Ti ricordi Sarajevo?
03.01.2008
Da Sarajevo,
scrive Andrea Rossini
La costruzione della memoria nell'epoca digitale: intervista a Nihad e Sead Kresevljakovic, registi, autori del film “Sjecas li se Sarajeva?“ e animatori nella capitale bosniaca dell’associazione di cittadini “Video Arhiv”. Una nuova pubblicazione per il nostro dossier sui Memoriali nella ex Jugoslavia
Come è nato il film “Ti ricordi Sarajevo”?
Sead: si tratta di diversi materiali video raccolti durante e dopo l’assedio, scelti tra più di 600 ore di girato proveniente da diverse parti della città. Le riprese sono tutte fatte dagli abitanti di Sarajevo, più alcune immagini che abbiamo preso dalla televisione.
Nihad: credo sia importante dire che per noi è stato un vero privilegio essere tra quelle poche decine di persone che durante l’assedio possedevano una telecamera...
Sead: ciò che è significativo in questo film è che per la prima volta, nella cosiddetta “era digitale”, cittadini comuni hanno avuto la possibilità di vedere e riprendere la guerra con i propri occhi. Noi abbiamo cercato di realizzare una sorta di cronaca emozionale dell’assedio, in cui la figura principale è proprio la telecamera del cittadino comune. Abbiamo utilizzato circa 20 diversi video-autori, scegliendoli dalle diverse parti della città, per avere un quadro il più completo possibile di ciò a cui gli abitanti di Sarajevo sono sopravvissuti durante l’assedio.
Nihad: l’idea del film è nata da ragioni molto pratiche. Dopo la guerra, le persone hanno cominciato finalmente a far ritorno a Sarajevo. Tra loro incontravamo molti amici, molta gente curiosa di vedere l’ampia collezione di materiale video che già avevamo raccolto. Però impiegavamo magari ore per trovare la cassetta con le immagini che volevamo mostrare… e così abbiamo capito che sarebbe stato molto più semplice farne un film.
Sead: sì, quando qualcuno ti chiedeva: “Com’è stato qui durante la guerra?”, volevamo avere un qualcosa da mostrare loro al posto di svariate ore di lunghi racconti.
Come siete riusciti a comporre il racconto?
Sead: il film è diviso in tre parti. Nella prima ci sono le riprese delle esplosioni, delle granate. Abbiamo notato che nel primo anno di assedio, il ’92, tutti gli abitanti riprendevano le esplosioni per avere delle prove-video e mostrare ciò che stava accadendo alla loro città. Nella seconda parte ci sono le cosiddette “video-lettere”, nuove forme di comunicazione apparse durante la guerra. Gli abitanti di Sarajevo, ormai abituati e stanchi di riprendere i continui scoppi delle bombe, mandavano ai genitori, ai figli, alle proprie ragazze, agli amici, delle video-lettere sulla loro vita. Nella terza parte, invece, ci sono le immagini dei matrimoni. L’assedio di Sarajevo è durato molto a lungo, e la terza parte rappresenta il periodo in cui si è tornati a riprendere episodi di vita quotidiana, come i matrimoni o i funerali.
Nihad: l’intenzione è stata semplicemente quella di porre la domanda: ci ricordiamo di Sarajevo? Credo che questa domanda sarà sempre importante, per i sopravvissuti e per le prossime generazioni, ma anche per il resto del mondo e in particolare l’Europa. Per far ricordare quel “mai più” che era stato pronunciato dopo la liberazione di Auschwitz, e mostrare che non è vero quanto era stato dichiarato.
Come vengono ricordati quell'assedio e quella guerra nella Bosnia Erzegovina di oggi?
