Per i politici albanesi del Kosovo, sono due le questioni chiave da affrontare dopo le elezioni dello scorso 17 novembre: la formazione di una nuova coalizione di governo e la proclamazione dell'indipendenza. Sembra che ogni politico albanese sogni di entrare nei libri di storia, ritagliandosi il ruolo di colui che dichiarerà ufficialmente la nascita di un nuovo stato, con capitale Pristina. Ormai è certo che il nuovo premier del Kosovo sarà Hashim Thaci, ex comandante dell'Uck e attuale leader del Pdk (Partito Democratico del Kosovo) che nelle ultime elezioni ha conquistato la maggioranza relativa in parlamento con 37 deputati. Sembra però, che nell'aria sia sospesa anche la domanda su chi sarà il prossimo presidente, e che anche questa questione pesi sulle trattative per il nuovo esecutivo, anche se il mandato di Fatmir Sejdiu, ufficialmente, scade soltanto nel 2009. In Kosovo il presidente non viene eletto direttamente dai cittadini, ma dal parlamento, dove oggi i gruppi più numerosi sono appunto quelli del Pdk e dell'Ldk (Lega Democratica del Kosovo) che è riuscita a far eleggere 25 suoi deputati.
Nexhat Daci
Skender Hyseni, parlamentare e membro della dirigenza proprio dell'Ldk, in un'intervista ad Osservatorio ha dichiarato che il suo partito potrebbe entrare a far parte del prossimo governo, ma potrebbe anche decidere di rimanere all'opposizione. Tutto dipende, secondo Hyseni, dalle offerte che verranno ricevute dal Pdk. Anche il leader del nuovo Ldd (Lega Democratica di Dardania, in parlamento con 11 deputati), Nexhat Daci, ci dice che il suo partito potrebbe essere interessato ad entrare nella futura coalizione di governo, ma soltanto “ad un prezzo equo”.
I leader politici albano-kosovari sono unanimi nel sostenere che entro la primavera del 2008 il parlamento di Pristina formulerà la sospirata dichiarazione di indipendenza. Il progetto per la futura costituzione del Kosovo è già pronto, ci dice ancora Hyseni, ed aspetta soltanto la dichiarazione di indipendenza per essere votato dai deputati. Nexhat Daci ritiene che il Kosovo diverrà indipendente nel febbraio-marzo dell'anno prossimo. “La nostra indipendenza è inevitabile”, dice ad Osservatorio, “perchè è il risultato di un processo internazionale”. Secondo il leader dell'Ldd, i gruppi radicali che di tanto in tanto appaiono, mascherati e in armi, sono minoritari e senza vera influenza, ma poi avverte: “Se noi politici non saremo in grado di fare il nostro mestiere, allora si verrà a creare spazio proprio per queste frange”.
Skender Hyseni
Il milionario Bexhet Pacolli, leader del nuovo Akr (Alleanza per il Nuovo Kosovo, 13 deputati) ha già stretto un patto col Pdk, lo scorso 2 dicembre, a livello municipale. Pacolli chiama Thaci “mister coalizione”, e per entrare nel governo ha richieste precise: un terzo del potere, cioè una poltrona tra quelle di presidente, premier o presidente del parlamento, più un terzo delle poltrone ministeriali. Anche l'uomo più ricco del Kosovo dà per certa l'imminente indipendenza, ma ritiene che sia di fondamentale importanza assicurarsi un ampio riconoscimento internazionale. La sua visione, per il futuro del Kosovo come stato, è la graduale rimozione delle frontiere. “Nessuno dei miei colleghi ha il coraggio di dire la verità, e cioè che un Kosovo chiuso all'interno delle sue frontiere somiglia ad una catacomba”, ci dice Pacolli. “Io temo questa prospettiva, e mi preoccupo dei rapporti con la Serbia il giorno dopo la nostra proclamazione di indipendenza. Per questo affermo, che il problema va risolto non solo tra Belgrado e Pristina, ma anche ad esempio con Kraljevo, a livello locale”.
