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Nichilismo post-bellico in Kosovo

04.07.2007   

Un fenomeno pressoché sconosciuto fino al 1999 in Kosovo, il suicidio, desta ora forti preoccupazioni. Soprattutto di fronte alla consapevolezza delle scarse risorse e dei grossi ostacoli per raggiungere chi ne ha più bisogno
Di Nora Hasani e Zana Limani, 4 giugno 2007, Balkan Insight , (tit.orig. Sharp Rise in Postwar Suicides Alarms Kosovo)

Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Antonia Pezzani


Gli occhi ventenni di Fjolla si svuotano quando incomincia a parlare dell'amica che si suicidò quattro anni fa. “Ero scossa, non riuscivo proprio a crederci,” ha detto. “Non avrei mai pensato che avrebbe fatto una cosa del genere – era così piena di vita!”.

L'amica di Fjolla, 15 anni, fa parte dei 356 suicidi attestati accaduti dal 2000 al 2006 su una popolazione di 2 milioni. Sono molti di più quelli che cercano di togliersi la vita e falliscono. Stando ai registri del servizio di polizia kosovaro, 30 sono stati i suicidi occorsi nella prima metà del 2007, ma il numero dei tentativi è stato il doppio.

Fjolla ricorda l'ultima volta che ha parlato con l'amica. “Era entusiasta come al solito e sembrava felice...Sembrava tutto così normale in lei,” ha affermato, incolpandosi per non essersi accorta che qualcosa non andava.

Il trauma bellico, secondo gli esperti, è una delle cause principali per il drastico aumento dei casi di suicidio in Kosovo, dove prima del 1999 del fenomeno non c'era quasi traccia.

“Le effettive manifestazioni del trauma possono essere invisibili, ma possono insorgere anche dopo un lungo periodo”, ha affermato Aliriza Arenliu, psicologa, riferendosi al fatto che benché la guerra in Kosovo sia finita da più di sette anni, i suoi effetti si fanno ancora sentire nella vita delle persone.

Alcuni esperti mettono in relazione l'aumento di suicidi al crescente isolamento e alla disgregazione della famiglia. Sottolineano come in passato le famiglie kosovare fossero molto più saldamente unite e le relazioni più chiaramente strutturate.

Allora il Kosovo deteneva il numero più basso di casi di suicidio nella regione e i pochi casi che capitavano erano un tema scottante tra i kosovari per cui tradizionalmente il suicida era un disgraziato e un peccatore.

Ma dal 1999 quando la vita di villaggio fu permanentemente distrutta dall'esodo forzato degli albanesi verso gli stati confinanti, il ruolo della famiglia in Kosovo è cambiato drasticamente.

Linda Gusia, sociologa, ha detto che gli spostamenti della popolazione nel Kosovo e anche verso l'estero furono un fattore determinante di questa disgregazione della famiglia. “Le persone iniziarono a concentrarsi di più su se stesse e per via di questo tipo di atomizzazione sociale alcune persone iniziarono a sentirsi sole, isolate e messe da parte,” ha detto.

Anche prima del 1999 la società veniva erosa da forze esterne. Per più di dieci anni la repressione politica costante ha sottoposto molti kosovari sotto il regime-stile-apartheid serbo, dal 1988 al 1999 a una pressione senza precedenti.

Poi il regime si fece più violento con lo scoppio del conflitto con i militanti albanesi. I combattimenti hanno delocalizzato circa un milione di persone durante la campagna di bombardamenti NATO e le forze del governo serbo uccisero all'incirca 10.000 persone.

La società del dopo guerra non si è ancora rimessa. “La vita quotidiana in Kosovo è ancora in una maniera o nell'altra legata alla guerra,” ha detto Linda Gusia.

“La maggior parte dei casi di suicidio avvengono in quelle zone che furono coinvolte nei peggiori combattimenti durante la guerra del Kosovo, come la regione di Drenica,” ha detto Fidaie Krasniqi dell'organizzazione Degjo Rinine (Ascolta i giovani).

“La gente di Drenica si ricorda di un solo caso di suicidio precedente al 1999, mentre dalla guerra ce ne sono stati 54,” ha aggiunto.

Stando a Krasniqi, in maggioranza erano ex combattenti dell'Esercito di Liberazione del Kosovo, KLA, che a guerra finita si sentirono demotivati e senza prospettive.

Oltre al trauma bellico diretto e indiretto, altri fattori dietro all'aumento dei suicidi in Kosovo sono fattori psicologici e sociali, tipo povertà e disoccupazione, ha detto Ferid Agani, uno psichiatra.

Otto anni dopo la guerra, il Kosovo è arenato nella depressione economica. La Stima della Povertà della Banca Mondiale classifica il 37% della popolazione come “povera,” volendo dire che vivono con meno di 1.42 euro al giorno. Il 15% della popolazione vive al di sotto del limite di estrema povertà con 0.93 euro al giorno.

Molti credono che queste statistiche allarmanti – unite al fatto che la popolazione del Kosovo sia la più giovane d'Europa, con il 50% della popolazione che ha meno di 30 anni, e solo pochi con una minima prospettiva di trovare lavoro – creino le condizioni per un trauma ulteriore.

“L'illusione che la libertà avrebbe risolto tutti i nostri problemi è presto svanita dopo la guerra,” ha detto Linda Gusia.

“Il Kosovo è un piccolo paese e non ha molto da offrire, suppongo sia per questo che alle persone...manchi una prospettiva e si sentano perdute,” ha aggiunto.

L'aumento statistico dei suicidi enfatizza il bisogno di un strategia preventiva ufficiale attentamente pianificata.

“È in agenda e ci stiamo lavorando,” ha affermato Ismet Abdullahu del dipartimento della salute del Kosovo, che ha spiegato che i suicidi vengono affrontati come parte di una strategia generale per la salute mentale.

Ma lo squattrinato governo del Kosovo non è in condizioni effettive di offrire molto alle persone nel campo del trauma counselling.

Per di più, in Kosovo le persone ordinarie considerano ancora l'aiuto psicologico professionale come un qualcosa di profondamente imbarazzante e non qualcosa che si dovrebbe chiedere.

Fjolla è dispiaciuta che la sua amica non abbia parlato con lei, o con qualcun altro, dei suoi problemi. “È un peccato che la percezione complessiva del cercare aiuto in Kosovo sia quella sbagliata. Le persone che hanno bisogno di aiuto dovrebbero cercarlo,” dice.

“Prevenire il suicidio è possibile”, ha concordato Gusia. “Il modo più efficace di prevenire il suicidio, è riconoscerne i sintomi, e prenderli sul serio, e cercare un aiuto professionale.”

Alcune NGO stanno cercando di riempire il vuoto lasciato dall'assistenza sanitaria statale. Krasniqi ha detto a Balkan Insight che la sua organizzazione ha messo in piedi una linea diretta per i giovani il dicembre scorso. Da allora, hanno avuto a che fare con più di 350 giovani disperati, dando loro informazioni e consigli. “Molti avevano pensieri suicidi,” ha notato.

Fjolla spera di non dover sentire di altri casi come quello della sua amica. “È accaduto a lei ma spero che non capiti a nessun altro,” ha detto.


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