni etiche che impone il trovarsi geograficamente in Europa. Per quanto si enfatizzi e rimbombi nei media, questo fenomeno altro non è che un’ennesima conferma del fatto che la mentalità albanese rimane schiavizzata dagli schemi paternalistici orientali nel rapportarsi con il prossimo.