La manifestazione in ricordo di Dink (foto Fabio Salomoni)
Diecimila persone hanno manifestato sabato ad Istanbul in ricordo di Hrant Dink, il giornalista armeno assassinato un anno fa in Turchia. I punti oscuri delle indagini, la richiesta di giustizia, le voci della giornata. Dal nostro corrispondente
“Vivere richiede coraggio, la speranza richiede coraggio, la giustizia richiede coraggio!”. Con queste parole rotte dall’emozione, Rakel Dink ha concluso sabato scorso il suo discorso in occasione dell’anniversario dell’omicidio del marito, il giornalista armeno Hrant Dink.
Dolore, commozione e rabbia si mescolavano nella voce della vedova Dink ed anche nelle diecimila persone che si sono ritrovate davanti alla sede del giornale AGOS, dove un anno fa il giornalista venne giustiziato con tre colpi di pistola. C’erano studenti, militanti, cittadini comuni, molti rappresentanti della comunità armena, personalità del mondo politico ed intellettuale. Occhi lucidi e volti contratti a ricordare Hrant Dink ed a chiedere giustizia. Perchè se l’autore dell’omicidio ed i mandanti materiali, tutti originari di Trabzon, sono stati arrestati, molti punti oscuri aspettano ancora di essere chiariti.
La manifestazione in ricordo di Dink (foto Fabio Salomoni)
“Che cosa abbiamo visto l’anno scorso in nome della giustizia? Che cosa ha fatto la giustizia del mio paese a coloro che si sono fatti fotografare con una bandiera accanto all’assassino? Che cosa ha fatto la giustizia del mio paese ai covi nei quali si è pianificato l’omicidio?”
Rakel Dink li ha elencati tutti, questi punti oscuri. Elementi che, messi uno accanto all’altro, formano un quadro coerente dal quale emerge come dietro l’assassinio di Dink non ci fosse solamente un gruppo di sbandati di provincia, ma un groviglio di reticenze e complicità che coinvolgono gli apparati di sicurezza.
“Fare i conti con questo omicidio significa fare i conti con lo stato profondo”, ha dichiarato il giornalista Oral Çalışlar, mentre la gente urlava: “Stato assassino renderai conto!”
Ma nonostante le promesse del primo ministro Erdoğan all’indomani dell’omicidio, ad un anno di distanza “non si riesce ad andare oltre certi nomi”, ammette Ali Bayramoğlu, un altro giornalista amico di Dink.
La manifestazione in ricordo di Dink (foto Fabio Salomoni)
Nonostante il presidente della repubblica Gül abbia fatto sapere alla vedova di seguire personalmente l’intera vicenda e la presenza, sabato, anche del presidente della commissione parlamentare per i diritti umani, il sentimento prevalente sembra essere la sfiducia.
“Dal punto di vista della giustizia non sono ottimista. Se esiste una vicenda che deve essere chiarita è proprio l’omicidio Dink... Ma sono restii a mostrare la volontà politica di farlo e senza questa volontà la soluzione della vicenda è impossibile”, ha ammesso Etyen Mahçupyan, amico e sostituto di Dink alla guida di Agos.
La stessa reticenza politica mostrata nei confronti della riforma dell’articolo 301 del codice penale. Hrant Dink è stato l’unico intellettuale, tra i molti che sono finiti davanti ad un tribunale per “aver offeso la turchità”, ad essere condannato a sei mesi di reclusione, a causa del contenuto di un articolo, dedicato all’identità armena, apparso sul settimanale AGOS. La condanna rappresentò l’ultimo anello di una lunga catena di episodi che contribuì a creare nel paese un clima di odio ed ostilità, che trovarono in Dink il loro bersaglio privilegiato.
Perchè Dink era un armeno dell’Anatolia deciso a far sentire la voce della sua comunità, per discutere “i fatti del 1915” ma anche per rivendicare, con grande dolcezza e serenità, il suo essere prima di tutto un cittadino di questo paese: “Io voglio vivere in questo paese, voglio fare quello che posso per la democratizzazione di questo paese, per me, per i miei figli e nipoti”.
E del processo di democratizzazione Dink, con pacatezza, metteva in evidenza gli aspetti più ambigui. Nel corso della sua ultima partecipazione ad un dibattito televisivo, di fronte all’aggressività incalzante di un giornalista della destra nazionalista, chiedeva: “Da un lato il primo ministro dice alla stampa internazionale – Venite, approfondiamo insieme la storia - e dall’altra, per aver detto ad un giornalista – Questo è un genocidio - si apre un procedimento penale contro di me”.
All’indomani dell’omicidio, sull’onda dell’indignazione generale, i rappresentanti del governo garantirono che avrebbero messo mano al più presto all’articolo 301. Una riforma in realtà continuamente rinviata, non solo a causa dalle tensioni politiche che hanno scosso il paese nell’ultimo anno ma anche delle evidenti spaccature emerse all’interno della compagine governativa.
Significative le recenti dichiarazioni di Cemil Cicek, ex ministro della giustizia ed attuale vice primo ministro, considerato l’esponente della corrente nazionalista, che a proposito della riforma ha dichiarato: “Ma non c’è nessuno che sia preoccupato per l’articolo 301!”. Ora, di nuovo, il governo annuncia come imminente, forse questa settimana, la presentazione in parlamento del progetto di riforma dell’articolo.