E' dura essere buoni
21.08.2007
Una scena tratta da ''It's hard to be nice''
Lui è un tassista di Sarajevo, che vuole essere buono. Un'impresa che risulta essere piuttosto complicata. E poi la storia di tre sorelle ambientata a Tito Veles, Macedonia. "It's hard to be nice“ e "I'm from Tito Veles“ hanno aperto il 13mo Sarajevo Film Festival
Di Cecilia Ferrara
Forse i Balcani non ne possono più di essere i Balcani ed hanno voglia di essere un luogo, anzi più luoghi, in cui si produce cultura e si girano grandi film: non più di genere, non più musiche turbo folk, non più sulla guerra, ma storie universali raccontate in un contesto locale.
E' questo che sembrano dire i due film di apertura del 13mo film festival di Sarajevo „It's hard to be nice“ di Srđan Vulić, classe 1971, e „I'm from Tito Veles“ di Teona Strugar Mitevska, classe 1974, con risultati invidiabili. Un film bosniaco e un film macedone che hanno deciso di fare la loro prima uscita al Film Festival di Sarajevo anche per segnare l'importanza del questo festival internazionale e troppo spesso dimenticato dai media italiani.
„It's hard to be nice“ è la storia di un tassista, Fudo, di Sarajevo che a 40 anni decide di cambiare vita e di fare sempre la scelta giusta, per il bene. Un'impresa che risulta piuttosto complicata. „Questo è un film – dice il regista Srđan Vulić – su un uomo che vuole essere buono in una città chiamata Sarajevo, in un paese chiamato Bosnia Erzegovina, dove essere buoni a volte vuol dire essere stupidi, e può causarti problemi, perché significa scardinare tutto quello che è stato stabilito essere OK. Ed è OK comprare vestiti rubati, macchine rubate, rubare qualsiasi cosa, non pagare tasse, ricattare chiunque per qualsiasi cosa. Per tornare sulla via giusta a volte bisogna fare sacrifici“.
„It's hard to be nice“ è una storia delicata, semplice buffa e commovente e finisce bene. E' una storia di Sarajevo perché è a Sarajevo che è semplice delinquere perché uno stipendio normale è di 300 euro al mese, perché la disoccupazione è alta e la guerra a volte sembra finita ieri. Ma è anche come spiega Vulić „Una storia che potrebbe accadere ovunque, a Istambul, come a Stoccolma o a Kuala Lumpur: la storia di un uomo che vuole migliorare la sua vita“. „La scommessa – continua il regista – era quella di dimostrare che una storia positiva non è noiosa“. Scommessa vinta a nostro parere.
Il ruolo di Fudo è affidato a Saša Petrović, fino ad ora principalmente teatrale, che convince con l'interpretazione di un uomo tenero e drammatico, buffo suo malgrado. La moglie di Fudo è Daria Lorenci attrice in Croazia, ma originaria di Sarajevo che in questo film ha dovuto recuperare la sua lingua madre e l'accento della sua infanzia.
„I'm from Tito Veles“ è un film che parla di tre sorelle, parla di una città, Tito Veles, che ora si chiama solo Veles, parla della Macedonia un paese che ha ancora grossi problemi di identità („Lo sai il segreto per ottenere il visto? – dice nel film una delle tre sorelle – quando ti chiedono di che nazionalità sei tu devi dire che sei di Skopje non macedone“).
Il tutto è raccontato attraverso un linguaggio visuale: colori forti, paesaggi, dettagli. E' un film girato in Cinemascope in cui la fotografia è curatissima. „Abbiamo voluto che non ci fosse una sola scena girata per essere girata - dice la regista Teona Strugar Mitevska – ogni singolo fotogramma doveva avere un suo ragionamento e una sua motivazione di esistere“.
Ed è effettivamente un film visionario in cui la più giovane di tre sorelle, Afrodita, ha deciso di non parlare dalla morte del padre, ma è proprio la sua voce che fuori campo racconta la storia delle tre sorelle: lei verigine a 27 anni che vive di sogni, la mediana Sapho che cerca in ogni uomo la possibilità di ottenere un visto per fuggire di là e la più grande Salpica che è da 8 anni sotto metadone e lavora all'unica fabbrica della città, costruita ovviamente da Tito, che avvelena gli abitanti di Veles. Il film dunque è raccontato dalla più piccola delle tre che sembra la più fragile, quella che sogna ad occhi aperti, quella strana che non parla e che sarà invece quella che resta, che raccoglie i pezzi della famiglia e compie l'estremo atto di sacrificio.
Afrodita è Labina Mitveska, sorella della regista Teona, che ha iniziato la sua carriera con un ruolo nel film vincitore del Leone D'oro „Prima della pioggia“ di Mirko Mancevski e nel 2003 ha messo su assieme alla sorella e al fratello una piccola casa di produzione, la Sisters and Brother Mitevski.
Ma è difficile oggi proporre un progetto sulla Macedonia? „La nostra idea - rispondono le sorelle – è che non si vende un paese, si vende una storia e se la storia è buona si trovano i finanziatori e le persone che appoggiano il progetto. Così è stato per questo film, abbiamo deciso di non scendere a nessuno compromesso ogni scelta è stata una scelta della regista. Se si dovesse pensare ad un genere o ad un prodotto da vendere da questi paesi questo sarebbe inevitabilmente la guerra. Ma noi non volevamo quello volevamo mostrare un'altra faccia dei Balcani e un'altra faccia delle donne dei Balcani“.
Il Sarajevo Film Festival prosegue fino al 25 agosto prossimo con 13 diversi programmi, 175 film, 16 prime mondiali ed il Berlinale Talent Campus che riunisce in workshops e discussioni 78 giovani talenti tra produttori, attori e registi dei Balcani. Il presidente della giuria quest'anno è l'attore Jeremy Irons mentre tra gli ospiti è atteso il regista statunitense Michael Moore.