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La Grecia teme l'effetto Kosovo

19.02.2008    scrive Gilda Lyghounis

La Grecia è cauta. Sul riconoscimento del Kosovo deciderà in futuro, non ora. Si teme che il Kosovo possa rappresentare un precedente. In particolare per la questione Cipro. Un articolo della nostra corrispondente ad Atene
“Si è aperto il vaso di Pandora”. Mentre a Pristina impazzava la festa nelle strade, l'altro ieri questo avvertimento dell’ambasciatrice serba ad Atene Ljiljana Basevic, riferito all’autoproclamata indipendenza del Kosovo, campeggiava sui titoli dei giornali greci, dal quotidiano conservatore “Kathimerini” fino al più riformista domenicale “To Vima”.

“Esistono 200 situazioni simili nel mondo” ha continuato l'ambasciatrice “dal Nagorno-Karabak all'Ossezia settentrionale, fino alla Spagna, alla Gran Bretagna a Cipro”. Per non parlare della Transilvania, della comunità albanese di Skopje (Macedonia), della Repubblica serba di Bosnia, di una parte della Moldavia e dell'Abkhazia verrebbe da aggiungere, solo per rimanere fra Caucaso e Balcani, nei dintorni. “Mentre l'esempio del Kosovo non troverà sostenitori per la Palestina e il Kurdistan”, ricorda l'editoriale del quotidiano ateniese “Elefherotypia”.

Ma torniamo al vaso di Pandora. Come è noto, dal vaso di Pandora, secondo la mitologia ellenica, sono usciti i flagelli dell’umanità: guerra, sangue, odio. Ma nei Balcani spesso le leggende secolari incombono e incidono davvero sull’instabilità politica e sulle relazioni fra etnie. E le bandiere rosse con l’aquila albanese sono uno spauracchio che risveglia fantasmi sopiti.

Atene cerca di smorzare la tensione. La preoccupazione è tuttavia palpabile. A cominciare dal secco comunicato del ministro degli Esteri Dora Bakojannis, appena tornata da Washington dove ha parlato a lungo con la collega Condoleeza Rice proprio delle conseguenze dei fatti di Pristina: “Dobbiamo fare in modo che il Kosovo non possa essere imitato da nessun altro Paese” ha sottolineato Bakojannis. Riferendosi chiaramente a quello che potrebbe accadere se la fetta dell’isola di Cipro ancora occupata dal 1974 dai militari turchi, seguisse le orme di Pristina, portando di fatto a una divisione ufficiale di Cipro nord, a maggioranza turca cipriota e non riconosciuta dall’Onu, dalla Repubblica di Cipro, a maggioranza greco cipriota.

Con danni incalcolabili: si è visto dalla recente visita del premier ateniese Kostas Karamanlis ad Ankara solo due settimane fa, la prima di un primo ministro ellenico dopo mezzo secolo, quanto la questione cipriota sia l’ago della bilancia per la reale distensione e collaborazione fra i due scomodi Paesi vicini affacciati sull’Egeo.

Ma anche i comunisti greci del KKE confermano la linea del governo conservatore di Atene: “L’indipendenza del Kosovo trascinerà i Balcani in situazioni incontrollabili, in rinnovate rivalità, guerre e conseguenti interventi imperialisti. L’unilaterale autonomia di Pristina, appoggiata dagli Stati Uniti, dalla Nato e dall’Unione europea ignora completamente ogni risoluzione dell’Onu. Invitiamo quindi i governi a non riconoscerla e a non inviare contingenti militari in Kosovo” hanno dichiarato.

I più impauriti dallo sventolare di bandiere fra le montagne al confine con la Serbia abitano comunque nell’estremo lembo del Mediterraneo orientale: sono i 500mila cittadini a maggioranza greco-cipriota, che dal 2004 sono membri a pieno titolo dell’Unione europea. Proprio l'altro ieri qui si è svolto il primo turno delle elezioni presidenziali, con l’eliminazione a sorpresa dalla gara per il ballottaggio proprio del capo dello Stato in carica Thassos Papadopulos, che ha avuto il 31,79 dei voti, contro il 33,51 di Ioannis Kasulidis e il 33,29 di Dimitris Christofias del partito filocomunista Akel.

Tutti e tre i contendenti, alla vigilia del voto, si sono confrontati in un dibattito televisivo che ha avuto, fra i “temi caldi”, le ricadute a Cipro della dichiarazione di indipendenza del Kosovo. Perché a Nicosia, capitale isolana divisa in due dall’ultimo muro d’Europa, è piombata sabato come un fulmine a doppio taglio la dichiarazione del presidente russo Vladimir Putin: “Europei vergognatevi, applicate due pesi e due misure. Da 40 anni Cipro nord è di fatto indipendente, perché non la riconoscete? Appoggiare la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo è immorale e viola le leggi internazionali. Noi la contrasteremo”.

Putin, da sempre fautore di un’alleanza panortodossa di Russia, Serbia e Grecia non caldeggia certo un riconoscimento di Cipro nord, contro la cui occupazione militare da parte di Ankara l’Onu ha più volte emanato risoluzioni inascoltate. La sua ha tutta l’aria di una provocazione. Tanto più che Putin si è riferito anche a molte altre etnie che, all’interno di stati europei e non (un esempio per tutti, la Spagna con i Paesi baschi, e infatti Madrid non appoggia l’indipendenza di Pristina, a differenza della stragrande maggioranza dell’euroclub) aspirano all’indipendenza senza che la comunità internazionale intervenga.

Tuttavia le sue parole sembra che abbiano voluto mettere sullo stesso piano le due questioni, quella cipriota quella kosovara. E i candidati alla presidenza greco-cipriota si sono da un lato affannati a spiegare la “gaffe” russa come una boutade ironica, ma dall’altro - soprattutto Christofias e Kosulidis, da anni fautori di un’accelerata delle trattative con i turcociprioti - hanno messo in guardia gli elettori sul fatto che lo stallo nei colloqui per la riunificazione in cui Cipro versa dal 2004, sotto l’attuale presidenza Papadopulos, può favorire un colpo di mano da parte di Cipro nord, con Pristina come modello. A marzo sull’isola arriveranno infatti i mediatori delle Nazioni Unite. E, dopo la bocciatura di tre anni fa, in un referendum, del piano Onu pro-riunificazione da parte greco cipriota - piano giudicato troppo favorevole alle richieste turche - bisognerà affrontarli con idee e soluzioni che convincano tutti, Ankara compresa. Il Kosovo è lì a ricordarlo.