Le idee di Pacolli sul futuro governo del Kosovo suonano piuttosto stravaganti per i Balcani, e sembrano sfiorare l'utopia: sei ministeri al posto degli attuali sedici, e uno dei pilastri dello stato, presidenza, presidenza del parlamento o guida del governo da affidare ad un serbo. “Perché non dovrebbe essere possibile vedere un giorno, che so, Oliver Ivanovic sulla poltrona di premier?”. Secondo Pacolli, il problema principale della società kosovara del dopoguerra è la mancanza di una classe media. “In Kosovo ci sono molti poveri, insieme ad una classe ricca ristretta e primitiva. Tutti vogliono mostrare quanti soldi hanno. Ma come hanno fatto a diventare così ricchi?”.
A Mitrovica
Oliver Ivanovic
Veton fa il tassista, ed è un dei tanti albanesi kosovari che riescono a malapena ad arrivare a fine mese. Mentre viaggiamo da Pristina verso Mitrovica, vediamo non poche case lussuose lungo la strada. “In Kosovo o sei molto povero, o sei molto ricco. Ma nessuno ti spiega come ha fatto a fare i soldi”, ci dice, riecheggiando quasi le parole di Pacolli. Anche Veton, come molti da queste parti, ha molti parenti in Europa occidentale, suo fratello lavora in Germania e manda regolarmente soldi alla famiglia, ma certo non abbastanza per costruire una casa di lusso. Veton vive insieme ai suoi genitori, ad un altro fratello, alla moglie e ai suoi due bambini nel piccolo villaggio di Reka, vicino a Mitrovica, che conta non più di sessanta case. Spesso manca l'acqua, oppure la corrente. I suoi genitori sono pensionati, e prendono appena 40 euro al mese. Nel frattempo, la benzina è arrivata a costare 1,20 euro, e non è facile trovare clienti per il suo taxi. Prima della guerra viveva a Mitrovica nord, ma adesso ha paura di tornare nella sua vecchia casa. Dall'altra parte dell'Ibar vivono molti suoi amici d'infanzia, serbi, con cui oggi parla soltanto per telefono, perché di passare il ponte proprio non se la sente.
Io invece il ponte lo attraverso, per recarmi nella zona serba della città. Mentre squadro un grande cartello con la scritta “Russia, aiutaci!”, mi fermo a parlare con Zoran, uno dei molti serbi che non riesce nemmeno ad immaginare che un giorno gli albanesi possano creare uno stato indipendente in Kosovo. “Belgrado può cedere, ma Mitrovica no!”, mi dice eccitato. “La gente di qui si può auto-organizzare, c'è un piano d'azione, nel caso in cui dovesse esserci una dichiarazione d'indipendenza. Suoneranno le sirene, e noi accorreremo tutti giù al ponte”. In sordina, in molti qui affermano che anche trovare le armi non sarebbe un problema. Il politico moderato Oliver Ivanovic, che questa volta non si è presentato alle elezioni, così come hanno fatto quasi tutti i partiti serbi, mi spiega che se gli albanesi si proclameranno indipendenti, i serbi di Mitrovica sono pronti a fare lo stesso. “La gente qui pensa che la scelta migliore sia quella di dividersi. Non sono molto ottimista sullo stato delle cose”.
I “serbi d'oro”
Sasa Djokic
Dzingiz, proprietario del caffè “Pelivan”, sempre a Mitrovica nord, sostiene che i partiti serbi che non hanno ascoltato l'appello al boicottaggio di Belgrado, non hanno in realtà nessun peso o influenza politica. Secondo Dzingiz, così come Milosevic aveva i suoi “albanesi d'oro”, che gli facevano da paravento nel fingere un'inesistente “multietnicità”, oggi i serbi che puntano alle poltrone delle istituzioni albanesi hanno in realtà un ruolo esclusivamente di facciata. I “serbi d'oro” sarebbero leader politici pronti a vendersi per soldi per diventare deputati al parlamento di Pristina.
