Per un Kosovo europeo
19.07.2007
scrive Marjola Rukaj
Migjen Kelmendi
Dallo standard della lingua, al dibattito tra gheg e tosk, ai temi delicati del nazionalismo e all’influenza di Tirana su Pristina. Una disamina a tutto tondo sulla cultura kosovara e il suo rapporto con l’Albania e l'Europa. Nostra intervista a Migjen Kelmendi, pubblicata in contemporanea sul giornale "Java"
Migjen Kelmendi è un giornalista, traduttore, ex cantante rock del Kosovo, da anni impegnato nei media albanofoni in Kosovo e negli Stati Uniti. Dal 2001 pubblica a Pristina il settimanale "Java", l'unico giornale in dialetto gheg del Kosovo con cui mira alla costruzione di una coscienza civica sovra-etnica nella società kosovara. E' oggi una delle voci più critiche della realtà kosovara.
Come mai un giornale scritto in albanese gheg, come è nata l’idea?
La domanda stessa, per come mi viene posta, indica quanto sia profondamente incompreso questo patrimonio fonetico e linguistico della cultura albanese da parte di essa stessa. L’albanese gheg è la lingua madre, l’idioma naturale parlato approssimativamente da 4 milioni di albanesi nei Balcani, nella metà dell’Albania a nord del fiume Shkumbin, nella parte occidentale della Macedonia, eccetto tre villaggi che parlano la versione tosk, interamente in Kosovo e in Montenegro.
Il gheg è la versione più antica della lingua. Dalla formazione dello stato albanese fino al momento in cui gruppi di partigiani entrarono a Tirana e a Scutari come liberatori, il gheg è stata la lingua ufficiale in Albania. Fino al ’72 anche in Kosovo il gheg è stato un mezzo dello sviluppo culturale, letterario e mediatico. Ma io considererei il gheg non solo come un patrimonio albanese da salvaguardare, ma anche un patrimonio europeo. Inoltre è una questione attinente al rispetto dei diritti umani fondamentali, disciplinati in varie convenzioni che trattano dei diritti riguardo le lingue.
Dalla domanda “Perché un giornale in gheg” si evince chiaramente che la cultura albanese ha delegittimato l’esistenza del gheg. Fu infatti questa l’intenzione dei comunisti di Enver Hoxha, che nel Congresso dell’ortografia del 1972 commisero un atto incivile, non solo sostituendo violentemente la lingua ufficiale dello stato albanese, ma con un odio che non può che essere diffamante proibirono anche la scrittura e la pubblicazione di questo idioma.
E tale impedimento continua a vigere tuttora, tranne che per il giornale “Java”. I linguisti stalinisti, erano convinti esattamente come Stalin e il suo linguista Marr, che se una lingua ha due dialetti principali, come per l’albanese il gheg e il tosk, uno lo si deve sopprimere, e nello scontro del 1972 avevano deciso che a morire sarebbe stato il gheg. E il tosk è diventata la lingua vincente, la lingua comunista, tra l’altro era l’idioma naturale di Enver Hoxha, e dei 24 membri del Politbureau, mentre il gheg essendo la lingua ufficiale di re Zog, che la Rivoluzione comunista aveva spodestato e proclamato traditore, fascista, fu percepita proprio come coloro che la parlavano, e di conseguenza fu proibita.
La macchina dei sogni comunisti che era il Kinostudio “Shqipëria e re”, ad esempio, nei film prodotti dopo la rivoluzione, usava far parlare in gheg i traditori, i fascisti, i malavitosi, i ribelli, e nel casting per i ruoli che parlavano in gheg sceglieva sempre le facce più brutte, mentre il commissario partigiano, il protagonista comunista, parlava in tosk, era saggio, bello e affascinante. Ed era amato dalle donne! Quindi il bello, l’avanguardia, il saggio è tosk, il brutto, il furbo, l’arretrato è gheg. Il bianco è tosk, il nero è gheg. La cultura parla tosk, la barbarie parla gheg. Il futuro parla tosk, e il passato gheg. In poche parole, i comunisti albanesi erano pienamente coscienti del potere simbolico, come lo intende Pierre Bourdieu, che la lingua standard emana in una cultura. In tal senso essi hanno percepito il tosk come mezzo di dominio e potere, e in questo modo hanno intrapreso la peggiore manomissione spirituale che sia mai stata fatta alla cultura e alla lingua albanese nella sua storia.
