Karamanlis e Putin
Rapporti stretti e di lunga data quelli tra Mosca e Atene, tanto sul versante politico ed energetico che su quello culturale. Dopo la vittoria del neo presidente russo Medvedev, la Grecia si aspetta il proseguimento delle buone relazioni
Chissà se Dmitrij Medvedev, il nuovo presidente russo, ha già prenotato il suo pellegrinaggio al monte Athos, sulle orme di Vladimir Putin. Sì, perché negli ultimi anni la riscoperta della comune fede cristiana ortodossa ha fatto da collante non solo religioso, ma anche culturale, politico ed economico fra la Santa Madre Russia, la Grecia e in genere i Balcani. Proprio nel 2005 Putin visitò la repubblica teocratica dell’Athos, uno Stato nello Stato sulla punta più orientale della penisola Calcidica, in Grecia, che ne sancisce la quasi totale indipendenza in un comma della Costituzione.
I 1500 monaci sono cittadini ellenici a pieno titolo, ma dal punto di vista amministrativo e religioso dipendono direttamente dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli-Istanbul, ossia dal Papa ortodosso Bartolomeo I, guida spirituale di oltre 300 milioni di cristiani d’Oriente al mondo, di cui la maggior parte, per l’appunto, russi. Non solo: uno dei 20 monasteri rigorosamente maschili della montagna sacra, quello di san Pantheleimon, visitato da Putin, è abitato da quasi mille anni da sacerdoti arrivati dal Cremlino e dintorni. Già, perché sull'Athos si parla da secoli greco, ma anche bulgaro, serbo, russo. E c'erano monaci illustri come Sava, figlio del re di Serbia, che rinunciò alla corte per ritirarsi qui. Fu lui a fondare sull'Athos il monastero serbo di Chilandari, nel 1196: i fratelli bulgari invece stavano in quello di Zografu e i russi a san Pantheleimon. Tre “case straniere” attive ancora oggi e dove i Vangeli e i tesori della cultura antica sono stati tradotti dal greco allo slavo.
Addirittura ai primi del Novecento sull'Athos stava per esserci il sorpasso russo: c'erano 3496 biondi monaci dell'Est su un totale di 7000. Poi ci ha pensato Lenin a chiudere le frontiere e a bloccare tutto. Solo oggi, dopo la caduta del muro di Berlino, hanno ripreso ad arrivare novizi da Mosca o da Sofia, tamponando la crisi delle vocazioni sulla montagna sacra.
Così come sono riprese le visite e i contributi economici ai monasteri da restaurare delle massime autorità ex sovietiche, come l’ex ateo ed ex agente del Kgb Putin che, nella sua prima visita ufficiale di tre giorni in Grecia nel 2005, a cui ne seguirono altre tre, trascorse una giornata fra preghiere e icone sacre dell’Athos. L’allora (e tuttora) primo ministro ellenico, il conservatore Kostas Karamanlis, commentò: “La montagna sacra è una connessione vitale nei rapporti fra i nostri due Paesi”.
Tanto vitale, che in quella stessa visita sono cominciati gli accordi commerciali, energetici e militari che giungono in queste settimane a maturazione, durante la recente visita a Mosca di Karamanlis, lo scorso dicembre (la seconda dal “fatale” 2005).
Cominciamo dalle armi. Karamanlis è andato a fare shopping nella capitale russa: per la precisione per una somma di un miliardo e 700 milioni di dollari americani in armamenti targati Est. Atene aveva già nel suo arsenale una flottiglia di aerei caccia russi S 300 più il sistema di difesa antiaerea Thoran, oltre a missili Cornet anti carro. Ora il governo greco vuole aggiungere oltre 400 veicoli BMP da combattimento per la fanteria: e per la prima volta un Paese occidentale come la Grecia acquisterà dall’ex Urss anche il diritto di produrli in casa propria. Una novità non da poco, soprattutto perché gli accordi fra i generali russi e quelli ellenici si stanno stringendo in un clima di estrema tensione fra il Cremlino e la Nato, di cui Atene è membro: screzi dovuti al recente congelamento, da parte moscovita, della partecipazione al trattato sulle armi convenzionali in Europa.
La Grecia, alle rimostranze americane, risponde che la Turchia, suo scomodo vicino e anch’esso Paese Nato, è già super equipaggiata con armi provenienti in gran parte dagli Stati Uniti, e che deve quindi differenziare il proprio arsenale nel malaugurato caso di uno scontro nell’Egeo.
Ma il secondo punto nella lista della spesa di Karamanlis in Russia riguarda l’energia. Già nel maggio 2007 Putin e il premier ellenico hanno agito di comune accordo riguardo i 280 chilometri dell’oleodotto Bourgas (sulle coste bulgare del mare Nero) - Alexandrupolis (nel nord della Grecia, al confine con la Turchia). Ma Karamanlis aspetta in questo mese di marzo ad Atene i massimi responsabili della politica energetica russa perché vuole che la Grecia sia coinvolta a pieno titolo nel progetto “South Stream”, un gasdotto firmato Eni-Gazprom che parte da Beregovaya, cittadina russa sul Mar Nero, per correre lungo 900 chilometri sott’acqua, raggiungendo una profondità massima di 2000 metri circa, fino ad approdare in Bulgaria.
La posta in palio è grande. Per questo è probabile che, dopo Putin, anche il neopresidente Medvedev farà un salto ad Atene nei prossimi mesi. Se non altro per ossequio al suo vecchio professore universitario e mentore Vladimir Papadopulo, docente di giurisprudenza e di Diritto commerciale all’Università di San Pietroburgo, di origine ellenica. Proprio da questo ateneo è uscita la “squadra” di San Pietroburgo, di cui fanno parte sia Putin sia l’attuale presidente russo. Proprio accanto a Vladimir Papadopulo, Medvedev ha insegnato fino al 1999, dopo essersi laureato con lui nel 1988, affiancando nel frattempo come consulente l’allora sindaco di San Pietroburgo Putin. “Lo ricordo bene” ha raccontato Papadopulo al quotidiano ateniese “Eleftherotypia” “come uno studioso concentrato, serio e schivo: queste sue caratteristiche lo aiuteranno anche oggi, che a soli 42 anni affronta la massima carica dello Stato”. Potrebbe dire altrimenti?
Ma forse, Medvedev ha un altro motivo per salire in pellegrinaggio al monte Athos, faro della cristianità orientale. Oltre che verso il suo professore di un tempo, ha un altro debito da onorare. Proprio quello con la Chiesa ortodossa. In dicembre, il giorno dopo che Putin ha indicato Medvedev come proprio candidato favorito per le presidenziali del 2 marzo, il patriarca di tutte le Russie Alessio II ha dichiarato alla stampa, come racconta il “Moscow Times” di ieri (4 marzo) che “se Vladimir Vladimirovich Putin l’ha scelto avrà ponderato la sua decisione, e noi la accogliamo favorevolmente”. A Natale Alessio II ha quindi fatto i suoi augusti auguri al predestinato. Una consacrazione al trono. Commenta ancora “Eleftherotypia”: “Come un tempo nell’impero Bizantino, chiesa e potere vanno di pari passo”.