Nelle
enclaves del Kosovo centrale, però, Gracanica, Laplje Selo, Caglavica, il sentimento che sembra essere più diffuso è quello dello sconforto. Acquirenti albanesi continuano a comprare terreni e a costruire ai lati della strada principale che attraversa Caglavica, verso Pristina. Sasa Djokic, è uno dei leader del Sdsk (Partito Democratico Serbo del Kosovo), uno dei pochi partiti serbi che ha partecipato alle elezioni del 17 novembre. Secondo Djokic, il leader del suo movimento, Slavisa Petkovic, ha contatti non ufficiali con Thaci, ed è pronto a discutere un eventuale ingresso nel prossimo esecutivo. Le loro richieste per l'intera comunità serba sarebbero: tre ministri, un vice-premier e un 13% riservato nelle istituzioni di Pristina, insieme a maggiore spazio nella direzione delle compagnie pubbliche. Djokic sottolinea che, se gli albanesi dovessero dichiarare l'indipendenza, i partiti serbi rifiuterebbero di partecipare al governo e molto probabilmente rinuncerebbero anche ai propri seggi in parlamento.
Fino a due o tre anni fa, confessa il politico del Sdsk, non credeva possibile la prospettiva dell'indipendenza. Oggi però le cose sono cambiate, e ritiene quasi certo che tra marzo e giugno 2008 questa diventerà reale. Allora, il 60-70% dei serbi potrebbero lasciare la regione. “Se gli albanesi dichiarano unilateralmente l'indipendenza”, dichiara Djokic ad Osservatorio, “niente può vietare ai serbi di dichiarare a loro volta delle
enclaves indipendenti in Kosovo. Ci sarà una Gracanica indipendente da Pristina...”.
La nuova sindrome del Kosovo
Momcilo Trajkovic, leader del leader del movimento serbo di resistenza “Spot”, e che nello scorso ottobre ha presentato un libro di memorie intitolato “Kosovo, missione (im)possibile”, non giudica seria l'idea di enclave serbe indipendenti nel Kosovo centrale. “Sarebbe come il ballare dei topi, fino a quando il gatto non torna...Se i serbi del Kosovo settentrionale si separeranno da Pristina, allora il conto lo pagheremo noi, che viviamo qui, nelle
enclaves”. Secondo Trajkovic, nel caso di dichiarazione d'indipendenza, si arriverà ad uno scontro tra istituzioni parallele. “A nord di Mitrovica il potere sarà in mani serbe. Sarà come al tempo di Milosevic, quando l'Uck controllava parti del territorio e la Serbia non riusciva ad imporsi. Adesso la situazione è la stessa, ma a parti invertite. Fin quando la comunità internazionale tollererà questo potere parallelo, non ci saranno scontri. Ma nel momento in cui dovesse tentare di eliminarlo con la forza, allora le cose cambierebbero. I serbi devono giocare la loro partita con mezzi politici, come hanno fatto gli albanesi ai tempi di Milosevic”.
Il Kosovo è un tema dai forti contenuti emotivi per i serbi, mi aveva detto Oliver Ivanovic, mentre conversavamo nel ristorante “Number One”, a Mitrovica, al ritmo di musica tradizionale serba. “Sente queste canzoni? Sono canzoni del Kosovo, che ultimamente vengono trasmesse dalla televisione fin dal primo mattino. Anche così, a poco a poco, tra la gente cresce la tensione, l'insoddisfazione”. Secondo Ivanovic, non si può escludere che, a causa del Kosovo, come già è successo in passato, in Serbia possa uscire dal cilindro, dalla sera alla mattina, un nuovo leader politico.
Per noi, osservatori esterni, resta da vedere se le forze internazionali riusciranno ad evitare nuovi scontri nella regione, e se davvero la Serbia corre il rischio di cadere in una nuova “sindrome del Kosovo”.