La maggior parte dei media albanofoni oggi si esprime in tosk, anche in Kosovo. Che ruolo ha avuto il tosk in Kosovo? Considerando la lunga mancanza di comunicazione tra l’Albania e il Kosovo, che ha fatto sì che in molti aspetti le due versioni della lingua si sviluppassero in direzioni diverse, in che misura è stato assimilato il tosk in Kosovo?
Lo standard del 1972, il tosk, in Kosovo oggi è una Fictio Juris. E’ una lingua che non esiste ma che si finge che esista. E’ molto importante sottolineare un fatto su cui di solito l’élite kosovara tace: la delegazione kosovara nel Congresso del 1972 era costituita anche da comunisti e il permesso a parteciparvi, lo ricevettero direttamente da Tito. Quindi anche se più tardi i nazionalisti del Kosovo la presentarono come la loro maggiore conquista, e la contrapponevano alla Jugoslavia di Tito, interpretando e promuovendo lo standard come il primo passo verso l’unificazione dell’Albania etnica, la loro azione più importante in realtà si deve al consenso di Tito. Questo mette a nudo il nazionalismo e i nazionalisti ingenui kosovari per cui la lingua standard non aveva a che vedere con un fenomeno linguistico che avrebbe avuto ripercussioni catastrofiche per i loro figli e le generazioni che sarebbero nate in Kosovo, poiché per loro il significato simbolico era l’Unificazione dell’Albania.
La lingua l’abbiamo fatta, ora non resta che fare gli albanesi. Così mettere in discussione lo standard in Kosovo, è come se si volesse ferire l’idea dell’unificazione nazionale. Quindi chiunque osi fare ciò, viene subito proclamato traditore. Il tosk in Kosovo non si è mai riusciti a parlarlo come si deve. Vi era tanta voglia di impararlo e di parlarlo, ma la realtà in Kosovo è tutta gheg. Poi essendo l’Albania e il Kosovo due realtà completamente divise, il tosk in Kosovo ha subito varie deformazioni per via della sintassi serba, e del gheg quotidiano, a causa delle scarse conoscenze del tosk, e della mancanza di comunicazione culturale tra Tirana e Pristina. Il tosk parlato da un gheg del Kosovo, è come lo definiva Gjergj Fishta: comico.
E’ assurdo vedere 2 milioni di persone che fingono di parlare in tosk. Quando sono state abbattute le barriere e si è incominciato ad avere un po’ di interazione, la prima cosa a dare nell’occhio fu il tosk dei kosovari, che faceva star male la gente di Tirana per come sembrava ridicolo. Infatti la Tirana culturale, che è tosk, sentendo un kosovaro parlare in questa versione, era come se vedesse la propria caricatura, era come specchiarsi in una Fun House.
Per 30 anni il Kosovo si è occupato volontariamente per mezzo di un’auto-colonizzazione zelante, di interiorizzare il tosk, nelle scuole e nelle università, ma questo esperimento, a mio avviso, è risultato un fiasco storico. Tuttora per l’élite kosovara lo standard tosk assume il significato della Grande Albania. Se si chiede a un kosovaro se è d’accordo con la revisione dello standard, è come se si chiedesse, è d’accordo con la revisione dell’idea dell’unificazione nazionale? Questo è l’unico significato dello standard tosk del 1972.
Il vostro giornale in gheg costituisce naturalmente una novità nel mondo mediatico albanofono, come è stato accolto dai circoli letterari in Kosovo, e dal lettore kosovaro in generale?
Pubblicare un giornale gheg, nel tempio del nazionalismo albanese, quale è il Kosovo oggi, è come entrare nudo in una moschea, come ha detto a ragione un mio amico olandese. Ero cosciente di sfidare il maggiore tabù degli albanesi di tutti i tempi, lo standard del ’72. Si sono scandalizzati del mio gheg. Un giornale in gheg è qualcosa di inaudito. E’ l’unico giornale che scrive in gheg dal 1972 fino al 2001 anno di pubblicazione del suo primo numero.
