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Il teatro albanese

04.04.2007    scrive Marjola Rukaj

Anfiteatro romano a Butrint
Dal realismo di fine ’800 ai monodrammi che indagano l’odierna società albanese, passando per il teatro sotto il regime comunista. Sintetico excursus storico sul teatro albanese
A più di un secolo dalla rappresentazione della prima opera teatrale albanese, in Albania ci si continua a chiedere se veramente esiste un teatro albanese. Vi è chi ne minimizza l’importanza subordinandolo a scuole di tendenza e ideologie condizionanti. Vi sono altri, che annoverano un repertorio vastissimo di migliaia di opere teatrali, la maggior parte delle quali rimane da riscoprire e rappresentare.

Nonostante non si possa negare l’esistenza di tale teatro, rimane evidente lo scarso interesse di cui ha goduto, che ha offuscato all’inverosimile la sua storia. Un fatto dovuto alla critica che non sembra si sia spogliata del tutto dal torpore della censura pluriennale.

La nascita del teatro albanese si fa risalire di solito a fine ‘800, e viene a costituire un genere del movimento della Rilindja (rinascimento albanese), fatto di realismo e tematiche che mirano a fomentare una coscienza nazionale come fece d’altronde tutta la produzione artistica albanese di quegli anni. Ma non sono mancate anche opere dalla sottile critica sociale che sono tuttora ampiamente rappresentate, come Andon Zako Cajupi e le sue commedie immortalate, come “Genero a 14 anni” o “Dopo la morte”.

Nei primi del ‘900 vi fu una produzione drammaturgica relativamente ampia in entrambi i dialetti principali dell’albanese (tosk e gheg). Durante il comunismo, come anche altri generi artistici, il teatro rimase tagliato fuori dal mondo, divenendo uno strumento per continuare a coltivare la coscienza nazionale, missione ereditata dalla Rilindja, e altresì un mezzo per insegnare le massime del nuovo uomo del Nazional-comunismo albanese.

Del teatro comunista poco è sopravvissuto nonostante abbia avuto le sembianze di un mezzo di comunicazione di massa poiché puntualmente la televisione statale mandava in onda le registrazioni delle rappresentazioni teatrali – tendenza ancora visibile nonostante sia in notevole declino. Del teatro come della letteratura giunsero nel post-comunismo soprattutto le commedie, in particolare “Pallati 176” e “Shi në plazh”, le cui registrazioni continuano a essere mandate in onda persino da varie televisioni private, tanto che le battute dei personaggi principali fanno ormai parte a pieno titolo del gergo quotidiano degli albanesi.

Nel post-comunismo ci sono stati dei lunghi anni bui dove i teatri continuavano a tirare avanti solo nei grandi centri mentre altrove si erano trasformati per lo più in sale di raduno al servizio di feste di partito o incontri elettorali. Il teatro che veniva rappresentato nei primi anni ’90 consisteva soprattutto in commedie di autori contemporanei greci e rumeni che ben si addicevano alla realtà socio-politica albanese in quanto proponevano temi riguardanti il devastante economicismo e la corruzione, tematiche che tutto sommato hanno fatto sì che il pubblico non venisse mai a mancare.

Non sembra infatti che il teatro sia un’arte dal pubblico strettamente elitario in Albania, come di solito si usa dire del teatro negli ultimi tempi, probabilmente grazie alla pubblicizzazione delle troupe e alle ridotte dimensioni del campo teatrale che è tuttora monopolizzato dalla autorevolissima Accademia delle arti di Tirana, dai teatri stabili e da pochissime compagnie indipendenti di attori formatisi sempre nella stessa accademia di rigorosa tradizione russa. Gli attori di teatro, spesso gli stessi che hanno fatto il grande cinema albanese, sono tuttora dei personaggi cult che non sembrano messi in discussione dalla cultura pop.

Negli anni ’90 prendeva piede una notevole tendenza a recuperare il passato, a scoprire l’assurdo, il teatro sperimentale, tutto ciò che aveva avuto luogo nell’Europa occidentale a scapito della produzione albanese.

Nel teatro albanese ci si concentrò ancora una volta sulle commedie tra cui le più celebri quelle del noto regista Ilir Bezhani, che non esitò a deridere un filo-occidentalismo trash che aveva stordito la società albanese degli anni ’90 mentre si cercava di essere a tutti i costi moderni e aggiornati.

La tendenza a recuperare il passato costituì un enorme apporto che inserì anche un tipo di teatro dalle più recenti tendenze europee per un pubblico non ancora abituato a forme espressive anticonvenzionali. Però stranamente non si cercò di riscoprire la produzione proibita durante il comunismo nonostante quelli fossero gli anni segnati dalla riabilitazione di artisti e letterati.

Rimane tuttora poco rappresentato il teatro di Kasëm Trebeshina, un autore estremamente prolifico che è stato sconfessato dal regime nei primi anni dell’avvento del comunismo. Solo di recente si è incominciato a parlare del teatro dell’assurdo che Trebeshina ha immesso eccentricamente nella drammaturgia albanese. Si incominciano anche a scoprire autori dalla discreta popolarità durante il comunismo che però tendono ad assumere una valenza universale, come Shpëtim Gina che professa il pacifismo e l’idea dell’inutilità delle guerre.

Il teatro però come anche altri generi artistici si trovò in balia di una gestione dalle idee poco chiare che lo trascinò in una situazione di insicurezza materiale e secondo alcuni persino in un degrado rispetto a quello che fu durante il comunismo. Tuttavia di anno in anno aumentano i festival teatrali che vengono a istituzionalizzarsi e ad assumere dimensioni internazionali.

E’ rinomato il festival di Butrint che ha luogo ogni fine estate nell’anfiteatro dell’antica città greco-romana di Saranda e che ospita troupe provenienti da tutto il mondo. Vi sono da aggiungere inoltre il Festival di Skampa a Elbasan, il Festival della Commedia di Korça, il Festival Apollon a Fier.

E lo scorso anno per la prima volta ha avuto luogo anche un festival del monodramma, un nuovo genere tecnicamente difficile che però sta avendo un ottimo seguito in Albania. La sua prima presentazione si ebbe con “La psicosi delle 4.48” di Sarah Kane, interpretato da Ema Andrea, un’attrice di notevole personalità scenica, vincitrice di numerosi premi.

Con il monodramma si è convertito alla drammaturgia lo scrittore e linguista Stefan Capaliku che ha colto nel teatro un mezzo di comunicazione ben più efficace del libro. E’ un drammaturgo che consiglia di occuparsi dell’Albania, perché oggi è un terreno ricchissimo di spunti tematici da trattare.

La coppia Capaliku-Andrea ha iniziato una lunga collaborazione con il monodramma “I’m from Albania” con cui Capaliku propone un tema molto sensibile per gli albanesi dopo il crollo del comunismo: la rimessa in discussione della propria identità, delle proprie convenzioni, dei modelli comportamentali che ha dato vita ad una de-albanizzazione su più aspetti. Passerà alla storia infatti come il primo dramma albanese a venir rappresentato in un teatro francese oltre alla partecipazione a numerosi festival di teatro internazionali. Nel dicembre 2006 Capaliku presentò la raccolta dei suoi drammi intitolata “Allegretto Albania”, molti dei quali non ancora rappresentati, che colgono sempre aspetti dell’Albania odierna.

Anche se lentamente, sembra che il teatro albanese stia entrando in una fase di ripresa. Si esige però sempre una maggiore attenzione degli enti culturali e della critica per rendere possibile un maggiore coinvolgimento nel teatro contemporaneo.