La corruzione in Kosovo raggiunge tutti i poteri costituiti, esecutivo, legislativo e giudiziario, e sembra lambire anche l'amministrazione internazionale dell'Unmik. E' quanto denuncia Avni Zogjani, anima dell'organizzazione per la lotta alla corruzione "Cohu"
"Cohu", organizzazione non governativa con sede a Pristina, nasce nel settembre 2005 allo scopo di combattere e denunciare la corruzione politica in Kosovo. Da allora ha pubblicato numerosi rapporti circostanziati (www.cohu.org) sui casi di malversazioni e corruzione che, secondo l'organizzazione, costituiscono il principale problema sulla strada dello sviluppo democratico della regione. Abbiamo conversato con Avni Zogjani, anima di "Cohu" dalla sua fondazione.
In questi anni “Cohu” ha denunciato ripetutamente casi di corruzione in Kosovo, legati alla classe politica locale, ma anche all'amministrazione internazionale. Adesso il numero due dell'Unmik, Steven Schook, è sotto inchiesta. E' forse il segno di tempi nuovi?
Schook stesso ha annunciato di essere sotto inchiesta per comportamento non professionale e per il suo coinvolgimento nel progetto “Kosovo C”. Da allora, però, purtroppo, non c'è stato alcuno sviluppo della situazione. Schook è diventato il principale sostenitore del progetto della mega-centrale da 2100 megawatt che, secondo molti esperti indipendenti, andrebbe a favore soprattutto degli investitori stranieri, oltre ad avere un impatto ambientale fortissimo sul territorio. Allo stesso tempo l'amministrazione Unmik tollera un lampante conflitto di interessi legato al progetto: il ministro dell'Energia Ethem Ceku, è allo stesso tempo promotore di “Kosovo C” e membro del consiglio di amministrazione della Kek, la società elettrica pubblica, che dovrebbero agire in modo concorrenziale sul mercato dell'energia. Nonostante questo nessuno interviene, alimentando il sospetto che ci siano interessi personali in gioco. Se a tutto questo aggiungiamo che anche esponenti del PDK, principale partito di opposizione, sono legati alla compagnia ceco-statunitense CEZ, probabile vincitrice della gara d'appalto, allora da una parte possiamo vedere quanto sia ramificato il sistema di interessi intorno a questo progetto, dall'altra quanto sia reale il fenomeno di progressiva “simbiosi” poco trasparente tra politici locali e l'amministrazione Unmik.
Crede che le elezioni del prossimo 17 novembre possano portare a qualche cambiamento importante nel campo della lotta alla corruzione politica?
Lo spero. Credo che rappresentino un'occasione per provare a spezzare il circolo vizioso che si è venuto a creare tra politica e crimine organizzato, denunciato in modo esplicito anche nell'ultimo rapporto redatto dalla Commissione Europea. Un cambio di esecutivo potrebbe essere salutare: non perché l'attuale minoranza sia meno corrotta dei politici al governo, ma perché questa non possiede l'organizzazione capillare e la forza per minacciare una destabilizzazione della regione. Verrebbe quindi meno uno dei componenti principali del ricatto incrociato che tiene legati sistema politico locale e attori internazionali: da una parte la minaccia di destabilizzazione del Kosovo, dall'altra quella di denunciare pubblicamente malversazioni e corruzione dell'attuale classe di governo. Smuovere lo status-quo, credo, renderebbe più facile il lavoro dei media, della società civile, del sistema giudiziario.
Che tipo di iniziative ha intrapreso “Cohu” per la campagna elettorale?
Stiamo lavorando in coordinazione con una coalizione di Ong chiamata “Civil Society for a Clean Parliament” ad un progetto sulla trasparenza dei candidati. In pratica stiamo ricostruendo la storia personale e politica di tutti i candidati al parlamento, cercando di mettere in evidenza, attraverso prove documentate, i casi di corruzione. In qualche modo, ci proponiamo di fare una campagna parallela, con lo scopo di ricordare agli elettori le storie dei candidati che si propongono al loro voto.
Ma se i politici locali sono così controversi e corrotti, perché gli elettori kosovari li hanno votati?
Innanzitutto bisogna sottolineare che le elezioni sono state continuamente rimandate dalla comunità internazionale, senza consultare nessuno. Io credo che si volevano questi politici al potere, perché sono controllabili, in quanto corrotti. Alla fine hanno deciso che le elezioni andavano tenute semplicemente perché queste non sono più rimandabili. La cornice istituzionale è cambiata profondamente dalle ultime elezioni: non c'è più Rugova, e Haradinaj è sotto processo all'Aja. Quindi da una parte è vero che la classe politica è stata votata, ma dall'altra il processo democratico è stato falsato, e questa è ancora al potere solo grazie ai continui rinvii delle elezioni.
“Cohu” ha prodotto rapporti con accuse circostanziate sul processo di trasformazione di alcuni settori dell'amministrazione, organizzati sotto la supervisione dell'Unmik, e oggi diventati terreno di conquista della classe politica...