Non apprezzano il gheg, scritto come è parlato, che è di proposito più vicino allo slang di Pristina, che al gheg letterario di Scutari, perché lo slang non è come si è equivocato, una forma rudimentale della strada e del parlato, a mio avviso invece è la reazione cosciente di un mondo albanese che nello standard del ’72 è stato qualificato come non competente e non autentico. E la produzione (sub)culturale più importante di questa città.
Invece Tirana non ha uno slang, rientra in pieno nella matrice standard. Secondo la logica della lingua standard la gioventù kosovara sarebbe predestinata a ridursi a cittadini di serie B. Per 30 anni l’élite kosovara ha cercato di parlare in una lingua letteraria, ma se ci sono riusciti o meno, l’abbiamo visto da come Tirana gli ha riso in faccia emarginandoli e ignorandoli. Oggi il disprezzo di Tirana ha un aspetto catastrofico, nessun prodotto culturale di Pristina è attraente e non ha valore sul mercato di Tirana.
Nessuno scrittore, nessuna trasmissione televisiva e radiofonica, nessun moderatore, nessun giornale... Tutto lo scambio culturale è monodirezionale: da Tirana a Pristina. Ma mai viceversa. Mentre gli altri paesi post-comunisti l’autocolonizzazione la applicano riferendosi ai centri culturali occidentali, come dice Kiosev, il povero Kosovo, è autocolonizzato dalla Tirana che parla tosk. La Telecom del Kosovo, per la segreteria telefonica, su due milioni di kosovari, non è riuscita a trovare una voce da registrare, ma l’hanno importata dall’Albania. E di conseguenza quella voce pronuncia i numeri in modo sbagliato per noi, rispetta lo standard del ’72 ma nessuno se ne preoccupa.
Le università private del Kosovo, non importano esperti dei vari campi, ma figure televisive di Tirana e le pagano 7 volte più dell’esperto più autorevole kosovaro. Anche le TV e le radio, sia locali che nazionali, importano speaker dall’Albania. Solo poco tempo fa la Radio televisione del Kosovo aveva organizzato corsi per l’apprendimento della lingua standard per i propri giornalisti e redattori. Se questo avviene 30 anni dopo il ’72, viene naturale chiedersi in che lingua abbiano parlato finora? Questo è un esempio eclatante di quello che io definisco fictio juris. Inoltre non vi sono più traduzioni in Kosovo, e la scrittura letteraria è quasi stata fermata. E tutto questo si spiega solo in un modo masochista: gli albanesi in Albania parlano meglio e più fluentemente di noi! Quindi bisogna rassegnarsi...
In Albania, nonostante si tratti di un dibattito periferico, dove predominano le frustrazioni accumulate durante il comunismo, e i membri di rado sono linguisti di professione, continua ad alimentarsi la polemica sulla revisione dello standard. La maggior parte dei linguisti sostengono la coesistenza dei due dialetti principali, mentre altri, particolarmente originari di Scutari, propongono la sostituzione del tosk con il gheg. Qual è la sua posizione in questo dibattito?
Quello che ha sempre caratterizzato il dibattito sulla necessità di revisione della lingua standard del ’72 è la strapoliticizzazione della questione. E tuttora è così, quindi bisogna depoliticizzare la questione e farla diventare un dibattito civile e professionale. Sarebbe necessario un accordo politico tra Pristina e Tirana. Ma penso che Tirana sia più aperta e più tollerante rispetto a Pristina su questi dibattiti. Finora sono stato invitato 2 volte a parlare di questo a Tirana, e una volta sola a Pristina. Bisogna ribadire che la lingua albanese non è solo lo standard del 1972, quello è solo una serie di regole che codificano solo un dialetto di questa lingua.
