(dal web)
La storia travagliata di Stanka. L’abbandono di Belgrado negli anni cinquanta, la morte del marito, le persecuzioni. Oggi, a 76 anni, ricorda i momenti tristi e felici della sua vita in Albania
Gazeta Shqip, 17 marzo 2007 (tit. orig. Një sërbe në Kukës)
Traduzione per Osservatorio Balcani: Marjola Rukaj
Stanka Nërguti, nata a Belgrado, nel 1931, cognome da ragazza Peric, racconta la storia della sua vita: come lasciò la propria casa per seguire il proprio marito a Kukës, e come è stata perseguitata in modo disumano per 35 anni. Tra i due popoli in perenne conflitto, i serbi e gli albanesi, non sono mai mancati gli amori platonici e nemmeno i matrimoni misti. La fine della Seconda guerra mondiale e quei pochi anni di buoni rapporti tra Tirana e Belgrado hanno lasciato dietro di sé molte famiglie miste. Solo a Kukës si conoscono 5 casi del genere dove le donne si sono trasferite dalla Serbia per seguire i mariti in Albania. Stanka è una di loro.
Nel 1957 lasciò Belgrado per andare a vivere in Albania con l’uomo di cui si era innamorata, venne però accolta freddamente, mentre due anni dopo il matrimonio venne mandata "al confino" insieme a tutta la sua famiglia. Il marito lo perse nel 1963 nel corso della condanna a Lushnjë. “L’hanno arrestato e da quell’anno non l’ho più visto. Negli anni della dittatura non ci era permesso cercarlo, mentre dopo la caduta del regime ci hanno mostrato una delibera del tribunale di Tirana che attestava che mio marito era stato condannato a fucilazione. Ma mai nessuno ci ha detto dove si trovino i suoi resti...”.
Così parla questa donna di 76 anni, che per 35 anni si è trovata ad affrontare senza alcun sostegno non solo il peso della famiglia ma anche il peso della persecuzione, sempre sola, 20 anni di confino per motivi politici insieme ai figli.
Stanka è nata a Sabac nei pressi di Belgrado, da Milivol e Jelena Peric. Il padre lo perse nei campi nazisti quando aveva 12 anni ed è cresciuta con la madre insieme al fratello e alla sorella. Nel 1956 sposò l’esule albanese a Belgrado Isen Nerguti, originario di Kukës. Il matrimonio ebbe luogo a Belgrado. Un anno dopo, a Tirana, venne concessa l’amnistia agli esuli che fece sì che Isen tornasse in Albania, Stanka lo seguì a distanza di pochi mesi. Convissero insieme solo 8 anni ed ebbe da lui una figlia, Shpresa e due figli, Mehmet e Nusret, quest'ultimo morto nel 1978. Shpresa si è sposata a Has nell’Albania settentrionale mentre Stanka vive con il figlio Mehmet a Gjegjan nei pressi di Kukës. Lui è sposato ed ha quattro figli.
Nel 1957 alla giovane donna non era permesso viaggiare liberamente con il marito verso l’Albania ma insistendo lei riuscì ad ottenere un visto. “All’epoca ero incinta, aspettavamo la nostra prima figlia. Ci hanno sistemato in uno spazio minuscolo accanto all’ospedale di Kukës, vicino al fiume Drini i Zi”.
Stanka conserva intatto ogni ricordo di quegli anni a Kukës, che definisce anni felici. E’ stato lì che ebbe anche il figlio Mehmet mentre Isen, il marito, lavorava come impiegato all’ufficio postale. La persecuzione incominciò intorno al 1962-1963 quando la famiglia venne confinata a Lushnja.
Nel marzo 1963 Isen venne arrestato e Stanka si trasferì nuovamente a Kukës, ormai madre di tre figli. Non le permisero di ritornare nell’abitazione di prima, ma la costrinsero ad andare a vivere in campagna. E’ stato lì che ha provato veramente l’insostenibile senso dell’essere “straniera”, “nemica” e “serba”... “Le donne del villaggio volevano aiutarci ma temevano molto le spie. Sull’autobus la gente non mi parlava, mi evitavano, ma di nascosto erano tutt’altra cosa, mi parlavano, mi sostenevano. Non posso mai dimenticare gli ufficiali che mi chiamavano “nemica” “serba”...”
