Mission impossible
13.06.2008
Da Banja Luka,
scrive Gordana Katana
Entrare nell'Unione Europea e mantenere l'entità con le prerogative di uno Stato: questa la missione impossibile del premier della Republika Srpska, Milorad Dodik. La firma dell'accordo di Associazione e Stabilizzazione tra Bosnia Erzegovina e UE e il girotondo dei politici locali
La firma dell'Accordo di Stabilizzazione e Associazione (ASA) della Bosnia Erzegovina con l’Unione Europea è sostenuta, formalmente, da tutte le strutture del paese.
Tuttavia, secondo le valutazioni degli analisti della Republika Srpska (RS, una delle due entità in cui il paese è diviso dagli accordi di Dayton), la sua realizzazione potrebbe avvenire con estrema lentezza. Il motivo risiederebbe nell’impreparazione delle autorità della stessa RS a rafforzare le istituzioni statali che saranno deputate ad implementare il contenuto del patto.
Questa posizione si fonda sulle dichiarazioni che rilasciano da mesi i principali politici della Republika Srpska.
Il presidente di questa entità, Rajko Kuzmarović, i primi giorni di giugno, dopo il colloquio con l’ambasciatore britannico Matthew Raycroft, ha dichiarato che la RS sta lavorando all’adempimento di tutti i punti posti dall’UE ed è pronta ad ogni tipo di compromesso, ma non alla diminuzione delle competenze e dello status della RS.
“Noi non vogliamo né chiediamo niente di più di quanto abbiamo ottenuto con gli Accordi di pace di Dayton, ma non vogliamo perdere nulla di ciò che abbiamo, a nessun costo”, ha sottolineato Kuzmarović.
Condivide il pensiero di Kuzmarović anche il premier della RS Milorad Dodik, il quale evidenzia che “la RS non rinuncerà alle sue competenze né si asterrà dal rafforzare le proprie istituzioni a causa dell’integrazione europea”.
Tanja Topić, analista della Fondazione Friedrich Ebert, ritiene che non solo in RS, ma nell’intera Bosnia Erzegovina, le élite politiche “non siano consapevoli di tutto ciò che si prospetta al nostro paese dopo che verrà firmato l'Accordo di Stabilizzazione e Associazione con l’UE”.
I politici locali, afferma la Topić, si pongono in maniera assolutamente superficiale nei confronti degli impegni che il paese dovrà assumersi nel suo percorso verso la candidatura a membro dell’UE, e ciò potrebbe rallentare in modo rilevante l’intero processo.
Secondo la Topić, “le dichiarazioni dei leader politici della RS sul fatto che non permetteranno un indebolimento della posizione della Republika Srpska a svantaggio dell’integrazione europea sono pura demagogia ad uso politico quotidiano. È chiaro che l’UE conduce i negoziati solo con lo Stato, e di ciò sono consapevoli anche i politici locali, a prescindere da quanto affermano” sottolinea la Topić.
L’economista Svetlana Cenić è d'accordo sul fatto che in RS, “all'interno della élite politica non esiste affatto piena consapevolezza sul tipo di impegni che comporta la firma dell'Accordo”.
A questo proposito, la Cenić ammonisce rispetto alla totale assenza di condizioni di stabilità monetaria e finanziaria in RS, manifestatasi proprio quest'anno.
«L'UE pone già l'attenzione sull'eccessiva spesa pubblica, non motivata da un aumento della produttività, e che in RS cresce costantemente grazie a sempre nuovi accantonamenti. Bisogna sottolineare che non vengono elaborate strategie per lo sviluppo di nessun settore, neppure per l'agricoltura, e tutto ciò potrebbe ulteriormente compromettere il processo di negoziazione», spiega la Cenić.
Un ulteriore problema potrebbe essere rappresentato dal fatto che il premier, Milorad Dodik, non ha mai rinunciato pubblicamente all'intenzione di ricorrere alla Corte Costituzionale della Bosnia Erzegovina sulla questione delle competenze trasmesse dall'entità al livello dello Stato.
Il premier della Republika Srpska ritiene, e questa è al momento l'unica cosa che raccoglie il consenso tra i partiti politici serbo bosniaci, che l'avvenuto trasferimento di circa 60 settori di competenza dall'entità allo Stato abbia portato all'indebolimento della RS.
In base agli Accordi di pace di Dayton, in particolare all'Annesso IV, che è la Costituzione della Bosnia Erzegovina, le competenze dello Stato sono limitate, a favore delle entità. Negli ultimi dodici anni questo si è dimostrato un ostacolo, sia per lo stesso funzionamento della macchina statale che per la sua comunicazione con l'estero. Per queste ragioni alcuni settori, tra gli altri quello della difesa (le forze armate), della politica fiscale, del controllo delle frontiere e delle agenzie di sicurezza, sono stati progressivamente trasferiti alla competenza dello Stato.
L'Alto Rappresentante della comunità internazionale in Bosnia Erzegovina, Miroslav Lajčak, ha sostenuto che è assolutamente irrealistico aspettarsi che alle entità vengano nuovamente conferite le competenze trasferite allo Stato, come richiedono i politici della Republika Srpska.