Ma perché si deve sopprimere una lingua? Al di là di ogni dibattito, o accordo in materia bisogna soccorrere il gheg, bisogna insegnarlo nelle scuole elementari nelle zone in cui il gheg è l’idioma naturale. Bisogna abolire l’interdizione di pubblicazioni in gheg e dell’utilizzo del gheg nei media, bisogna dare uno status sociale al gheg. Quale dialetto debba dominare sull’altro, questo è un dilemma forzato. Al contempo bisogna anche decostruire il congresso del ’72 nei minimi particolari per rendere noti gli sviluppi, il contesto e le decisioni che vi sono state prese. Poi bisogna prendere in considerazione la geografia della lingua albanese visto che si comincia a comunicare, e codificare anche in questo senso, e poi eventualmente trattare una revisione dello standard. Io sono un sostenitore della scuola descrittivista che le regole le emana basandosi sulla lingua parlata nel quotidiano, e non viceversa. Ma anche in caso di uno standard unificato che faccia tutti contenti, i dialetti non devono essere interdetti. Se i sostenitori di Enver Hoxha avessero permesso che il gheg venisse scritto, non avremmo avuto questa discrepanza tra la lingua scritta e la lingua parlata che si ha oggi nelle zone dove il gheg è lingua naturale. La fatalità dello standard del ’72 non fa onore alla cultura albanese.
La scelta del gheg, considerando l’importanza che la lingua ha nel definire l’albanità quale identità nazionale, può anche essere tradotto come una tendenza ad allontanarsi da Tirana? Com’è percepita Tirana oggi in Kosovo, e come si è sviluppata negli ultimi anni questa percezione?
Il timore di allontanarsi da Tirana è qualcosa che perseguita continuamente il giornale e me personalmente. “Java” ci allontana e non ci avvicina a Tirana. La lingua standard in Kosovo è percepita come il libro sacro del nazionalismo albanese. Però dal punto di vista di Tirana, come dimostra anche lo scambio culturale unilaterale da Tirana a Pristina, è esattamente lo standard del ’72 a dividere. In questo senso “Java” cerca di avvicinare, cerca di far conoscere, ma non secondo i ruoli codificati al tempo delle dittature ma secondo i ruoli che assumeremo in un’Europa unita, come individui di pari dignità.
Immaginate la dignità del kosovaro secondo lo standard del ’72. D’altra parte i kosovari si sentono amareggiati a vedere la penetrazione di parole straniere, specie italiane, nell’albanese di Tirana, perché per loro la lingua è territorio, e una lingua contaminata sarebbe una potenziale contaminazione anche del territorio. Anche questo è egualmente anacronistico, come dire che “Java” ci allontana da Tirana. Questi nazionalisti della lingua sono troppo ciechi per afferrare lo spazio culturale albanese in tutta la sua diversità. E tanto meno si parla di poter vivere questa diversità come una ricchezza e non come una mutilazione. Sono convinti che sia possibile uno spazio albanese omogeneizzato dalla lingua tosk. “Java” sostiene l’idea che le comunità linguistiche omogenee in realtà non esistono. Il gheg di “Java” deve essere visto come una verifica permanente della tolleranza nella cultura albanese. Fino a che punto siamo coscienti che la diversità è un valore europeo e non una disgrazia o catastrofe albanese?
Durante il 2001 – 2002 nelle pagine del vostro giornale ha avuto luogo una polemica in cui è spiccato un ammirevole coraggio intellettuale sull’identità kosovara, che poi è stata raccolta nel libro “Kush asht kosovari?”. Avete affrontato in tal modo un tema che in genere rimane tabù nei circoli albanofoni. Come la definisce l’identità kosovara? In quali aspetti si distingue dall’albanese dell’Albania?
Nonostante non fosse nostra intenzione, col passare del tempo ci stiamo rendendo conto che il nostro giornale sta diventando sempre di più la prima prova europea per la cultura e l’élite del Kosovo. Il Kosovo e la sua élite, non mettono assolutamente in dubbio l’appartenenza europea. Anzi, se gli si chiede, persi nel complesso dell’autoctonia come sono, diranno che sono i primi europei dei Balcani, perché sono discendenti degli Illiri, e quindi che siano europei è intrinsecamente sottinteso.
