Alla ricerca di una classe dirigente
18.04.2007
scrive Rando Devole
Studenti dell'Università di giornalismo di Tirana - OSCE
Il regime non aveva dubbi in merito. Era cruciale formare l'élite dirigente, naturalmente, indottrinandola. Ora in Albania poco si dibatte su chi guiderà il paese in futuro e le università nascono come in serra, più seguendo le esigenze del mercato dei diplomi che non quelle di una formazione qualitativa
L’opinione pubblica albanese è troppo impegnata nell’osservare l’attuale classe dirigente per pensare che il futuro di ogni paese si misura proprio con la qualità delle proprie élite. Di conseguenza, in Albania sono pochi quelli che si fanno domande del tipo: “Come sarà la classe dirigente di domani? In quali scuole si forma oggi il cervello albanese? Dove studiano i professori, i governanti, i direttori, gli impiegati, gli esperti, i giornalisti, i giuristi, i tecnici, ecc. che prenderanno le redini della futura Albania? Quali agenzie istruiscono i timonieri di domani?
Eppure il passato albanese non è privo di esempi. Il regime totalitario, anche se per determinati fini ideologici, conosceva molto bene l’importanza della formazione delle élite. Chi ha conosciuto quel periodo sa bene che, nel bene e nel male, una strategia per la loro formazione esisteva comunque. E se quel regime peccava nel concepimento rigido delle élite, la colpa va addebitata al sistema ideologico che usava l’indottrinamento come metodo, non alla necessità di preparare la classe dirigente del Paese. All’epoca esisteva la cosiddetta “Scuola del Partito”, una struttura che preparava i quadri dirigenti dal punto di vista ideologico e non solo. Ricordare oggi quella struttura di formazione non solo stona fortemente, ma potrebbe creare seri malintesi, specialmente se l’interlocutore è albanese. Tuttavia, questo esempio, meglio di qualsiasi altra analisi, dimostra che quel sistema considerava la formazione come priorità. Bisogna ricordare poi, che l’Università di Tirana era l’unica nel Paese e, sebbene tra mille problemi, non aveva mai perso di vista la sua missione fondamentale: produrre e riprodurre le élite.
Fino a ieri la coesione della classe dirigente veniva assicurata dall’involucro totalitario, ma oggi, in un sistema pluralistico, le cose sono cambiate. Tuttavia la coesione della classe dirigente rimane una necessità per la società albanese, specialmente in un momento confusionario come l’attuale. Probabilmente il concetto di coesione evoca al cittadino albanese l’odiabile unità di una volta, ma queste associazioni di idee vanno imputate al passato non alle prospettive del futuro. La coesione delle élite non ha nulla a che fare con l’unità monolitica intorno a questo o a quel partito, nemmeno con un ipotetico sistema copernicano in cui si gira intorno ad un’ideologia-sole. Ormai è noto a tutti che i corpi celesti non stanno in piedi grazie alle stelle, ma dal funzionamento e dal rispetto delle stesse regole. In questo senso la coesione assomiglia veramente ad un universo culturale dove la vita pubblica si articola con tutte le sue diversità.
In Albania l’istruzione universitaria è stata sempre considerata con un certo riguardo. L’aureola che ha circondato la laurea forse ha le sue radici nello status sociale, forse nei tornaconti economici, forse risplende naturalmente nel contesto albanese che ha sempre apprezzato il sapere; comunque sia, i genitori albanesi in ogni tempo hanno sognato i propri figli con un diploma di laurea in mano. Da qui il fiume di studenti che si riversa nelle università, le cui porte (nel Paese ma anche all’estero) stanno affrontando con difficoltà il loro flusso inarrestabile.
Fino a pochi anni fa, la parola “università” in albanese, era usata solo al singolare. Attualmente le numerose università che si stanno istituendo giorno dopo giorno, impongono l’uso del plurale. Indipendentemente dal numero degli atenei, l’istruzione universitaria rimane legata indissolubilmente alla formazione delle élite. Nei suoi banchi siedono ora quelli che guideranno l’Albania di domani.
Nell’ambito della missione universitaria di preparare la classe dirigente, spicca senza dubbio la creazione di uno spazio culturale dove le élite si legittimino reciprocamente, scambiando valori ed idee. Non è detto che tale spazio abbia la tranquillità di un tempio buddista; può diventare anche un ring se è necessario, ma importante è che i contendenti rispettino le regole del gioco fino in fondo, senza usare guantoni truccati. L’abolizione della violenza come mezzo per risolvere i conflitti potrebbe essere una delle tante regole da insegnare alle élite del futuro, nonché un bell’esempio della coesione necessaria indipendentemente dal colore della maglia indossata.