Rimasta sola inizia a lavorare come operaia in un’azienda di manutenzione stradale. “Con il lavoro guadagnavo 2000 lek, di cui 1200 li mandavo a Isen in prigione perché il cibo era scarsissimo, e i restanti 800 lek li spendevamo per i bisogni primari della famiglia”. Ma nel 1964 non ricevette più nessun segnale dal marito e da quell’anno nessuno sa esattamente cosa gli sia successo. Fino al 1990 ha vissuto al confino, la maggior parte a Gdheshtë, una zona boscosa tra Kukës e Puka. L’unica informazione che è riuscito ad ottenere il figlio è stata: il padre è stato fucilato nel 1964.
Stanka racconta che quando conobbe Isen, lui si trovava a Belgrado, come esule politico. “Per la prima volta l’ho visto quando venne a casa mia a Sabac insieme a un suo amico dal cognome Skura. Il suo amico aveva sposato una mia cugina e fu così che cominciammo a frequentarci. Dopo un paio di incontri ci siamo fidanzati e dopo sette mesi ci siamo sposati. Ero troppo felice in quel periodo e mi sentivo una principessa con lui – ricorda Stanka. Ma la felicità ebbe vita breve. Il governo di Tirana decise di concedere l’amnistia per tutti gli esuli che non avevano commesso reati, e Isen venne convinto a lasciare Belgrado per ritornare in Albania. Era scappato passando per il Montenegro e ora scopriva che poteva tornare senza temere alcuna conseguenza. Stanka ricorda dolorosamente tutti i dettagli di quei giorni che avrebbero cambiato la vita ai due giovani dalla nazionalità diversa.
“Mia madre – si chiamava Jelena – era molto entusiasta di Isen e del nostro rapporto, ma non voleva che noi partissimo per l’Albania. Vi state auto-condannando – ci diceva. E quando Isen era già partito, mia mandre mi disse: figlia non partire, ho il presentimento che dovrai soffrire molto. Ma io non potevo ovviamente sentir ragione. Ero innamorata... Anche mio fratello Miodrag mi supplicò di non partire. Mica per altro, perché con gli albanesi si convive alla grande, ma a causa della politica...” Stanka racconta che la madre e il fratello non li vide mai più.
Nel 1993 quando riuscì ad ottenere un visto all’Ambasciata jugoslava e andò in Serbia insieme al figlio Mehmet, riuscì a trovare solo una piccola parte del suo passato, la moglie del fratello, anche lei in età avanzata e in assoluta solitudine. “Mi riconosci? Le chiesi. No, mi disse, non credo di conoscerti. Allora mi vidi il mondo crollare addosso. Neanche mia sorella viveva più in Serbia, si era sposata in Italia. Non era rimasto niente, niente del mio passato felice... – Sono Stanka le ho detto e abbiamo pianto insieme per delle ore”. Fu questa la prima visita di Stanka nella casa di Sabac. Infine anche la sorella in Italia era morta ma un suo figlio si era trasferito a Sabac.
Stanka dice di avere visitato la Serbia altre 3-4 volte e di essersi anche trovata bene, ma sono passati troppi anni e lei adesso si sente più albanese che serba. Mentre i suoi parenti in Serbia non l’hanno mai visitata in Albania. “Li ho invitati i miei parenti di Sabac, a venire a trovarmi qua, ma mi dicono che hanno paura. Anche se la guerra è finita, la politica ci ha troppo manipolato, e loro non osano venire...”.
Mehmet, il figlio di Stanka fu condannato a 8 anni di detenzione per motivi politici appena raggiunta l’età imputabile. Dal confino di Gdhesht venne trasferito a Spaç. Allora la gente diceva che il padre potesse essere vivo, ma evidentemente queste erano dicerie che i servizi segreti facevano circolare per determinati motivi. Nel 1983 qualcuno gli menzionò il padre, minacciandolo: “Farai la fine di tuo padre – mi disse un ufficiale e lì ho intuito che mio padre doveva essere morto. Poi, nel 1990 ho bussato a mille porte, chiedendo di lui, ma non ho mai trovato qualcuno che mi sapesse rispondere in modo definitivo. Al tribunale di Tirana mi hanno fatto vedere un atto di fucilazione, ma nessuno mi sa dire dove è stato fucilato, non esiste né un documento che provi l’esecuzione, né niente...” Mehmet ha solo 46 anni, ma ne dimostra molti di più a causa delle sofferenze assurde e interminabili che ha vissuto.
La conversazione viene interrotta dalla nipote di Stanka, Ilvija, di 10 anni, che dice alla nonna che le pecore non stanno più pascolando. Stava badando alle pecore al posto della nonna. Stanka è sempre stata una donna instancabile e dalla forza immane, e finalmente sembra ricompensata dal riconoscimento e dal rispetto che la circonda.