Nihad: viviamo in un Paese in cui ci si usano tre diversi manuali di storia, quindi è logico che esistano, talvolta giustamente, diversi sguardi e opinioni sulla guerra. Anche se in realtà diverse circostanze dimostrano che la verità, per quanto complicata, è sempre una. Per me è interessante il fatto che molti, soprattutto i giovani, non vogliano vedere rappresentazioni o film sulla guerra. Vivono una sorta di saturazione, che è in parte il risultato del rapporto che hanno con le istituzioni... Nonostante ciò ogni abitante di questa città ha un’immagine molto chiara di quanto è avvenuto: per la gente che è sopravvissuta all’assedio di Sarajevo si tratterà sempre di aggressione, di genocidio, e non prenderà mai in considerazione quello che altri dicono al riguardo.
Sead: è normale che ciò che noi, cittadini, raccontiamo di quanto è avvenuto 10 anni fa a Sarajevo e in Bosnia Erzegovina si discosti dalla versione ufficiale, perché noi possiamo permetterci di dire ciò che veramente pensiamo. A causa della complessità del sistema statale creatosi con gli accordi di Dayton invece, la televisione statale, ad esempio, ha un atteggiamento molto più attento: quali espressioni usare, quali film trasmettere... raramente decide di mandare in onda dei film come ”Bosnia!”, di Henry Levy. Un film per il quale, in tempo di guerra, qualcuno avrebbe commentato: “Poteva farlo più duro”. Oggi, invece, è diventato un film che potrebbe risultare troppo estremo e che offenderebbe l’altra parte con cui, grazie a Dio, conviviamo.
Come giudicate la distanza che esiste tra racconti privati e rappresentazioni ufficiali?
Nihad: in generale si tratta di cose pericolose, perché abbiamo visto anche cosa è successo dopo la Seconda Guerra Mondiale… Una delle molteplici cause per cui la Jugoslavia socialista si è divisa in modo così atroce, forse, scaturisce proprio dal fatto che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la versione ufficiale della “verità” non permettesse che la gente raccontasse tutto ciò che era accaduto durante la guerra. Si parlava molto di alcuni crimini, giustamente, ma purtroppo altri non venivano nemmeno nominati. Ecco perché i croati se la sono presa da sempre con la Jugoslavia socialista per non aver mai citato le vittime di Bleiburg dove, tra l’altro, venne compiuto un crimine contro dei civili. Allo stesso modo i bosgnacchi non hanno potuto recarsi sulla Drina per dar vita ad una sorta di giornata della memoria per ricordare le migliaia di bosniaci che lì vennero uccisi, accoltellati, e gettati nel fiume. Alcuni episodi sono stati messi in evidenza, altri dimenticati. Eravamo sì un’unica comunità ma purtroppo le belle parole “fratellanza e unità” spesso sono state una facciata rispetto a ciò che invece la gente diceva tra le mura domestiche. Evidentemente il vecchio Stato non si era sufficientemente impegnato ad affrontare certi discorsi in maniera aperta. Questo ha reso possibile che i vari fascisti, nazisti, estremisti, sfruttassero i difetti del vecchio sistema e su questi costruissero la propria ideologia della paura.
Quali ricordi avete del periodo socialista?
Sead: abbiamo salutato la vecchia Jugoslavia quando avevamo 17 anni… Ciò che ricordo di quel periodo è che già molti dei terribili eventi della Seconda Guerra Mondiale erano stati in qualche modo profanati, cioè la gente considerava le commemorazioni come qualcosa di bonariamente ridicolo, non proprio seriamente.
Nihad: sì, ricordo ad esempio quando da piccoli andavamo insieme agli insegnanti ad accogliere la staffetta che si correva per il compleanno del compagno Tito... Certo, molte commemorazioni avevano dei significati molto seri, penso in particolare a quelle che avvenivano dove c'erano stati omicidi di massa, come il lager di Jasenovac, oppure Gradiška in Bosnia, o luoghi come Tjentište, da cui la gente aveva davvero qualcosa da imparare. La forte ideologizzazione tuttavia ha posto in secondo piano il significato di questi luoghi.