Ma come può realizzarsi una coesione del genere nelle condizioni di una pluralità estrema di agenzie formative? In alcuni casi la pluralità sta al pluralismo come il blog sta al diritto alla informazione. L’enorme quantità di insegnanti e scuole non è garanzia automatica per risultati positivi. Naturalmente, le università possono specializzarsi nella ricerca scientifica oppure nella didattica, ma il loro scopo principale rimane lo stesso: la riproduzione delle élite a proprio favore, dunque preparando ricercatori, professori, ecc. e la formazione delle élite che opereranno al di fuori del circuito universitario: in amministrazione, nella società civile, nell’industria, nei servizi, ecc.
La diffusione di vari di tipi di università in Albania – citata perfino in una puntata di “Report” – non segna necessariamente un ulteriore passo verso lo sviluppo, specialmente quando i centri universitari vengono piantati ad hoc, piuttosto che nati a rigor di logica. Si ha l'impressione che le nuove università stiano nascendo in serra, coltivate secondo le esigenze del mercato dei diplomi e non secondo le esigenze della formazione qualitativa in funzione dello sviluppo sociale.
L’università deve essere indubbiamente di massa, ma solo dal punto di vista delle opportunità, nel senso che tutti debbono avere la possibilità di accedervi. Ovviamente, la sua qualità non può essere immolata per un pezzo di carta intestata chic, il cui valore ha veramente i giorni contati. Ma questa è solo una faccia della medaglia. La situazione si è complicata immancabilmente dalle innumerevoli offerte del mercato didattico: master, specializzazioni, dottorati, perfezionamento, Phd, corsi vari, ecc. in decine di università, istituti, centri, accademie, con nomi altisonanti e variegati. E pensare che l’Albania ha solo poco più di tre milioni di abitanti.
Non c’è ombra di dubbio che stiamo parlando di una classe dirigente aperta non da “torre d’avorio”. Da questo punto di vista, il flusso di studenti albanesi verso le università straniere, occidentali e non, oltre ad apparire positivo, testimonia l’esigenza di altri standard per le università albanesi. Si teme però, che queste richieste siano solo di natura didattica, cosa che non risolve il problema dell’interazione e della coesione dell’élite. La generazione attuale di studenti che si sta formando nelle università straniere (Italia, America, Turchia, Germania, Cipro, Francia, Grecia, Repubblica Ceca, ecc. ma anche in centri più esotici), avrà domani le redini del Paese, mentre non è ancora chiaro in quale lingua comunicheranno tra di loro. Le élite di domani (alcuni segnali si possono scorgere già da adesso) avranno serie difficoltà di comunicazione, non perché parlano lingue differenti, ma poiché sono cresciute culturalmente in ambienti diversi. Le differenze tra il sistema americano e quello europeo possono apparire artificiose, ma in realtà sono vere, così come non si possono negare altre fondamentali differenze se ci riferiamo a certi Paesi dove sostengono gli esami parecchi studenti albanesi. La scelta di questi studenti di restare per sempre oppure temporaneamente nei paesi dove hanno terminato gli studi, va attribuita al fatto che loro percepiscono quel contesto come familiare, grazie alle mappe fornite proprio dalle università locali.
Le università albanesi devono giocare un ruolo prioritario nella costruzione di mappe-guida a favore degli studenti albanesi. Non è per nulla semplice, specialmente in presenza di problemi cronici come la qualità didattica e la corruzione. Tuttavia, la costruzione di una consapevolezza comune sulla necessità di una visione generale che non leda l’autonomia degli atenei, rimane un bisogno impellente.
Gli attori sociali tradizionali, per un motivo o un altro, hanno abbandonato l’idea della formazione della classe dirigente, sebbene sia nel loro interesse. Di conseguenza, il fardello della preparazione di una base culturale per le élite future, pesa sulle spalle delle attuali università albanesi. Grazie anche al loro carattere istituzionale, esse possono creare uno spazio dove l’eterogeneità della formazione della classe dirigente vada attenuandosi, mentre il denominatore comune può arricchirsi con elementi quali l’etica, la responsabilità, l’idea dello Stato, il rispetto della persona, la dimensione della comunità, i diritti, l’identità collettiva, e così via. In questo modo, il diploma di laurea scritto in lingua albanese avrà certamente un altro valore.