Il premier turco Erdogan
La Turchia è di fronte ad una delle più gravi crisi istituzionali della sua storia moderna: la Corte Costituzionale è chiamata a decidere dell'esistenza del partito al governo, l'AKP del premier Recep Tayyip Erdoğan, accusato di essere un centro propulsore di "anti-laicità"
Di Nazif İflazoglu e Taril Isik, Radikal, 4 aprile 2008 (titolo orig.: «AKP davaya karşı yumuşadı, adalete güvenini beyan etti»)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Fazila Mat
In seguito alla richiesta di soppressione del partito filo-islamico AKP (Partito della giustizia e dello sviluppo), oggi al potere in Turchia, avanzata il 14 marzo scorso dal procuratore della Corte di Cassazione Abdurrahman Yalçınkaya, ed alla sua ammissione da parte della Corte Costituzionale, avvenuta due settimane dopo, il partito del premier turco Recep Tayyip Erdoğan ha a disposizione un mese di tempo per presentare la propria difesa. La procura generale, che ha motivato la sua richiesta denunciando l’AKP come “un centro propulsore di anti-laicità”, ed ha richiesto, oltre alla chiusura del partito, anche l’allontanamento dalla politica 71 esponenti dell’AKP, tra cui anche il primo ministro e il presidente della Repubblica, Abdullah Gül, per un periodo di 5 anni.[N.d.T.]
Dopo una prima energica opposizione alla richiesta della Procura della Repubblica di sopprimere l’AKP, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo ha abbassato i toni delle sue dichiarazioni dopo l’ammissione unanime della Corte Costituzionale della richiesta.
Già l’altro ieri il Premier Tayyip Erdoğan affermava: “La Corte Costituzionale farà il suo dovere. Intanto noi stiamo preparando la nostra difesa”, mentre il ministro della Giustizia Mehmet Ali Şahin ha espresso la sua fiducia nella giustizia ed ha aggiunto: “La Corte Costituzionale prenderà la decisione più appropriata”.
Nel frattempo L’AKP sembra aver messo da parte il suo nuovo progetto di riforma costituzionale. Erdoğan e l’AKP, prima delle elezioni del 22 luglio, avevano preannunciato che nel caso di vittoria elettorale avrebbero messo a punto una nuova costituzione. Dopo le elezioni, l’AKP, rispettando il programma presentato, ha portato all’ordine del giorno un nuovo progetto costituzionale.
Il progetto, elaborato da una commissione accademica presieduta dal professor Ergun Özbudun, è stato preso in esame dalla direzione dell’AKP. I portavoce della formazione politica hanno successivamente dichiarato che il progetto sarebbe stato reso pubblico verso la fine del 2007. Nelle ultime dichiarazioni rilasciate, si affermava che sarebbe stato portato in parlamento entro aprile.
Il dibattito sul velo
Tuttavia, senza attendere l’esito finale dei lavori, sono stati modificati due articoli della Costituzione al fine di rendere libero l’accesso alle università per le donne che indossano il velo (turban). Nel corso dei dibattiti suscitati da questo emendamento, la richiesta di chiusura dell’AKP presentata il 14 marzo scorso ha avuto l'effetto di una bomba.
La prima reazione al procedimento è giunta dal vicepresidente generale dell’AKP, Dengiz Mir Mehmet Fırat: “L’obiettivo della richiesta avanzata non è l’AKP, ma è la democrazia turca e la volontà del popolo. Quest’azione ha reso più incerta la nostra democrazia. Alcuni organi giuridici non devono permettere che la legge diventi uno strumento di lotta per il potere”.
La dichiarazione rilasciata da Erdoğan il 15 marzo a Siirt era molto più severa: “Coloro che gettano un’ombra sulla rispettabilità democratica della Turchia, che mettono a repentaglio la sua costanza, dovranno fare i conti con le loro azioni. Questo infelice tentativo non solo è privo di una base giuridica, ma non è legale neanche nella coscienza della popolazione. Coloro che permettono che il nostro popolo debba confrontarsi con una tale anomalia e un tale torto non potranno evitare di vergognarsi per ciò che fanno.”
La direzione dell’AKP, messa per lungo tempo in crisi dal ricorso, all’inizio si è concentrata su una soluzione che evitasse al partito la chiusura. Sono allora state presentate le possibilità di modifica degli articoli 68 e 69 della costituzione in cui si regola e si definisce cosa sia un “centro propulsore”.
In seguito l’AKP, accusato di cercare di salvare solo se stesso e indotto a un cambio di strategia da varie voci sia dall’interno che dall’esterno del suo partito, ha optato verso un pacchetto di riforma costituzionale più ampio, che includa anche gli emendamenti per impedire la chiusura del partito. Il pacchetto su cui si sta lavorando, e che verrà valutato dal Consiglio Decisionale e Amministrativo Centrale (MKYK), massimo organo decisionale del partito, prevede delle riforme a livello dei diritti e delle libertà fondamentali, estesi secondo i criteri dell’Unione Europea, ma vi include anche delle nuove norme sui partiti politici che ne regolino l'eventuale chiusura.
Quando la settimana scorsa la Corte Costituzionale ha accettato il ricorso, Erdoğan e i membri del suo partito hanno cambiato atteggiamento. Già il giorno successivo, lo stesso Erdoğan, parlando ad una riunione del partito, ha attenuato il tono. Anche il portavoce del governo e vicepremier, Cemil Çiçek, ha rilasciato dichiarazioni conciliatorie.
Erdoğan, parlando a Stoccolma il 3 aprile scorso, era alquanto ottimista: “La Corte Costituzionale farà il suo dovere, dal nostro canto noi lavoreremo per impostare la nostra difesa. Non è corretto fare ulteriori dichiarazioni nel corso di un procedimento.”
Non ci sono accuse rilevanti
Il ministro della Giustizia, Mehmet Ali Şahin, che nello stesso momento si trovava a Karabük, ha fatto un ulteriore passo avanti con le sue dichiarazioni: “La Turchia uscirà da questa situazione, e vedremo la democrazia diventare più forte e le libertà più ampie. Dal momento che questo processo non si basa su delle accuse rilevanti, la Corte Costituzionale, in considerazione e delle proprie leggi e dei criteri della Convenzione Europea per i Diritti Umani, deciderà nel modo migliore.
I giudici compiono il loro dovere nel rispetto della legge e secondo le proprie riflessioni. In qualità di ministro della Giustizia non posso fare nessuna dichiarazione che possa influenzare negativamente il loro lavoro”.