Come dovrebbero essere ricordate invece le guerre recenti, con quali monumenti?
Nihad: la Bosnia Erzegovina è un luogo in cui coesistono o si scontrano - a seconda dei momenti - tre, quattro o cinque concezioni e visioni del mondo molto diverse. In questo senso la nostra terra rappresenta una sfida non solo per i nostri artisti, ma per gli artisti di tutto il mondo, perché quanto è accaduto e continuerà ad accadere qui rappresenta in realtà un messaggio per l’Europa, sull’aspetto che assumerà o non assumerà l'Europa.
Sead: per noi, come bosniaci, sarà difficile costruire un monumento che possa soddisfare tutti, come dimostra il caso tragicomico della statua di Bruce Lee a Mostar... La bandiera nazionale, quella gialla e blu, è stata disegnata da uno svedese che aveva un impiego temporaneo per la comunità internazionale qui a Sarajevo, sotto il protettorato. E' interessante però il processo che si è verificato rispetto a questa bandiera, dalle prime risate all’attuale accettazione, ma con la chiara consapevolezza che si tratta di qualcosa di artificiale...
Nihad: per quanto riguarda noi, il film che abbiamo realizzato rappresenta il nostro monumento, il nostro Memoriale. Come associazione di cittadini, per quanto piccola, cerchiamo di fare il possibile per ricordare. Personalmente sono scioccato per il fatto che tutti i segni della guerra recente siano spariti, nascosti. Credo ci sia un atteggiamento poco serio nei confronti della distruzione che è avvenuta, è in atto una sorta di “distruzione della distruzione”, anche se sembra un non-senso. Come associazione “Video-arhiv” pensiamo che a Sarajevo dovrebbero esserci monumenti basati su immagini vere, che ogni strada dovrebbe avere uno schermo nel quale ognuno possa, senza esserne obbligato, conoscere la storia di quella strada, sapere cosa è avvenuto lì.
Sead: bisogna dire peraltro che, per quanto riguarda i monumenti costruiti dopo la guerra, governa decisamente il cattivo gusto. Credo sia stato importante segnare i luoghi delle violenze, come ad esempio il monumento fatto alle vittime della piazza del mercato, Markale, oppure le targhe che sono state poste in ogni strada, con la lista delle vittime. Esteticamente, però, non sono d’accordo sul fatto che abbiano un qualche valore. Credo addirittura che il fatto che siano così brutti ne diminuisca l’importanza, perché sono fatti con pochi soldi e in modo confuso. La situazione è la stessa anche altrove in Bosnia Erzegovina, in cui ci sono monumenti alle vittime veramente di cattivo gusto, sia da parte serba che da parte croata, in generale sempre legati a elementi religiosi che, di fatto, non dovrebbero comparire in spazi pubblici, ma eventualmente restare confinati ai cimiteri.
Distinguerei da tutti questi l'ultimo monumento di Nebojsa Čerić, uno dei nostri giovani artisti. Da noi fino a 50 anni di età si dice “giovane artista”, quindi dirò “il nostro giovane Čerić”, che al momento vive a New York, e che ha realizzato qui a Sarajevo un monumento alla comunità internazionale. E’ un ringraziamento dei cittadini di Sarajevo, un capolavoro, davvero geniale. Ha collocato un immenso barattolo di conserva “Ikar”, la carne in scatola che dovevamo mangiare in mancanza di altro durante tutto il periodo dell'assedio… E' una delle cose più terribili che ci siano accadute durante la guerra...
Nihad: dal punto di vista gastronomico, intende…
Sead: sì infatti, dal punto di vista gastronomico... E' una specie di cibo per gatti, che nemmeno i gatti mangiano... E' un lavoro molto semplice ma che ha colpito al cuore gli abitanti di Sarajevo richiamando l’attenzione, si spera, anche della comunità internazionale come monito per il futuro.