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mercoledì 07 settembre 2022 15:50

 

Vidovdan, calma nonostante le provocazioni

06.07.2007    Da Pristina, scrive Alma Lama

Membri della "Guadia di Zar Lazar" a Gracanica
Il 28 giugno, presso il monumento di Gazimestan, Kosovo, si è ricordata la battaglia di Kosovo Polje. Nessun incidente nonostante alcune provocazioni. E la presenza sul posto di alcuni membri della "Guardia di Zar Lazar", ultranazionalisti serbi che si dichiarano pronti a difendere il Kosovo con le armi. Un reportage
Ad alcune centinaia di metri dal monumento, il posto di blocco. I poliziotti del Kosovo Police Service e i militari della KFOR indirizzano chi arriva in diverse direzioni. Se sei giornalista, oppure serbo, puoi passare; se sei albanese, ti invitano a muoverti sulla sinistra. Questa la scena andata avanti per alcune ore a Gazimestan, Kosovo Polje, luogo che, nella storia del popolo serbo, viene ricordato come quello della gloria. Sono passati 618 anni da quando, su questo altopiano, fu combattuta la battaglia. Da una parte un esercito che riuniva, sotto la guida del re serbo Lazar,i popoli di tutti i Balcani, Serbi, Bulgari, Bosniaci, Albanesi ed Ungheresi. Dall'altra la più potente macchina da guerra dell'epoca, l'esercito del sultano ottomano Murad. Gli alleati balcanici perdono, ma i serbi continuano fino ad oggi a celebrare, il 28 giugno di ogni anno, questo avvenimento storico.

Quest'anno poi, c'è una ragione in più per venire a celebrare. Il Kosovo sembra ormai perduto, e qualcuno è venuto anche per tentare di fermare questo processo. Sono le undici di mattina. La strada che porta fino al monumento è piena di macchine parcheggiate. Sono venuti serbi da tutto il Kosovo, ma anche dalla Serbia. Alcuni autobus hanno la targa di Belgrado, il loro sembra quasi un pellegrinaggio. Qualcuno sale sul monumento portando una lunga bandiera. Altre bandiere, messe un po' ovunque, giocano con il vento. Tutto scorre senza incidenti, sotto lo sguardo attento dei militari KFOR. Chi è venuto parla della battaglia. Ad un certo punto le macchine fotografiche iniziano a scattare. E' arrivato Alessandro II Karadjordjevic, il principe di Serbia, la cui famiglia venne esiliata dai comunisti di Tito. Alessandro parla di diritti umani per i serbi e gli albanesi, parla di pace, ma non dimentica: “Non si può pretendere che la Serbia perda il 15% del territorio nazionale nel volgere di una notte. Gli Usa rinuncerebbero alla California, o al Texas? Il Kosovo è terra serba, quante volte bisogna ripeterlo?”. Nelle ultime parole si può avvertire una sfumatura di rabbia. Alcuni intorno a lui applaudono.

Al principe viene fatta una domanda di grande attualità: appoggia o meno le dichiarazioni bellicose fatte dalla neonata “Guardia di Zar Lazar? Circa un mese fa, infatti, alcuni veterani serbi hanno creato un'organizzazione sotto questo nome, giurando di salvaguardare l'appartenenza del Kosovo alla Serbia anche con le armi. Il principe si schernisce, non ha alcun legame con loro, dice, e di questo non vuole parlare. Per Alessandro la strada passa attraverso i negoziati. Il vescovo di Raska e Prizren, Artemje, è accanto a lui, silenzioso. Ci sono moltissimi sacerdoti oggi, anche se probabilmente il gruppo più numeroso è quello dei giornalisti. Alcune donne, con indosso magliette rosse che rappresentano il monumento alla battaglia di Kosovo Polje, raccolgono firme per far restare il Kosovo nei confini della Serbia. Pochi metri più in là, il leader del partito radicale di Mitrovica nord, rilascia una lunga intervista per la tv serba. Manda un messaggio ai serbi del Kosovo che stanno creando partiti e che potrebbero entrare in coalizione di governo con le formazioni di Hashim Thaci o Ramush Haradinaj: “questi personaggi non rappresentano i veri serbi”, dice.

Continua ad arrivare gente. Alcuni giovani hanno stampati sulla maglietta i ritratti di Milosevic, Mladic, Seselj o il logo delle Tigri di Arkan. Non vogliono essere controllati dai poliziotti, albanesi, del KPS, ma non hanno scelta. Uno di loro, sui vent'anni, sembra più deciso. Ha, sulla maglietta, l'emblema della “Guardia di Zar Lazar”. Ieri l'amministrazione dell'Unmik ha deciso che chiunque indossi queste magliette non possa entrare in Kosovo. I poliziotti fermano il ragazzo, lo fanno entrare in macchina, gli tolgono la maglietta e poi lo lasciano andare. In totale, più di cento magliette di questo tipo vengono sequestrate nei vari autobus giunti oggi dalla Serbia. E' difficile credere che tra le persone venute oggi al monumento non ci sia anche chi fa parte della “Guardia”. Il leader di questa organizzazione, dichiarata illegale in Serbia, Hadzi Andrej Milic, proprio nel giorno della cerimonia ha dichiarato che 150 membri della “Guardia” si sarebbero riuniti intorno al monumento per proclamare il “governo di salvezza nazionale di Vidovdan”.

Gli albanesi si sono tenuti lontano dalla manifestazione, anche i veterani dell'UCK che, nei giorni scorsi, avevano avvertito i paramilitari serbi di non farsi vedere in Kosovo. Nell'aria si poteva avvertire la tensione creata da questa “guerra delle dichiarazioni”. Solo un gruppo di cinque albanesi ha tentato di avvicinarsi, ma è stato fermato dalla polizia. Ciò nonostante, un albanese è riuscito a distribuire alcune mappe ai serbi che uscivano dagli autobus. Sulle mappe, che rappresentavano i Balcani e l'antica Illiria, c'era scritto “Dov'è la Serbia?”. Anche questa persona è stata presto arrestata.

A quel punto i manifestanti si sono spostati a Gracanica dove, all'interno del monastero, si è svolta la parte religiosa della cerimonia. All'interno delle mura di Gracanica, molti ragazzi, protetti dalle mura del monastero, si sono sentiti liberi di indossare le magliette della “Guardia di Zar Lazar”. La polizia, nonostante gli ordini, non se l'è sentita di entrare nel luogo sacro per farli rispettare.
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