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Dopo la tragedia

15.02.2007    Da Pristina, scrive Alma Lama

Lo scorso sabato una manifestazione promossa dal movimento Vetvendosje era sfociata in tragedia. Negli scontri con la polizia erano rimasti uccisi due manifestanti. Nei giorni scorsi si era dimesso il ministro degli Interni kosovaro, ora è la volta di un commissario della polizia UNMIK
La seconda testa “caduta” a causa dei due morti nelle dimostrazioni dello scorso 10 febbraio a Pristina è quella del commissario di polizia UNMIK Stephen Curtis. La notizia è stata data dall'amministratore del Kosovo Joachim Ruecker, poco dopo essere rientrato da Bruxelles. “Ho valutato la situazione ieri sera e questa mattina, sia a Pristina che in Kosovo, e vorrei rendervi noto che ho chiesto al commissario di polizia Stephen Curtis di rassegnare le dimissioni, con effetto immediato”, ha dichiarato ai giornalisti.

Pochi giorni prima il vice-amministratore del Kosovo Steven Schook, a proposito di Curtis, aveva affermato che durante la manifestazione aveva fatto un gran lavoro e che nessuno pensava di allontanarlo dall'incarico. Secondo alcune fonti Curtis avrebbe inizialmente rifiutato di dare le dimissioni ed è per questo che Ruecker sarebbe uscito con una richiesta pubblica di dimissioni.

E' la prima volta che in Kosovo un commissario di polizia internazionale viene allontanato perché ha fallito nel gestire una situazione. Durante gli eventi del marzo 2004, che ebbero esiti più tragici di quanto avvenuto lo scorso 10 febbraio, l'amministrazione Onu difese l'operato della propria polizia.

Prima di Curtis era stato obbligato a dare le dimissioni anche il ministro degli Interni Fatmir Rexhepi. La pressione dei media e dell'opinione pubblica è molto forte affinché anche Sheremet Ahmeti, a capo del Kosovo Police Service, si dimetta. Per molte ragioni. Innanzitutto lo si accusa di aver impedito un incontro con la polizia richiesto da Albin Kurti prima della manifestazione.

Ci si chiede inoltre perché fosse necessaria la presenza della polizia dell'UNMIK quando la polizia kosovara ha i suoi reparti speciali e più di 7500 poliziotti, in grado di gestire l'ordine pubblico in una manifestazione. Altra domanda riguarda la decisione da parte della polizia di bloccare quella strada vicino alle principali sedi istituzionali. Non vi erano infatti informazioni che portassero a credere che i dimostranti intendessero entrare nella sede del governo o del parlamento. “Avevamo pianificato di marciare lungo lo stesso percorso di una precedente manifestazione, quella del 28 novembre”, afferma Glauk Konjufca, attivista del movimento Vetvendosje, promotore della manifestazione del 10 febbraio. Porprio il blocco è stato causa dei primi scontri.

Secondo il commissario della polizia UNMIK Trygve Kalleberg si sarebbe avviata un'inchiesta interna “ampia, imparziale e professionale” su quanto accaduto, e sarebbe stata istituita una task force specifica.

“La task force è composta di investigatori internazionali. Nessuno di loro è stato coinvolto nella manifestazione. Anche per quanto riguarda la polizia kosovara, la KPS, nelle investigazioni sono coinvolti solo poliziotti che non erano presenti alla manifestazione del 10 febbraio. La polizia locale potrà partecipare al lavoro della task force in veste di osservatore, io stesso in questi giorni li incontro su base giornaliera”. Kalleberg, oltre a rilasciare queste dichiarazioni, si è rifiutato di rispondere a domande poste dai giornalisti.

Le prime dimissioni e l'avvio di indagini non sono sufficenti a diminuire la tensione che si respira in Kosovo. La foto di una donna stesa per terra mentre i poliziotti dell'Unmik sparavano sulla gente è sulle prime pagine di tutti i giornali di Pristina. Il nome della donna è Ferdeze Kumnova, fa parte dell'associazione “Thirrja e nenave”, ed è una delle tante madri che in Kosovo si sta battendo per sapere il destino dei figli scomparsi durante la guerra.

Ormai si sono conclusi i funerali dei due giovani uccisi, vi hanno partecipato migliaia di persone venute da tutto il Kosovo. L'ostilità nei confronti della polizia dell'UNMIK è evidente e cresce sempre di più mano a mano che emergono nuovi fatti su quanto accaduto.

Militanti di Vetvendosje affermano di aver trovato per terra bossoli di proiettili veri di armi da fuoco. Questi ultimi sarebbero ora in loro possesso. Vetvendosje afferma inoltre che uno dei due ragazzi uccisi, Mon Balaj, di 26 anni, sarebbe stato ferito a morte all'interno dell'Hotel Iliria, nel pieno centro di Pristina. Vi era entrato per proteggersi dai lacrimogeni e – secondo alcuni membri di Vetvendosje ma anche di parte dello staff dell'albergo – sarebbe stato seguito da un poliziotto UNMIK e freddato.

Albin Kurti, leader del movimento Vetvendosje, resta in prigione. Il tribunale ha allungato a 30 giorni la detenzione preventiva. Rischia di essere condannato ad alcuni anni di carcere. Tra i sei capi d'accusa anche quello di istigazione alla violenza e attentato all vita dello staff UNMIK. Kurti ha rifiutato l'avvocato, continua in questo modo la lotta di Vetvendosje che considera anche gli stessi avvocati kosovari parte dell'amministrazione Onu, ritenuta illegittima.

Un video sulla manifestazione di sabato scorso a Pristina:

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