Per l’élite kosovara, l’Europa è percepita come un fenomeno geografico, dalle radici cattoliche, e costituta dagli stati-nazione. Sottolineo gli stati nazione, a cui sono rimasti legati nonostante in Europa siano stati superati molti elementi tipici di questo concetto, come la moneta, il mercato, le frontiere. Mentre “Java” parla di un’altra Europa, quella che non è posta in essere dall’autoctonia, dal cattolicesimo, o dal nazionalismo, ma dai valori. Per me l’Europa rappresenta questi valori, che se noi fossimo riusciti a interiorizzare, ad esempio il rispetto per la dignità umana, i diritti umani, la diversità, la tolleranza, lo stato di diritto, la democrazia, la questione della nostra appartenenza all’Europa non sarebbe più un argomento da discutere.
“Java” è la prova del non-europeismo kosovaro. Tutti i dibattiti che abbiamo intrapreso, sulla lingua, sulla pubblicazione del gheg, sull’identità kosovara come modello sovra-etnico di identificazione, sull’identità musulmana, sul bisogno di una nuova bandiera del Kosovo, tutto ha dimostrato il non europeismo del Kosovo.
Nel dibattito sull’identità kosovara, kosovaro significava europeo, non era una nozione generata dal principio etnico. Questo era il primo dibattito sul modello sovra-etnico nella cultura albanese. Anche il dibattito sul kosovaro è stato compreso male, e interpretato come allontanamento da Tirana e dall’Albania. Diversamente da quello che pensano le élites albanesi che credono di sapere cosa sia europeo ed Europa, “Java” sta cercando di aggiungersi agli sforzi comuni in Europa per indagare su questi concetti, perché riteniamo che non siano definiti una volta per tutte.
Diversamente dall’Albania dove un’ondata di pragmatismo, e un’irrefrenabile voglia di cosmopolitismo dopo il lungo isolamento, hanno fatto sì che il nazionalismo si perdesse, o diventasse una retorica irrazionale periferica, in Kosovo la situazione è diversa. Come può essere definito il nazionalismo kosovaro oggi? Qual è il ruolo di Tirana nella sua determinazione?
Il cosmopolitismo non farebbe affatto male alle élite albanesi, mi sarebbe piaciuto molto che ci fosse, ma penso che tra le élite, sia di Tirana che di Pristina, il nazionalismo sia ancora l’ideologia determinante. Pristina è stata ed è tuttora fatalmente segnata dal nazionalismo, e francamente credo che le riesca molto difficile vedere il mondo oltre le categorie e le nozioni nazionaliste. Le nozioni come sovra-etnia, multietnicità, multiculturalismo, multicofessionalismo, per un nazionalista genuino del Kosovo sono solo una terminologia degli stranieri che non rispettano neanche nel proprio paese, ma che vengono a vendercela a noi.
Il nazionalista albanese si può vedere nel suo atteggiamento verso la formazione dello stato del Kosovo: sia a Pristina che a Tirana, il nazionalista percepisce il Kosovo solo come uno stato-nazione, e niente che vada oltre questo. Questo lo articola tipicamente Ismail Kadare (in un’intervista per “Voice of America”), il padre dei nazionalisti albanesi, il quale ritiene che si stia formando un nuovo stato albanese in Kosovo. Mentre il Kosovo come uno stato di cittadini e di aspirazioni politiche, basato sui valori europei che ho detto prima, per tutti loro rimane solo un’astrazione.
Di recente avete ricevuto il “Press Freedom Award”, che è senz’altro un premio e una gratifica di non poca importanza. Cosa pensa che “Java” abbia aggiunto alla sfera mediatica kosovara?
L’alternativa. L’altra possibilità. Un modo di raccontare in più, che arricchisce la diversità del panorama albanese, porta il senso del dibattito e della cittadinanza europea in questa Macondo del nazionalismo. Se togliessimo “Java”, constateremmo che la cultura albanese non avrebbe più problemi, né con la lingua, né con l’identità, né con la bandiera, né con il kosovaro, né con l’Europa. Si penserebbe che è felice e contenta con il suo nazionalismo. “Java” è un altro standard culturale. Vorrei che fosse e che venisse capita come il primo standard europeo culturale del Kosovo.