“Tutti coloro che lo affermano sanno che ciò è non solo tecnicamente, ma anche politicamente inattuabile. Si tratta di una perdita di tempo su di un argomento senza alcun fondamento”, ha affermato Lajčak, suggerendo che è molto meglio parlare di come far sì che le istituzioni a livello statale funzionino nel modo migliore.
Anche la Cenić sostiene che i discorsi sul ritorno delle competenze dalla Bosnia Erzegovina alla Republika Srpska siano una classica manipolazione politica: “Dopo la firma dell'Accordo di Stabilizzazione e Associazione, solo nel corso del primo anno di negoziati con l’UE, le entità dovranno trasferire allo Stato 20 deleghe. Questi sono punti chiari, il cui rifiuto significherebbe il rifiuto dell’adesione all’UE”, ha affermato la Cenić.
La riflessione sulle conseguenze della firma dell'Accordo, peraltro, non può prescindere da quella sul processo di riforma della Costituzione della Bosnia Erzegovina.
Anche se questa non rappresenta una delle condizioni per l'adesione all'Unione Europea, l'Alto Rappresentante Miroslav Lajčak, all'inizio di giugno, ha riportato l'attenzione anche su questo problema, che i politici locali non stanno più prendendo in considerazione.
Lajčak ha affermato che l'UE non impone l'ordinamento statale di un paese ma, al momento dell'entrata della Bosnia Erzegovina nell'UE, gli Accordi di Dayton potrebbero costituire un ostacolo e un problema per il paese: “Dayton non ha creato istituzioni statali che permettano alla Bosnia Erzegovina di avviare la dinamica necessaria per l'avvicinamento all'Europa. Dayton, in particolare, viola le convenzioni e gli accordi internazionali specialmente in tema di tutela dei diritti umani e dei diritti delle minoranze nazionali”, ha affermato Lajčak.
“Non credo che la costituzione possa essere imposta, né che la comunità internazionale sia pronta ad imporre una costituzione alla Bosnia Erzegovina. Il fatto è, tuttavia, che la Bosnia soffrirà fino a quando i politici locali non saranno pronti a cercare e a trovare una risposta a questa domanda”, ha sottolineato l'Alto Rappresentante.
Lajčak ha poi ricordato che la Bosnia Erzegovina è uno Stato riconosciuto a livello internazionale, e che la Republika Srpska si può separare soltanto se tutti e tre i popoli sono d'accordo: “Questo non è realistico, come non lo è la richiesta di abolizione della RS, per questo non si devono fare speculazioni a riguardo. Ciascuna decisione a livello costituzionale può essere presa soltanto con il consenso di tutti i popoli e con l'appoggio della comunità internazionale, la quale non ha problemi a sostenere ciò che è frutto di un accordo dei tre popoli costitutivi della Bosnia Erzegovina; certo, si pone la domanda in quale misura ciò sia possibile”, ha detto Lajčak.
Commentando la situazione del nostro paese, l'Alto Rappresentante ha sostenuto che la Bosnia “giri in tondo” senza sosta, per il fatto che i politici dei tre popoli costitutivi si battono ciascuno per la propria visione della Bosnia Erzegovina, invece di dedicarsi alle cose che permetterebbero al paese di entrare nel gruppo dei paesi europei.
Il fatto che la Bosnia Erzegovina “giri in tondo” è testimoniato anche dalla proposta di riforme costituzionali presentate dall'Unione dei socialdemocratici indipendenti (SNSD), partito del premier Dodik. Poiché, mentre da un lato l'UE pone chiare condizioni ritenendo lo Stato come negoziatore, cosa che presuppone anche l'ampliamento delle sue competenze, l'SNSD richiede un'ulteriore federalizzazione del paese, e il rafforzamento delle deleghe delle unità federali a svantaggio dello Stato stesso.
Infine, nella Republika Srpska c'è un costante impegno per arrivare alla chiusura dell'Ufficio dell'Alto Rappresentante (OHR). Il presidente della RS, Rajko Kuzmarović, ha infatti dichiarato che le autorità di questa entità “non hanno nulla contro l'OHR o l'istituzione dell'Alto Rappresentante, siamo consapevoli che ha agito abbastanza bene ma anche che ha fatto cose sbagliate, per questo riteniamo che la firma dell'Accordo di Stabilizzazione e Associazione rappresenti il momento giusto perché tale ufficio si trasformi in un ufficio dell'Unione Europea”.
Se ciò avverrà a giugno, come era stato annunciato, o alla fine dell'anno, non si può prevedere, “ma tutti sanno bene che è ormai tempo che ciò avvenga”, ha concluso Kuzmarović.
Commentando tale posizione, Tanja Topić fa notare che il processo di chiusura dell'Ufficio dell'Alto Rappresentante non avverrà con la velocità che i politici della Republika Srpska vorrebbero. La Bosnia Erzegovina, a parte la firma dell'Accordo con l'UE, non ha soddisfatto nessuna delle altre condizioni poste dal Consiglio per l'Implementazione della Pace [la conferenza permanente incaricata della supervisione sugli accordi di pace], e con questo ha dimostrato di non essere ancora pronta per procedere in maniera indipendente al proprio sviluppo”, ha concluso la Topić.