Quella di inserire parenti o compagni di partito nei posti chiave dell'amministrazione, senza alcun riguardo della professionalità, è una pratica molto diffusa. Basta partire da un esempio: gli ultimi tre premier hanno portato loro fratelli o sorelle nei gradi più alti delle strutture di governo. Noi abbiamo denunciato in modo particolare quello che è successo all'amministrazione fiscale e a quella doganale, costituite dall'Unmik immediatamente dopo il conflitto. Queste agenzie, nate fuori dall'influenza dei partiti (il governo kosovaro ancora non esisteva), e affidate a professionisti che hanno avuto la possibilità di formarsi all'estero, rispondevano a buoni criteri di efficienza. Non appena il governo è riuscito ad averle sotto il suo controllo, è iniziato un processo di “nepotizzazione forzata”: tutti hanno inserito propri uomini, spesso senza alcuna esperienza, mentre i professionisti sono stati mandati a casa. Risultato, la capacità di queste agenzie di raccogliere imposte è calata drasticamente, provocando un grave danno alle casse pubbliche. La conseguenza più grave della “liquidazione” dei professionisti, però, è la perdita di un possibile modello da seguire. Queste agenzie erano la prova che anche in Kosovo è possibile un'amministrazione efficiente, una prova che oggi, purtroppo, è stata eliminata.
La classe politica kosovara ha più volte messo la lotta alla corruzione nella lista delle priorità. E' stata creata anche una speciale agenzia che si occupa del problema. Quali sono i risultati ottenuti?
La creazione dell' Agenzia Anti-Corruzione è stata l'ennesima improvvisazione, nata solo per una precisa richiesta fatta dal Gruppo di Contatto, e oggi si trova di fatto sotto la pesante influenza dei partiti politici. A dimostrarlo basta vedere cosa sta succedendo con le dichiarazioni dei redditi e delle proprietà dei politici, raccolti dall'agenzia alcuni mesi fa. Nonostante le pressioni fatte, anche da “Cohu”, perché queste informazioni vengano rese pubbliche, l'agenzia ha rifiutato, appellandosi in modo incomprensibile alla normativa sui segreti di stato. Non conosco altri paesi in Europa in cui lo stato patrimoniale dei politici venga considerato un segreto strategico da difendere.
Spesso, in Kosovo, si parla di corruzione anche all'interno del sistema giudiziario. Qual è la vostra percezione di questo problema?
“Cohu” non si occupa direttamente di corruzione nei tribunali. D'altra parte non è difficile vedere che il sistema giudiziario è influenzato pesantemente non solo dai politici, ma anche dal crimine organizzato. In Kosovo si vedono procuratori prendere il caffè insieme a personaggi su cui dovrebbero probabilmente indagare per crimini anche gravi. Anche nei rari casi in cui figure politiche influenti vengono arrestate, si può essere sicure che verranno rilasciate. Quest'anno tre funzionari governativi sono stati arrestati per reati come riciclaggio, traffico di armi e violenze, solo per essere rimessi subito in libertà. Di fatto gli unici a finire dentro sono i pesci piccoli, per i grandi l'immunità è quasi certa.
I media in Kosovo fanno abbastanza per denunciare i casi di corruzione nei vari settori dell'amministrazione?
In Kosovo bisogna fare una grossa distinzione tra la stampa e la televisione. Ci sono quotidiani che hanno denunciato questi casi, anche se oggi lo fanno sempre di meno, sia per la disillusione che per la sempre maggiore influenza che il mondo degli affari, spesso legato al crimine, esercita su quello dell'informazione. La televisione invece, e soprattutto quella pubblica, hanno fatto poco o niente per informare i cittadini sui casi di corruzione. Ultimamente si vede qualche timida apertura, e “Cohu” è stata anche invitata ad alcuni dibattiti. La televisione, in generale, è più facilmente controllabile dal mondo politico, ma in Kosovo questo fenomeno è ancora più forte e preoccupante.
I vostri rapporti sono molto circostanziati, e spesso fanno chiaramente nomi e cognomi. Avete mai ricevuto minacce per la vostra attività anti-corruzione?
Siamo costantemente sotto pressione. Personalmente ho vissuto situazioni a dir poco spiacevoli con vari esponenti politici a causa delle nostre iniziative. Riceviamo intimidazioni e minacce telefoniche. Spero che non si arrivi un giorno ad aggressioni fisiche, ma anche se dovesse succedere credo che continueremmo per la nostra strada. E' l'unica alternativa percorribile una situazione che ormai non può più essere sostenuta.
Quanto è difficile oggi denunciare i casi di corruzione della classe politica che rappresenta le istanze di indipendenza del Kosovo nei lunghi negoziati in corso? Esiste il rischio di essere visti come “nemici” della causa comune?
No, direi proprio il contrario. Noi crediamo che quanto più il Kosovo si avvicini allo stato di diritto, in cui la legge viene rispettata, tanto più si avvicina ad un'indipendenza sostanziale, e non solo di facciata. I veri rischi per il futuro status del Kosovo devono essere cercati invece proprio nella sua classe politica corrotta. La nostra battaglia, anche se non politica, vuole essere un contributo ad un'indipendenza reale e non solo di facciata.