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Le ombre cancellate

30.06.2008    Da Capodistria, scrive Franco Juri

Janez Jansa
La Slovenia chiude il suo semestre di presidenza dell’UE. Non sono poche le ombre lasciate dall’entusiasmo europeo per la presidenza slovena. Il delicato tema dei cancellati è sicuramente una di queste. Ma la Slovenia pensa già alle elezioni politiche
All’ombra dei riflettori del fine-presidenza slovena, tra la mirra e l'incenso con cui Barroso e Poettering cercavano di rimediare al vuoto imbarazzante dell'aula del parlamento europeo in cui Janez Janša parlava per l'ultima volta, da presidente di turno, a una sparuta platea compiaciuta dei meriti e successi del semestre “gentile” - come l'ha definito un euro-parlamentare socialdemocratico tedesco - , in mano a Lubiana, a Pirano, nell' Istria slovena, moriva Milan Makuc.

Chi era Milan Makuc? La sua firma è in calce, insieme ad altre nove, alla denuncia inoltrata, contro le autorità slovene, da una decina di cancellati presso il Tribunale europeo per i diritti umani. Non si sa esattamente quali siano state le cause della morte di Makuc. Probabilmente lo ha ucciso un brutto cancro che gli corrodeva le carni e il volto, senza che – essendo un cancellato – potesse usufruire in tempo delle cure garantite da una regolare assistenza sanitaria. Il suo corpo è stato fatto cremare in fretta, senza il consenso dei parenti e senza autopsia. Lo scandalo è trapelato solo grazie ai suoi vicini e ai pochi attivisti che sostengono le vittime della cancellazione.

La tragedia di Makuc – sloveno, di genitori sloveni, nato però per caso ad Arsia, nell'Istria croata e quindi “straniero” - sintetizza il dramma dei cancellati in Slovenia (e in Europa), un dramma che nemmeno i sei mesi di presidenza, tanto elogiata soprattutto dalla destra europea, con tutte le sue pompose frasi a favore del “dialogo interculturale”, sono riusciti a risolvere. Eppure sarebbe bastato il rispetto di due delibere della Corte costituzionale slovena che il governo di Lubiana ha cinicamente ignorato, offrendo quale alternativa, una restrittiva e discriminatoria legge costituzionale che le neutralizzerebbe e sulla quale la maggioranza il 4 luglio prossimo organizzerà un “dibattito pubblico” in parlamento.

Il tema dei cancellati, gestito strumentalmente dall'alto, con la sua intrinseca carica di xenofobia, viene a pennello in vigilia elettorale. Janša lo sa, avendone fatto già buon uso in passato. L’odor di recessione e il carovita in Slovenia aumenteranno poi ulteriormente il rigetto nell’opinione pubblica di ogni aspettativa e rivendicazione dei cancellati. L’Unione Europea, con le sue istituzioni, se n’è infischiata; Poettering, Barroso e Frattini hanno preferito dare credito alle spiegazioni del compagno di Partito Popolare Europeo Janša. La violazione dei diritti umani dei cancellati è così rimasta una “questione interna” alla Slovenia, di cui nell’UE – visto l’investimento propagandistico - bisogna parlare con sole lodi. E così la cancellazione slovena ha avuto piena legittimazione nell’UE.

In questi giorni la TV di stato non ha fatto che osannare i sei mesi di presidenza slovena, evitando di ricordare la gaffe filoamericana dell'inizio semestre in merito al Kosovo e il lavoro sporco assegnato, presumibilmente da Germania e Gran Bretagna, a Lubiana per far passare la nuova direttiva UE, contestata dai sindacati, che porta l'orario lavorativo settimanale dalle 48 ore massime - garantite ormai da 91 anni dall’Organizzazione Mondiale del Lavoro - a 60 e persino 65 ore lavorative.

Una pericolosa regressione dei diritti sociali garantiti, accusa decisa la Spagna di Zapatero; un importante progresso sociale, spiega invece la Slovenia di Janša, che viene applaudita da tutti i paesi del fronte del “free choice” tra lavoratore singolo e datore di lavoro. Alla faccia del sindacalismo.

I media di stato sloveni hanno glissato anche sulla “direttiva della vergogna” - come l’hanno definita all’unisono i leader latinoamericani - che irrigidisce il trattamento degli immigrati extracomunitari. La direttiva è stata fatta passare per mano della presidenza slovena dopo il recente vertice EU-America Latina, cosa che ha fatto infuriare ulteriormente le capitali del continente verde. E nemmeno il “no” irlandese ha intaccato l’immagine di una “presidenza modello”, che tale doveva figurare perché dedicata a tavolino alla “nuova Europa”. Le immagini televisive hanno cercato di evitare il vuoto della sala parlamentare mentre il pupillo di Barroso e Poettering si accomiatava dagli euro-deputati.

Ora, in Slovenia inizia una rovente campagna elettorale in cui verrà sfoderato tutto l'armamentario classico delle dispute politiche sul lato soleggiato delle Alpi, compresa la xenofobia anti-cancellati e le rivendicazioni territoriali a cavallo della frontiera con la Croazia.

Domenica scorsa un referendum consultivo sulle 13 province proposte dal governo [in Slovenia non sono previsti enti intermedi tra lo stato e le municipalità], organizzato in funzione elettorale, si è trasformato per Janša in una Caporetto. Solo l’11% degli elettori vi ha aderito contro l’89% di astenuti. Brutto monito per la maggioranza, anche se il premier l’ha definito legittimo in tutti i sensi paragonandolo a quello irlandese sul trattato di Lisbona “in cui” - ha detto Janša - “ha votato solo l’1% degli europei. Eppure a nessuno viene in mente di contestarne la legittimità”.

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